Nella rassegna Il teatro fa grande all’Argentina di Roma debutta Leo, per la regia di Francesco Frangipane. Recensione.
Nell’approcciarsi al lavoro dell’attore e nel tentativo di strutturare un programma pedagogico che formasse una nuova idea di teatro, il regista Jacques Copeau – uno dei più importanti protagonisti delle avanguardie storiche di primo Novecento – vedeva nel gioco infantile una fonte inesauribile e rivelatrice, una «manifestazione insieme logica, coerente e creativa» in cui la finzione totale rivelava le più profonde capacità espressive dell’essere umano.
Nel mese di dicembre eravamo stati spettatori di una (a dire il vero sontuosa) produzione dello stesso Teatro di Roma, Mediterranea Foodball club – da un’idea di Nicola Sapio, Gianfranco Teodoro e Gigi Palla, che firmava anche la regia. Si trattava – a nostra opinione – di un macchinoso esperimento di intrattenimento ammiccante mascherato da gioco interattivo: ruotando attorno all’estetica (e all’etica) del videogame si proponeva di trapiantare qualche seme di moralità da appartamento promuovendo un’alimentazione sana e rispettosa della natura. In scena vi erano un’attrice mascherata da mammina repressiva e due adulti camuffati da bambini, intenti a portare avanti una drammaturgia confusa, assordante e qua e là pericolosamente incrinata su un modello che, ahinoi, è molto comune nel teatro ragazzi che punta a fare cassa: rappresentare il mondo dei più piccoli attraverso una mimesi estremamente superficiale che finisce per scimmiottare gli spettatori. E, in questo particolare caso, l’immaginario ludico veniva soffocato da un eccesso di tecnologia e da un piano semantico e semiologico apparentemente non attento alle reali opportunità di contatto con le peculiarità del target.
Il motivo per cui cogliamo l’occasione di parlarne sta nel fatto che la successiva produzione del Teatro Nazionale capitolino per la stagione Il teatro fa grande sembra invece cogliere le stesse premesse per declinarle in una più consapevole e intelligente messinscena, realmente vicina ai modelli di fruizione di un pubblico di bambini. Leo nasce da un’idea di Alberto Nucci Angeli e Lorenzo Terranera, inizialmente indirizzata alla realizzazione di un film d’animazione. Eppure il contesto teatrale si tramuta in un contenitore perfetto. La drammaturgia, curata da Nucci Angeli insieme a Luisa Mattia, immagina un viaggio nella mente del Leonardo da Vinci bambino.
Il Maestro è costretto a letto da una strana forma di malattia che, si dice, lo ha «rinfanciullito»; Lisa e Maso – Silvia Salvatori e Arcangelo Iannace formano una divertente coppia comica à la Gatto e la Volpe – sono chiamati dal Re di Francia a fargli visita, con il progetto di rubare i segreti del suo genio. Ad accoglierli è la sorpresa di trovare Leonardo tornato bambino (Beatrice Fedi), ancora alle prese con quell’affamata curiosità che ne farà l’artista/scienziato/inventore più importante di sempre. La scena ospita un letto a baldacchino e un enorme fondale di legno composto di sole ante, cassetti e abbaini. I due manigoldi si troveranno lanciati a capofitto in un bislacco e forsennato gioco al “facciamo che io ero… facciamo che tu eri…”, finché il loro subdolo assecondare si trasformerà in reale meraviglia, partecipando alle sperimentazioni sull’uomo volante, sulle carrucole, sui prototipi di bizzarri strumenti musicali. Vincenzo De Michele è abile nel trasformarsi in un ventaglio di personaggi, dal maggiordomo/automa che si incanta di continuo al padre e al nonno di Leonardo, fino al perfido “orco” Attaccabriga.
Se la platea gremita tiene l’attenzione ferma sul palco è perché la regia di Francesco Frangipane è rigorosa e ingegnosa nel distribuire l’idea dell’invenzione creativa in un incalcolabile numero di giochi avventurosi. Alternando momenti di pura commedia a malinconiche riflessioni del bambino che vede nelle venature delle foglie lo specchio della natura umana, il letto si trasformerà ora in una torre ora in una nave dei pirati, le ante saranno ora portoni ora finestre, i cassetti si apriranno a farsi pioli per raggiungere lo scrigno contenente «il segreto di tutte le cose».
Nel foyer del teatro sono esposti i disegni realizzati dai bambini (di cui proponiamo qualche esempio) con la tipica “matita sanguigna” di Leonardo, per mostrare di quali invenzioni avrebbe bisogno il mondo che immaginiamo.
Come nel malinconico Peter Pan di Barrie, a governare le vele di questo folle volo è dunque un’epifania semplice: è la fantasia a fare del bambino l’uomo che vorrà diventare. Senza alcuna concessione a una forma teatrale indulgente e banalmente ammiccante, il mondo – sembra dirci questo luminoso lavoro – è esattamente come immaginiamo che sia, nulla di quel che ci accadrà sarà insuperabile, tutto perfettamente della nostra misura. La logica diventa coerenza attraverso la creatività. Di che altro ha bisogno un bambino per affacciarsi al segreto di tutte le cose?
Sergio Lo Gatto
Teatro Argentina, Roma – febbraio 2016
LEO
da un’idea di Alberto Nucci Angeli e Lorenzo Terranera
testo Luisa Mattia e Alberto Nucci Angeli
regia Francesco Frangipane
produzione Teatro Argentina
in collaborazione con Unicef
con Vincenzo De Michele, Beatrice Fedi, Arcangelo Iannace, Silvia Salvatori
scene Lorenzo Terranera
costumi Roberta Spegne
luci Giuseppe Filipponio
musiche Roberto Angelini