All’interno della rassegna Una stanza tutta per lei al Teatro Due di Roma Clara Galante autrice e interprete di Non sono stata finita. Recensione
L’abito non fa il monaco dicono, ma sul palco del Teatro Due proprio un vestito si è fatto racconto di una lacerazione, strappo fatto nel grembo, sacco nel quale rigirare i resti di un corpo che stenta a riconoscersi come entità indivisa. Creato da Maurizio Galante, è la prima dimora scenica di Non sono stata finita, poemetto per corpo e voce scritto diretto e interpretato da Clara Galante che dalla violenza di un fatto di cronaca prende lo spunto per lavorare su una distanza scenica e poetica, ergersi non tanto a simbolo di una tragedia soltanto di genere, quanto del processo di rielaborazione sul come sopravvivere al male.
Quarto spettacolo della rassegna al femminile Una stanza tutta per lei, (che da ottobre replicherà il suo cartellone anche a Milano al MiMat Teatro San Carlo), il lavoro pone al centro la storia di Francesca Baleani, trovata abbandonata in un sacco d’immondizia nel 2006 e miracolosamente salvatasi. L’orrore della cronaca è fortunatamente mediato da una scrittura metrica e ritmica ben precisa, drammaturgia verbale e scenica che incarna la frammentazione dell’evento narrato, dove la rima è il filo con cui ricucire le parole sconnesse. Non più persona ma cosa, «albume da frittata / scaraventata al muro / come vestaglia». Ecco cosa rivela la condizione umana di questo personaggio, intrappolato su un tavolo, dentro un vestito che le imprigiona i piedi e una memoria che è costretta a dividere il peso di una realtà troppo terribile.
Alla prima parte più sospesa, quasi danzata, circondata da un tappeto musicale straniante, tra cinguettii d’uccellini e schiocchi di baci, fa seguito una seconda in cui l’attrice scende giù dal suo “palco”, il tavolo, si rifugia ai suoi piedi dialogando nel ricordo con l’uomo-carnefice – ritratto con in una mano un mazzo di fiori e un bastone nell’altra. La quotidianità però viene di nuovo messa sotto scacco, scaraventata come la tazzina di caffé simbolo dell’incontro, Francesca ritornerà sopra il tavolo, sopra la propria storia, diventando icona di una madonna martirizzata, maschera di sangue e palme offerte, come un richiamo: «Venite a trovarmi nel mio corpo».
Vittima di violenza fisica le cui conseguenze si rivelano anche in una dimensione dissociata nella quale l’io non può più rappresentare se stesso, dove l’essere corpo non è più verità accettabile perché troppo sofferta, troppo oltre la ragione per non definirlo incubo. Di questo lavoro dal forte impatto emotivo bisogna rilevare sicuramente la gestione accuratissima dello spazio: l’epicentro delle tensioni è il corpo dell’attrice ma è anche il tavolo, esplorato nelle sue possibilità centimetro per centimetro, gabbia claustrofobica e trampolino. Se la prosodia soffre a volte delle aperture monotòne, di un gusto della ripetizione che sconfina nell’urlo, l’energia arriva più che da questi exploit dai silenzi, nel dialogo silente con l’assassino, attraverso tutto il ri-compimento dell’orrore sublimato dall’atto scenico, dove parola e gesto diventano sintesi di una denuncia sociale e al contempo se ne distaccano.
Viviana Raciti
NON SONO STATA FINITA
Poemetto per corpo e voce ispirato ad una storia vera
di Clara Galante
diretto e interpretato da Clara Galante
costume Maurizio Galante
suggestioni musicali originali di Clara Galante