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Franco Maresco, Franco Scaldati. Coppie palermitane

Franco Maresco, regista e sceneggiatore palermitano, noto per film caso come Totò che visse due volte, Il ritorno di Cagliostro o per i suoi sketch televisivi dissacranti di Cinico TV (sempre in codirezione con Daniele Ciprì), da qualche anno si è avvicinato sempre più al teatro di un altro artista palermitano, Franco Scaldati. Dopo la regia di Lucio, uno dei testi simbolo scritto alla fine degli anni Settanta e messo in scena due anni fa, quest’estate Maresco ha presentato alla Biennale di Venezia il film documentario dedicato alla vita e al teatro di Scaldati, Gli uomini di questa città io non li conosco. Lo abbiamo incontrato a Palermo per la prima di Tre di Coppie, spettacolo frutto di un assemblaggio di tre testi, uno dei quali inedito, che attraversano tre momenti diversi della produzione dell’autore.

Foto Salvo Lannino/STUDIO CAMERA
Foto Franco Lannino/STUDIO CAMERA

Il vostro è un legame d’amicizia ma anche lavorativo, tu hai diretto Scaldati in qualità di attore in più di un caso, ma prima di Lucio avevate provato a collaborare sul profilo drammaturgico?

Io scopro Scaldati – artista di recente, alcune cose provengono dal passato, da cassetti della memoria. Mi ricordo di un esperimento che partiva da Totò e Vicé che è confluito poi in tre video in bianco e nero, in esterno, risalenti al 1993, avevamo previsto poi un altro lavoro su un testo che Franco mi aveva sottoposto verso i primi anni del Duemila, Faccia d’osso, ma che non è arrivato a compimento. Spesso però abbiamo creato delle occasioni in cui associavamo la sua parola e la sua interpretazione al jazz. Io, Bonafede (che in questo caso ha musicato dal vivo Tre di coppie) e Scaldati abbiamo fatto spesso degli interventi di questo genere, il più rappresentativo forse fu quello organizzato per il Festival del jazz nel 2010 a Roccella Jonica. Chiesi a Franco di rievocare la Palermo del dopoguerra su un terreno non solo suo, perché feci leggere a lui e a Melino Imparato i lavori di Peppe Schiera, geniale poeta di strada che era solito recitare i suoi testi seduto su una vecchia sedia in vari posti di Palermo, spesso davanti al Teatro Massimo, creando delle strofette in rima baciata intrise di antifascismo per cui spesso finiva in gattabuia.

Come è nato invece questo spettacolo, Tre di coppie, quale il percorso che ti ha portato alla scelta di questi quadri provenienti da diversi testi di Franco Scaldati?

Due sono gli elementi che ho voluto privilegiare in questo lavoro. In primo luogo volevo che emergesse la componente comica. Guai a dire comicità! In certo cinema e in certo teatro più colti, più seri, si rifiutava e si rifiuta ancora oggi l’idea di attribuire valore alla commedia, perché generalmente intesa come un indice di bassa qualità. Le radici comuni che rintraccio tra il mio lavoro e quello di Franco sono la commedia al cinema – à la Stanlio e Ollio – di cui era appassionato, certe forme di commedia dell’arte tramandate nelle nostre tradizioni orali nelle vastasate; ma naturalmente i riferimenti sono anche quelli reali, della storia. Io sono nato in un quartiere non distante dai luoghi nei quali Franco ha trascorso la sua giovinezza durante il dopoguerra. A Palermo, e questo nei testi di Scaldati è evidente, in verità il dopoguerra si è protratto a lungo e non era difficile trovare certe coppie, certi personaggi come Pasquale e Crocifisso, Aspano e Binirittu, Totò e Vicé. Nei suoi testi io ritrovo e risento i suoni, i volti, le atmosfere di una Palermo abbastanza lontana.

Foto Salvo Lannino/STUDIO CAMERA
Foto Salvo Lannino/STUDIO CAMERA

Qual è l’altro elemento sul quale hai lavorato?

Chiaramente il tema del doppio. All’inizio pensavo a più coppie, poi ho preferito concentrarmi su queste tre, anche perché ci tenevo a presentare Il Corto e il Muto che è una coppia inedita. Franco l’aveva pensata per alcuni siparietti che avrebbero dovuto inframezzare la sua riscrittura del Macbeth, Libro Notturno. Poco prima che facessimo Il Ritorno di Cagliostro, dunque circa quindici anni fa, stavamo facendo Palermo può attendere alla Biennale di Venezia, e in scena c’erano, tra gli altri, Mimmo Cuticchio, Luigi Maria Burruano e Gino Carista, mentre Scaldati e Gaspare Cucinella (altro attore storico recentemente scomparso) interagivano in video. Franco mi portò dei materiali; lui aveva sempre seguito il lavoro che io e Daniele avevamo fatto negli anni, non ci eravamo persi di vista e credo che volesse sperimentare delle vie nuove, sperimentare una nuova via attraverso il cinema, farsi dirigere da noi. Ci portò dunque La notte di Agostino il topo, Faccia d’osso e Il Corto e il Muto, al tempo tutti testi inediti [Nel 2008 La notte di Agostino il topo è stato pubblicato in Teatro all’Albergheria per Ubulibri]. Spesso chiacchierava con Claudia Uzzo che ha raccolto nel corso del tempo questi testi e poi proprio grazie a lei abbiamo intrapreso questa strada e siamo arrivati a curare assieme questa regia.

