Beppe Severgnini sbarca in teatro con un adattamento del suo romanzo La vita è un viaggio. Lo abbiamo visto al Teatro Vittoria di Roma. Recensione
Beppe Severgnini è un personaggio popolare. Un intellettuale, un giornalista, uno scrittore, ma anche un volto riconoscibile. Intorno alla carta stampata del Corriere della Sera – dove “risiede” come editorialista dal 1995 – c’è il suo seguitissimo blog Italians, ospitato dallo stesso quotidiano, ci sono decine di collaborazioni con programmi televisivi e radiofonici, corrispondenze dall’estero tra est-Europa, Russia, Cina, Stati Uniti e Inghilterra (collaborando con The New York Times, The Economist e BBC). Questi ultimi due paesi, in particolare, lo apprezzano molto, conferendogli posti in classifica nei New York Times Bestsellers, un’ottima popolarità e addirittura un’onorificenza della Regina Elisabetta. Non è una novità che figure simili, dopo lunga navigazione in arcipelaghi affini, sbarchino a teatro. Severgnini lo ha fatto debuttando un anno fa con La vita è un viaggio, una vera e propria drammaturgia tratta dall’omonimo romanzo (Rizzoli, 2014) che lo vede in scena come “attore di se stesso”.
Aeroporto di Lisbona, notte. Uno sciopero lascia a terra tutti i passeggeri. In un salottino si incontrano uno scrittore di mezza età (Severgnini) e un’attrice ventottenne (Marta Isabella Rizi). In viaggio verso un convegno a Boston lui, lei in procinto di trasferirsi in Brasile per aprire un bar sulla spiaggia con il ragazzo surfista: dopo qualche resistenza data dalle classiche distanze generazionali, finiranno per intavolare una ricca chiacchierata sul senso della vita e dell’essere in viaggio.
Severgnini sceglie una via non facile e questo è apprezzabile: quella che avrebbe potuto essere l’ennesima comparsata dell’opinionista che usa il palco teatrale come una delle tante agorà per una presa di parola diventa invece uno studiato tentativo di innesto artistico. Il suo nome e cognome non vengono mai nominati, dettaglio onirico che ci fa leggere l’intera vicenda come una proiezione dei ragionamenti di un padre che parla al figlio. E infatti – ce lo confessa lo stesso attore/autore in qualche a parte consegnato al pubblico – quel figlio c’è davvero, è una creatura di questi tempi, nato e cresciuto in quest’epoca frenetica, alle prese con le stesse fuggevolezze emotive di Marta. Il trasfert tra vita reale e finzione scorre nel dialogo con ritmo e fluidità solo a volte spezzati dall’emergere incontrollato di quella vena sardonica e un po’ pedante, à la Woody Allen primo periodo, propria del Severgnini giornalista.
Si parla del viaggio come dimensione dell’io, delle regole che impone e delle porte che spalanca, si parla della possibilità, tenendosi sempre in movimento, di misurare meglio le distanze tra conquiste e aspettative, si parla del nostro “essere italiani” e di come questo sia insieme croce e delizia di un popolo che resta a galla quando potrebbe nuotare o affonda quando potrebbe aggrapparsi a qualche zattera di buon senso e di umiltà. Si parla, si parla, si parla forse troppo. La regia di Francesco Brandi è timida e pulita, lascia spazio alle voci microfonate, distribuendo solo poltrone da terminal e un aeroplano di carta gigante che pende dal soffitto, illuminato da tenui gelatine colorate. Il commento musicale offerto dal vivo dalla voce e dalle corde di Kiss&Drive (al secolo Elisabetta Spada) – sulla scena come fosse una terza viaggiatrice e insieme aedo – è luminoso e affascinante e aiuta il pubblico a prendere fiato. Tuttavia un tale fiume di parole (pur se ben stemperato dall’ironia di lui e dal lavoro d’attrice di lei) non riesce a non scivolare, talvolta, in canali di retorica e in qualche stereotipo. Come le parole chiave che dovrebbero portare alla fiducia interiore e alla soddisfazione in ogni campo del vivere sociale.
Per quanto emerga l’intenzione di mostrare tenerezza nel dialogo tra i padri e i figli, la scrittura di Severgnini si lascia trascinare in metafore saporite, dialoghi ben architettati e divertenti ma che espongono ragionamenti poco critici, togliendo spazio a qualsiasi reazione che non sia un sorriso di condiscendenza e di adesione. A questo esperimento nel complesso sincero e gradevole manca forse una più fine consapevolezza del mezzo teatrale, che – a differenza di saggistica, letteratura e giornalismo – deve sempre considerare il pubblico come parte attiva che condivide spazio e tempo con la storia e i suoi interpreti. Una comunità di cui va conservato il lusso di dubitare, più che il conforto dell’essere d’accordo.
Sergio Lo Gatto
Teatro Vittoria, Roma – gennaio 2016
LA VITA È UN VIAGGIO
di Beppe Severgnini
con Beppe Severgnini e Marta Isabella Rizi
Musiche originali eseguite dal vivo di Kiss & Drive
regia Francesco Brandi
produzione Mismaonda
La condiscendenza è l’atto di acconsentire a qualcosa per compiacere gli altri. Mi sembra il sentimento perfetto per raccontarsi mentre si va a vedere Severgnini, il geografo dei luoghi comuni.
una lunga serie di afosrismi buttati li come se si stesse digitando il testo su un computer…