Roberto Latini è in scena fino al 7 febbraio al Teatro Vascello di Roma con lo spettacolo Ubu Roi e dal 17 al 28 al Teatro India con I Giganti della montagna. In occasione di un incontro ospitato dall’Università Sapienza di Roma, gli abbiamo posto alcune domande relative al suo percorso.
Negli anni come si è evoluto o sta evolvendo il tuo pensiero d’attore? Mantiene una coerenza rispetto agli inizi o ti capita di stupirti per svolte inattese?
Mi capita costantemente. Il mio percorso è proprio all’insegna della manomissione del provvisorio, delle certezze raggiunte o conquistate, anche se preferirei dire della coscienza del verosimile. Ci si accompagna in scena o ci si toglie quando è il momento preciso; non mi riferisco soltanto al tempo, ma proprio a ogni singolo frammento dello spettacolo in cui bisogna saper uscire e saper entrare. Averne coscienza il più possibile vuol dire prenderne parte, a dispetto del viversi casualmente. Per me il piacere risiede tutto lì.
A proposito di questo, pensi che la ricerca drammaturgica in Italia abbia ancora i suoi spazi, e se sì quali, o credi invece che la situazione attuale del teatro, mi riferisco in particolar modo ai provvedimenti legislativi, la stia gradualmente accantonando?
È un argomento rispetto al quale potremmo attuare una sintesi desolante e cioè che l’Italia è abitata dagli italiani, il che potrebbe sembrare quasi uno slogan. Per italiani intendo “noi” che abbiamo una capacità rara o unica al mondo di trovare sempre nuove modalità di riuscita, in ogni situazione. La drammaturgia in sé non è un problema, lo è il contenitore di tutto il teatro: quegli italiani lì che non ce la fanno proprio ad avere a che fare con il coraggio. Ecco sì, “coraggio” è una parola molto poco italiana. Noi non abbiamo avuto la Rivoluzione.
Prendendo in prestito la tematica di Ubu enchaîné, libertà e schiavitù in che relazione convivono nel tuo corpo d’attore?
L’immagine del ponte è sempre preziosa. Si stabilisce un ponte e tra un punto e un altro non sai mai quale sia la sua metà: se ci si veda all’inizio del ponte, alla fine del ponte o in mezzo. Quel “quasi” non si conosce, è sempre diversamente interpretabile. L’unica certezza è la possibilità di quel ponte.
Al di là della definizione enciclopedica, che cos’è per te un “classico” e su cosa basi la tua scelta per lavorarci?
“Classico” è qualcosa che già è o che può diventare occasione per il teatro, e lo è già prima della modalità in cui puoi proporlo. Non c’è il contemporaneo, non c’è l’oggi per il classico. Deve essere ricercato ciò che adesso vuol dire quel testo. La scelta viene fatta nell’ottica di un voler andare avanti, di un voler continuare. Il punto successivo prosegue da un punto d’arrivo precedente, attraverso i classici c’è qualcosa che sta continuando. Lo chiamerei “percorso”.
Ubu Roi, o della sua maleducazione. Invettiva surrealista e un po’ assurda. Quanto pensi sia importante la maleducazione rispetto alla tradizione?
Ho pensato negli anni che se fossi stato più maleducato, avrei fatto meno fatica. Ma non è la maleducazione di Jarry, lo definirei piuttosto “non bene educato”. Alfred Jarry pone una questione, l’unica intorno alla quale ha cercato di insistere, che è quella del gioco teatrale. Ubu Roi è un testo impossibile da mettere in scena, davvero impossibile per com’è. Il motivo per cui si ha quel testo è perché se Jarry potesse parlare adesso, ci chiederebbe di aver a che fare con quest’impossibilità. E allora che cosa e come? Non ci chiede altro che di giocare con questo materiale.
Lucia Medri
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UBU ROI
di Alfred Jarry
adattamento e regia Roberto Latini
musiche e suoni Gianluca Misiti
scena Luca Baldini
costumi Marion D’Amburgo
luci Max Mugnai
con Roberto Latini
e con
Francesco Pennacchia, Padre Ubu
Ciro Masella, Madre Ubu
Sebastian Barbalan, Regina Rosmunda/ Zar Alessio
Marco Jackson Vergani, Capitano Bordure/ Orso
Lorenzo Berti, Re Venceslao/ Spettro/ Nobili
Guido Feruglio, Principe Bugrelao
Fabiana Gabanini, Palotini/ Orsa/ Messaggero
direzione tecnica Max Mugnai
collaborazione tecnica Nino Del Principe
assistente alla regia Tiziano Panici
cura della produzione Federica Furlanis
promozione e comunicazione Nicole Arbelli
foto Simone Cecchetti
un progetto realizzato con la collaborazione
Teatro Metastasio Stabile della Toscana
I GIGANTI DELLA MONTAGNA
di Luigi Pirandello
adattamento e regia Roberto Latini
con Roberto Latini
senza Federica Fracassi
musiche e suoni Gianluca Misiti
luci e direzione tecnica Max Mugnai
video Barbara Weigel
assistente alla regia Lorenzo Berti
collaborazione tecnica Marco Mencacci
realizzazione elementi di scena Silvano Santinelli
organizzazione Nicole Arbelli
foto Simone Cecchetti
produzione Fortebraccio Teatro
in collaborazione con Armunia Festival Costa degli Etruschi
Festival Orizzonti . Fondazione Orizzonti d’Arte
Emilia Romagna Teatro Fondazione