Veronica Cruciani in Due donne che ballano di Josep Maria Benet I Jornet dirige due attrici straordinarie: Maria Paiato e Arianna Scommegna. Recensione
La continua ricerca della verità scenica: questo il Santo Graal di registi e attori. Quando tale verità deve affiorare all’interno di una visione naturalistica del teatro ecco allora che i registi debbono fornirsi di interpreti con un bagaglio tecnico in grado di compiere quel piccolo miracolo che è appunto la naturalezza. Spesso su queste pagine ci siamo trovati a parlare di drammaturgie con buone idee, ma di attrici e attori incapaci di dare vita al testo. D’altronde viviamo un momento di normalizzazione come non accadeva da anni: il testo è tornato definitivamente al centro delle modalità con cui anche i nuovi artisti affrontano la scena, anzi pare quasi l’unica modalità. Le cause sono diverse, hanno origini anche produttive e non avremo il tempo di sondarle in questa occasione. Ma è sotto gli occhi di tutti: le ricerche formalmente più radicali sembrano ormai essere appannaggio di pochi artisti o gruppi e hanno invece buon gioco nei territori della danza contemporanea, che però a Roma stenta a trovare spazio se non nei soliti fugaci – e indispensabili – eventi. Qualche anno fa si lamentava l’assenza di drammaturgia contemporanea, oggi rischiamo un’indigestione di dialoghi, spesso con una struttura di matrice classica.
Veronica Cruciani, che qui firma la regia, è andata a scovare un testo per due attrici tra le prove dell’autore catalano Josep Maria Benet I Jornet e ha allestito, attraverso la produzione del Teatro Carcano di Milano, Due donne che ballano, appena passato al Teatro India di Roma. E per una volta sono proprio le interpreti a esaltare un testo interessante solo nell’idea, ma deludente nello svolgimento. Maria Paiato e Arianna Scommegna sono due giganti: la seconda arriva all’essenza del proprio personaggio forse con qualche attimo di ritardo, ma poi rimane all’altezza di un ruolo molto difficile da affrontare. Siamo spettatori di una quotidianità statica: due donne si incontrano in una casa vecchia e malandata, le posizioni sono apparentemente semplici, la più giovane dovrà aiutare l’altra nelle faccende di casa.
La scena di Barbara Bessi è una sezione perfetta, con tanto di pavimento, mura lise, una porta centrale che divide due ambienti. Paiato e Scommegna si muovono tra mobili ordinari, come ordinari sono i loro vestiti. Tanto che non riusciamo a capire in quali anni sia ambientata la pièce. Cruciani ce lo nasconde con dovizia, potrebbero essere gli anni Sessanta come il nostro presente. Perché a essersi fermate sono in realtà le vite delle protagoniste: vivono in un limbo senza futuro. In fondo il fragile testo di Benet I Jornet è la storia di un’amicizia, di un rapporto inizialmente pieno di incomprensioni e difficoltà, ma che nel tempo arriva a un punto di sublimazione tale da permettere alle due un gesto estremo ma condiviso.
Un altro dato che ci viene abilmente sottratto è relativo al luogo. Solo grazie all’accento delle protagoniste possiamo intuire una bussola puntata a nord, ma niente di più: come per l’abbigliamento grigio, anche qui il particolare fonetico rimanda quasi a un ambiente geografico non specifico. E il gioco funziona perché chiudendo gli occhi potremmo immaginare quella vecchia casa immersa tra la nebbia padana. La vecchia signora ha tratti e lingua taglienti; è diventata gelida all’ombra del marito. Ma anche l’altra, ancora giovane, ha abbandonato qualsiasi anelito di felicità, porta in grembo un segreto troppo grande e doloroso che non le permette più di affrontare la vita quotidiana e di relazionarsi con gli altri. Solo la prima riesce a creare un approdo sicuro nel quale l’altra può tornare in contatto con un altro essere umano. Nell’espressione di questa relazione, nelle sfumature vocali di Paiato, nel viso di Scommegna bloccato dal dolore, nei silenzi e nei ritmi di certe risposte o imbeccate si manifestano due talenti eccellenti e un tocco registico minuzioso nel lavoro sugli spazi e sulla relazione fisica – coadiuvato dalle luci suggestive di Gianni Staropoli.
È davvero un peccato che il testo non sia del tutto all’altezza della visione scenica: si perde in ripetizioni senza andare oltre le situazioni abituali, poi nell’ultima parte una contingenza legata alla famiglia della signora accelera gli eventi fino a una tremenda presa di coscienza. L’atto irreparabile viene compiuto tra un ballo e un sorriso sovvertendo così qualsiasi retorica; se dunque da una parte nel trattamento del finale sta il fascino del testo –accompagnato dalla regia che ne esalta la leggerezza – allo stesso tempo la dinamica si rivela innaturale. La mancata problematizzazione di una scelta definitiva, attorno alla quale invece poteva essere costruito il dramma, fa sì che la drammaturgia appaia ingiustificatamente scarna nell’attesa di in un colpo di scena dalla grande poesia. Ce ne andiamo con un sorriso sulle labbra che però sparisce quando cominciamo a guardare criticamente dietro quella leggerezza.
Andrea Pocosgnich
Teatro India, Roma – febbraio 2016
DUE DONNE CHE BALLANO
di Josep M. Benet Jornet
regia Veronica Cruciani
traduzione Pino Tierno
con Maria Paiato e Arianna Scommegna
Produzione La Contemporanea
Prossime date in tournèe per Due donne che ballano
dal 10 al 14 febbraio 2016 Napoli Teatro Nuovo
dal 19 al 21 febbraio 2016Pistoia Teatro Manzoni
23 febbraio 2016 Potenza Teatro Don Bosco
24 febbraio 2016 Matera Teatro Duni
25 febbraio 2016 Bisceglie (BAT) Teatro Garibaldi
26 febbraio2016 Mola di Bari (Bari) Teatro Van Westerhout