Emma Dante firma la regia della Cenerentola di Gioachino Rossini, in scena al Teatro Costanzi fino al 19 febbraio, tra gli spettacoli più attesi del cartellone lirico romano. Recensione
L’amour est un oiseau rebelle. È l’opera sbagliata, è vero: Cenerentola vive un unico, grande amore, tutt’altro che incostante o “ribelle”, e men che meno canta in francese. Eppure è proprio Carmen, la passionale zingara di Bizet dai mutevoli e volubili amori, il filo invisibile che ha acceso i riflettori sull’eroina rossiniana in scena fino al 19 febbraio all’Opera di Roma. Rendendo questa Cenerentola la più attesa di tutti i cartelloni italiani.
Il motivo? Un altro tipo di amore, quello che si può provare dalla prima apertura fino all’ultima chiusura di un sipario. Un simile “innamoramento” teatrale avveniva per moltissimi appassionati d’opera poco più di sei anni fa alla Scala di Milano, e la protagonista era proprio Carmen. O meglio, era Emma Dante: regista coraggiosa e poliedrica, aveva sfidato le correnti più tradizionaliste del Piermarini regalando al pubblico scaligero un’apertura di stagione senza precedenti. La sua Carmen era un concentrato di provocazione e forza, espressività e colore, erotismo e morte: qualcosa che si poteva amare oppure odiare, ma che non poteva lasciare indifferenti. E infatti le reazioni furono tra le più violente mai suscitate da una prima alla Scala: c’erano i fischi e c’erano gli applausi da spellarsi le mani, le critiche feroci e le lodi più sfrenate. La seconda schiera di spettatori corrispondeva soprattutto (ma non sempre) al “nuovo” pubblico, più incline ad accogliere la lettura spregiudicata della regista palermitana.
Lo stesso pubblico che, forse, attendeva con trepidazione questa Cenerentola romana: le aspettative erano altissime, alimentate anche dalle notizie trapelate nelle settimane precedenti. «La Cenerentola di Gioachino Rossini secondo la visione di Emma Dante sta per sconvolgere la tranquilla austerità del teatro dell’Opera di Roma, diceva ad esempio il lancio ANSA alla vigilia del debutto. Tutto faceva presagire una nuova piccola rivoluzione nel mondo della regia lirica contemporanea.
Eppure la «tranquilla austerità» del Costanzi non è stata minimamente scalfita. Certo, se pensiamo a colossi della tradizione, come la storica versione della Cenerentola di Jean Pierre Ponnelle del 1981, l’allestimento di Emma Dante risulta senza dubbio una rilettura in chiave moderna. Intelligente, a tratti innovativa, con qualche idea interessante. Ma senza un cuore pulsante a muovere le azioni dei personaggi, che sembrano più che altro tante figurine accumulate sul palcoscenico a ingombrare uno spazio costantemente pieno. Troppo pieno. Il perenne sovraffollamento di tutte le scene, anche quelle più “individuali”, soffoca completamente la tensione narrativa della storia e il risultato è uno sfarzoso quadro su cui è difficile posare lo sguardo.
Cenerentola, oppressa dalle sorellastre e dal patrigno – la matrigna della fiaba, così come la fata, diventano figure maschili nello splendido libretto del romano Jacopo Ferretti – si “moltiplica” e viene circondata da sei sosia. Sei bambole meccaniche identiche con tanto di chiavetta ricaricabile sulla schiena, che come degli alter ego inanimati spazzano, puliscono, corrono qua e là, attorniano gli altri personaggi. Se la trovata è estremamente funzionale in alcuni passi dell’opera, come il Cenerentola vien qua cantato freneticamente dalle sorellastre, il più delle volte risulta un faticoso riempimento della scena che distrae e alla lunga stanca. Tanto più che l’espediente è ripetuto per Don Ramiro, il futuro re travestito da semplice scudiero che rapisce il cuore di Cenerentola: le sei bambole-principe risultano ancora più artificiose e la presenza di tutti questi figuranti finisce per appiattire completamente le sfumature dell’opera.
