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Santeramo+Sinisi. Un’Europa alla fine del mondo

In scena al Teatro India di Roma Scene di Interni dopo il disgregamento dell’Unione Europea, atto unico di Michele Santeramo diretto da Michele Sinisi. Recensione

foto ufficio stampa
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Che cosa accadrebbe se si avverassero certi oscuri presagi sulla deriva dell’Europa? Che cosa diventeremmo tra quarant’anni? Con che facce si guarderebbe una coppia? Quali parole userebbe per confortarsi, rifiutarsi o insultarsi? Al Teatro India di Roma abbiamo visto uno spettacolo insolito, violento nella sua enigmatica crudezza, in qualche modo subdolo e mai del tutto diretto a noi, in più di un passaggio annodato sui suoi due interpreti.

Scene di interni dopo il disgregamento dell’Unione Europea è un atto unico scritto da Michele Santeramo e messo in scena da Michele Sinisi, che lo interpreta insieme a Elisa Benedetta Marinoni. È proprio la messinscena a trasformare il testo, a rendere conturbante e angosciosa una trama distopica di per sé intrisa – come di consueto, in Santeramo – delle reali preoccupazioni del presente, anzi da esse biecamente rinvigorita.

Stretta l’azione in un cono di luci ambrate al centro, la scena si articola attorno a un’intelaiatura di ferro che regge pannelli di plexiglass luridi e graffiati, una sintesi post-urbana che sa di marciapiede ma anche di vetri di una casa abbandonata. Alberto e Silvia sono una coppia anziana, lei curva sotto uno scialle, lui claudicante e con occhi e ghigno accesi dietro spessi occhiali e lunga barba grigia. Uno dei pannelli ospita un grande foglio con l’identikit del protagonista, sormontata da un cartello: 2060. Di scena in scena gli anni regrediscono come in un calendario impazzito, saltando decenni. Insieme a loro vanno via le caratteristiche fisiche di quel volto: via gli occhiali, via la barba, via i baffi, si arriverà nel 2016 al Michele Sinisi che vediamo agire in scena e poi indietro fino al 2002, alla vigilia della moneta unica, la preistoria del disastro.
I due sono ricercati per aver preso parte alla congiura popolare che ha messo fine all’Europa, un atto di protesta cruento posto a sigillo di una situazione non più tollerabile.

foto Ufficio Stampa
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Le scene sono brevi, forse troppo brevi, al testo di Santeramo si vorrebbe chiedere più generosità, si domanda spesso un affondo più deciso, più argomentato, della sua consueta lingua spezzata e sottilmente ironica si accetta la sfida sperando di rintracciare ancora più particolari a proposito del futuro che rischiamo di dover vivere.
Eppure quella sensazione di bocca asciutta fa forse parte del gioco, un piccolo massacro che pare quasi in rima, per il ritmo con cui sferza il dialogo. E, se così non è, è la regia che, forzando la mano, offre questa soluzione. «Non posso non morire», dice Alberto da vecchio, e non sopporterà lacrime, come dire che il concetto di responsabilità è talmente molecolarizzato da riguardare tutti, al di là del bene e del male.

La metamorfosi anagrafica regressiva trova una sponda misurata e competente nei due interpreti, che scartano di lato ogni volta che lo spettatore accosta l’idea di potersi abbandonare al proprio ruolo e gustarsi la rappresentazione di puri personaggi. Sinisi mette in atto fin da subito una ormai rodata confidenza nella gestione delle azioni fisiche: come era stato in Riccardo III, non sono i corpi a utilizzare gli oggetti, ma viceversa, istituendo un rapporto di intricato straniamento tra gestualità, dizione e manipolazione degli accessori di scena. Barbe, parrucche, abiti ma anche scatole di attrezzeria, buste, borse, caffettiere preparate e mai messe sul fuoco e un misterioso scettro di ferro grezzo, ora una fiaccola di speranza ora la clava di un’era barbarica tutta da venire. Fino alla scelta radicale di sottrarsi al compito di recitare un monologo perché, e lo dichiara apertamente, l’attore non condivide a pieno il contenuto. È una tirata ruvida che conficca tutte le colpe nel petto dei potenti. Loro dovrebbero vivere nel terrore, loro dovrebbero svegliarsi nel cuore della notte con un sobbalzo, loro che mangiano aragoste si meriterebbero un furgone frigo pieno di cadaveri.

foto Ufficio Stampa
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Questa invincibile esplosione di inadeguatezza commuove lo spettatore e insieme lo calcia via da quella sua intoccabilità, afferra l’insoluto mistero del recitare e lo scaraventa dentro la materia drammaturgica, facendo sì che esso vesta i panni della nostra stessa distanza, quel glaciale disgregamento che il testo non tradisce mai. La sensazione da cui eravamo partiti, che questo atto unico debba essere il prologo di una trattazione più ampia e chiara dell’urgenza di una visione apocalittica, finisce allora per svanire, diviene lo specchio della nostra incapacità (tutta italiana) di ragionare sul presente in tempo reale.

Un giornale ha il compito di riportare i fatti, un romanzo di immaginarli. Solo il teatro ha forse gli strumenti (e il compito) di far schiantare realtà e immaginazione una contro l’altra, riportando alla luce la ciclica conferma di una resa: potremmo (dovremmo), davvero, non sentirci in grado di pronunciare parole che sembrano scritte da altri.

Sergio Lo Gatto

Visto al Teatro India, Roma, gennaio 2016.

SCENE DI INTERNI DOPO IL DISGREGAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA
atto unico di Michele Santeramo
regia Michele Sinisi
con Elisa Benedetta Marinoni e Michele Sinisi
scene Federico Biancalani
una produzione Bottega Rosenguild | Teatrino dei Fondi | Pierfrancesco Pisani
con il sostegno di Regione Toscana, Comune di San Miniato

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Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto è giornalista, critico teatrale e ricercatore. È stato consulente alla direzione artistica per Emilia Romagna Teatro ERT Teatro Nazionale dal 2019 al 2022. Attualmente è ricercatore presso l'Università degli Studi Link di Roma. Insegna anche all'Alma Mater Studiorum Università di Bologna, alla Sapienza Università di Roma e al Master di Critica giornalistica dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico" di Roma. Collabora alle attività culturali del Teatro di Roma Teatro Nazionale. Si occupa di arti performative su Teatro e Critica e collabora con La Falena. Ha fatto parte della redazione del mensile Quaderni del Teatro di Roma, ha scritto per Il Fatto Quotidiano e Pubblico Giornale, ha collaborato con Hystrio (IT), Critical Stages (Internazionale), Tanz (DE), collabora con il settimanale Left, con Plays International & Europe (UK) e Exeunt Magazine (UK). Ha collaborato nelle attività culturali e di formazione del Teatro di Roma, partecipato a diversi progetti europei di networking e mobilità sulla critica delle arti performative, è co-fondatore del progetto transnazionale di scrittura collettiva WritingShop. Ha partecipato al progetto triennale Conflict Zones promosso dall'Union des Théâtres de l'Europe, dove cura la rivista online Conflict Zones Reviews. Insieme a Debora Pietrobono, è curatore della collana LINEA per Luca Sossella Editore e ERT. Tra le pubblicazioni, ha firmato Abitare la battaglia. Critica teatrale e comunità virtuali (Bulzoni Editore, 2022); con Matteo Antonaci ha curato il volume Iperscene 3 (Editoria&Spettacolo, 2018), con Graziano Graziani La scena contemporanea a Roma (Provincia di Roma, 2013). [photo credit: Jennifer Ressel]

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