Parlami ancora di questi personaggi.

Dunque da una parte il corto e il muto, una coppia così oscena e carnascialesca ma così al tempo stesso straordinariamente innocente, intrisa di una crudeltà ma anche di una sorta di infantilismo, paradossalmente di candore, che invece è candore a tutto schermo nell’altra coppia speculare, Totò e Vicé. Queste due figure hanno molto a che fare con il sacro, hanno una leggerezza angelica contrapposta al ventre, la carne e la bassezza della strada. Per quanto riguarda la terza coppia abbiamo voluto rileggere i protagonisti de La notte di Agostino il topo con le luci del varietà, come fossero personaggi da avanspettacolo.

Sotto il profilo scenico da un lato mantenete l’intima identità scaldatiana, con elementi quali la luna, il doppio, le apparizioni dei personaggi mentre dall’altra gli innesti di Cinico TV, le citazioni cinematografiche, un senso di comicità leggera, che non vuol dire superficiale perché attraverso quella leggerezza è possibile andare a fondo.

Provando a non tradire la parola e la sua poeticità, abbiamo sentito la necessità di rifare Franco in un modo diverso da quello perseguito per quarant’anni. Già un po’ in Lucio ma soprattutto in questo caso abbiamo voluto rischiare, fare un lavoro su di lui, dare di Scaldati un’interpretazione libera, senza ibernarlo o trattarlo come reliquia. Non una libera interpretazione, ma il rispetto di quella vita, la restituzione di quella “magia” che gli attori hanno impressa nei volti, sui loro corpi.

Foto Salvo Lannino/STUDIO CAMERA
Foto Salvo Lannino/STUDIO CAMERA

Come hai lavorato con gli attori?

Ho avuto la fortuna di trovare questi tre attori che portano dentro di loro la memoria della strada che Franco aveva messo in poesia, quella umanità disseminata in tutta la sua opera che sarà sempre più difficile, se non impossibile, da ritrovare. Ciascuno di loro ha un fortissimo senso del comico, ma il grande attore comico ha dentro di sé anche il tragico – penso a un attore come Alberto Sordi che incominciò a fare le macchiette, ma poi già con Una vita difficile, pubblico e critica trovarono in lui una profondità che inglobava ma andava anche oltre quella guitteria. Questo è un lavoro corale, anche se primo riferimento è sicuramente Melino Imparato, l’attore “storico” che ha ereditato il modo di fare teatro di Scaldati. Piano piano hanno sempre più trovato il riferimento in Melino, ma anche lui a volte ha saputo seguirmi in direzioni diverse da quelle per lui più consuete. Gino Carista, che assieme a Melino aveva già lavorato con me in Lucio, proviene invece dal cabaret. Quello più ibrido è Giacomo Civiletti: ha lavorato in altri due casi con Scaldati, e ha anche partecipato a spettacoli musicali come Rinaldo in campo di Garinei e Giovannini; mi piacerebbe portare alla luce ancora di più il suo versante tragico.

Qual è per te il senso nel continuare a raccontare queste figure a limite della non esistenza?

Se si fosse rappresentato Totò e Vicé quaranta o cinquant’anni fa, io credo che il pubblico avrebbe facilmente sentito una sorta di prolungamento sulla scena, una sorta di teatro verista, che, chiaramente, Scaldati ha trasfigurato con la sua poesia. Se è vero che la lingua cambia, è “in continuo mutamento” come avrebbero detto Totò e Vicé, tuttavia la ricerca di Franco Scaldati sul palermitano, la sua lingua poetica, va preservata. È chiaro che ora un ragazzo di vent’anni ha una vaga contezza di quel mondo, non esiste più quella “umanità del sottosuolo” che rintraccio nei personaggi di Franco e che era anche la stessa dei personaggi di Cinico TV, comunque successivi al suo lavoro. Questa è la malinconia che alcuni trovavano dietro i nostri lavori: dietro il cinismo, dietro la crudeltà, in Cinico TV c’era la consapevolezza che quel mondo era sparito. E di questo parlavo con Franco, che negli ultimi anni era sempre più pessimista, veniva fuori un mondo in cui le voci dei poeti venivano sommerse da un rumore che impedirà sempre di più di ascoltarle, di trasfigurarle. Leggevi nel suo sguardo una rassegnazione, una dolorosa accettazione. Franco era uno sperimentatore, voleva cercare di interpretare il contemporaneo, mi viene da pensare allora che certi riferimenti tecnologici rintracciabili nei suoi ultimi testi, il mutamento nella sua lingua sempre più orientata verso l’italiano, forse indicano proprio questo segnale di soccorso, ed è questo che mi spinge a portarlo in scena.

Viviana Raciti

Teatro Biondo, Palermo – febbraio 2016

TRE DI COPPIE
di Franco Scaldati
regia
Franco Maresco
regista collaboratrice Claudia Uzzo
scene e costumi Cesare Inzerillo e Nicola Ferruzza
luci Cristian Zucaro
musiche Salvatore Bonafede
con Gino Carista, Giacomo Civiletti, Melino Imparato
produzione Teatro Biondo Palermo

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

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