Sfumature che (tornando solo per un istante a Carmen) nella regia scaligera Emma Dante aveva saputo valorizzare a ogni livello, creando una fusione perfetta tra azione e musica. Qui invece il ricchissimo tessuto sonoro della partitura rossiniana sembra cucito sopra a questa gigante macchina registica, i cui ingranaggi si muovono in modo slegato e poco armonico.
E così i temi di forte denuncia che la regista voleva dichiaratamente mettere in evidenza – la condizione della donna, la violenza domestica – diventano una sorta di meta-livello astratto che lo spettatore intuisce ma non sente. Ad esempio la tempesta del secondo atto, che con l’incalzare della musica si trasforma nella visione di Emma Dante in una vera e propria pioggia di pugni inflitta a Cenerentola dalla perfida famiglia, resta un’idea originale slegata dal resto: la violenza subita dalla ragazza non viene in alcun modo preparata, trasformata in emozione, calata nel libretto.
Per questo si ha l’impressione che regia, narrazione e musica viaggino su tre binari un po’ diversi. A questo “scollamento” contribuisce in parte anche la direzione di Alejo Pérez, carismatica e incalzante in alcuni fondamentali momenti d’insieme (perfettamente bilanciate le armonie Mi par d’essere sognando del finale primo atto e Questo è un nodo avviluppato del secondo atto), ma troppo “studiata” e rigida nel resto.
A questa generale forzatura rimediano almeno in parte le voci, che Rossini più di altri compositori rende esse stesse strumenti musicali. Reggono piuttosto bene la prova i due protagonisti, interpretati dal mezzo soprano Josè Maria Lo Monaco e dal tenore Giorgio Misseri, nonostante una leggera debolezza vocale di entrambi nei momenti corali. Spicca il Don Magnifico di Carlo Lepore, strepitoso nella sua interpretazione del patrigno spietato ma al tempo stesso irresistibilmente comico. Splendide infine le sorellastre Clorinda e Tisbe, rispettivamente Damiana Mizzi e Annunziata Vestri, che oltre a un’ottima interpretazione regalano il valore aggiunto di un grande lavoro di squadra, formando sulla scena un vero e proprio duo tragicomico.
È forse proprio nella coppia di sorelle che la regia trova terreno più fertile: nella dinamica tra Clorinda e Tisbe, molto studiata e sicuramente ben riuscita, si intravedono tutte le potenzialità del lavoro introspettivo che Emma Dante è in grado di fare sui personaggi. Ma questa profondità resta pura intuizione, schiacciata dall’abbondanza scenica e dalla mancanza di un filo conduttore forte.
Mancanza che, va ammesso, potrebbe confondersi con una vera e propria nostalgia: quella per la regista di circa sei anni fa, al suo primo confronto con l’opera lirica. Un pensiero riassunto da un frammento di frase, pronunciata da una spettatrice all’uscita da teatro: «Sì, forse questa Cenerentola di Emma Dante mi sarebbe anche piaciuta. Se solo non avessi visto Carmen».
Giulia Bonelli
Teatro Costanzi, Roma – gennaio 2016
LA CENERENTOLA
Musica di Gioachino Rossini
Dramma giocoso in due atti
Libretto di Jacopo Ferretti basato sul libretto francese
di Etienne per la Cendrillon di Isouard
DIRETTORE Alejo Pérez
REGIA Emma Dante
MAESTRO DEL CORO Roberto Gabbiani
SCENE Carmine Maringola
COSTUMI Vanessa Sannino
MOVIMENTI COREOGRAFICI Manuela Lo Sicco
LUCI Cristian Zucaro
INTERPRETI PRINCIPALI
DON RAMIRO Juan Francisco Gatell /
Giorgio Misseri 23, 27, 29, 12, 19
DANDINI Vito Priante /
Giorgio Caoduro 23, 26, 29 /
Filippo Fontana 12, 19
DON MAGNIFICO Alessandro Corbelli /
Carlo Lepore 23, 27, 29
CLORINDA Damiana Mizzi
TISBE Annunziata Vestri
ANGELINA Serena Malfi /
Josè Maria Lo Monaco 23, 27, 29, 19
ALIDORO Ugo Guagliardo /
Marko Mimica 23, 24, 26, 28, 29
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera
Nuovo allestimento
Con sovratitoli in italiano e inglese