Schiaccianoci. Il classico di Čajkovskij rivive nella nuova coreografia di Giuliano Peparini al Teatro dell’Opera di Roma. Recensione
La prima creazione per il corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma diretto da Eleonora Abbagnato è una nuova versione de Lo Schiaccianoci firmata da Giuliano Peparini, artista eclettico attivo a livello internazionale, migrato alla scuola dell’American Ballet Theatre fondata da George Balanchine per poi entrare al Ballet National de Marseille diretto da Roland Petit dove è stato nominato étoile nel 1997.
Essendo il primo titolo di balletto della stagione corrente, è questa la vera inaugurazione della direzione Abbagnato sebbene già durante i primi mesi abbia reso chiare mirabili intenzioni –determinate e coraggiose – con cui ha introdotto una visione aggiornata delle potenzialità del balletto, a beneficio sia degli artisti sia del pubblico.
Forse ci vorrà un po’ di tempo prima che l’ensemble romano possa raggiungere i livelli dei più importanti corpi di ballo internazionali, ma indubbi sono i progressi in atto, i miglioramenti tecnici e artistici oltre a un notevole quanto auspicato allargamento di vedute, specialmente riguardo al repertorio. Dall’interno di questo disegno, che traccia una prospettiva positiva, emergono anche i nomi di alcuni “romani” che iniziano a farsi strada: una su tutti Rebecca Bianchi, la danzatrice scaligera di formazione nominata Prima Ballerina (evviva!) la sera della prima e che, dopo l’esordio in Giselle, rivedremo nel succulento gala Les Etoiles all’Auditorium Conciliazione a Roma insieme a una selezione di artisti davvero stellari.
È dunque Rebecca Bianchi – a rotazione con Susanna Salvi e Sara Loro – ad aver impersonato Marie, la giovane protagonista di un balletto che si presenta come un colorato amalgama di realtà, immaginazione e sogno. Inserita in un impianto scenico molto articolato fatto di pannelli scorrevoli, teli, elastici, strutture mobili e proiezioni luminose, nel suo complesso la coreografia è dominata sul piano compositivo dall’innesto di molti generi diversi. A regolarli, un principio che tende non alla contaminazione, ma a un assortimento di stili giocato a favore di una spettacolarità leggera nei contenuti e opulenta nella forma. Peparini si avvale di numerose licenze poetiche giocolando sapientemente con i codici di una cultura spettacolare in cui predominano gli aspetti visivi a discapito di alcune caratteristiche canoniche del balletto. Sono chiare le scelte impartite da un gusto che prende giocosamente le distanze non solo dai dettami reazionari della ballettomania pura e dura, ma anche dalle precedenti versioni di questo titolo originate dalla fortissima tradizione russa che in Balanchine ha trovato conferma e una naturale evoluzione.
Come dichiarato dal coreografo stesso nell’intervista rilasciata a Rossella Battisti presente nel ben curato programma di sala, la sua danza non parla ai conoscitori, ma a chi vuole conoscere. In questo senso risulta positiva la prospettiva dell’intera operazione, specialmente se la si pensa inserita in un contesto, quello romano, che non solo ha delle enormi potenzialità in termini di pubblico, ma che in parte ha anche bisogno di riscoprire un balletto di alta qualità.
Tuttavia, malgrado l’aura di novità che questo nuovissimo Schiaccianoci ha presentato, in Italia così come oltreconfine la commistione tra balletto e show business fa genere a sé già da tempo, affondando le proprie radici in una terra diversa rispetto a quella delle nuove creazioni di balletto contemporaneo. Per noi spettatori, la novità è quella di poter annoverare un “made in Italy” anche in questo settore e di vederlo sulla scena di un teatro lirico, che con questo spettacolo ha raccolto oltre novecentomila euro di incasso e ventimila spettatori. E ben venga.
Così, grazie all’invito della lungimirante étoile “parigina” direttrice del corpo di ballo, dopo decenni trascorsi in giro per il mondo, Giuliano Peparini è tornato a creare nel proprio paese d’origine.
La scrittura coreografica – che a volte pare essere pensata più per la prossimità dell’obiettivo di una videocamera che per la distanza degli occhi degli spettatori – gioca didascalicamente con la trama, leggermente rivisitata, mescolando e rinfrescando un immaginario che dal music hall e dalla break dance arriva alla danza classica. Si tratta di una produzione che si rivolge dichiaratamente ai giovani utilizzando un linguaggio scenico sovrabbondante nelle forme e nei colori.
Durante il primo atto, chiuso dalla danza dei luminosi fiocchi di neve, emerge il personaggio del bad boy con cui il coreografo in un certo senso “sdoppia” il ruolo di François, il fratello di Marie che s’identifica nel giovane ribelle figlio di un dipendente della sua famiglia. Con lui François romperà lo schiaccianoci, il gioco che Marie ha ricevuto in dono dallo zio Drosselmeyer giunto alla festa in compagnia di un ragazzo dall’aria mite. Finita la festa, gli ospiti lasciano la borghese dimora parigina e i bambini vengono mandati a dormire. La narrazione continua nel secondo atto ovvero nel mondo onirico, dove Marie prenderà coscienza della propria femminilità, innamorandosi di un principe le cui sembianze sono proprio quelle del ragazzo che ha accompagnato lo zio alla festa. La seconda parte dello spettacolo è dunque un viaggio nell’immaginario della ragazza, le cui porte vengono simbolicamente aperte da Drosselmeyer che le presenta il principe di cui s’innamorerà.
Nelle soffitte della casa imperversa la battaglia tra un esercito di topi bad boy e i più canonici soldatini di piombo, giunti a difesa di Marie e del principe che proprio nel sottotetto si erano pericolosamente avventurati per andare vedere le stelle. Sconfitto l’esercito dei bad boy, seduti su due troni argentati, la giovane coppia assiste alle danze russe, cinesi, arabe, spagnole… fino al celebre valzer dei fiori in cui i movimenti delle ballerine emergono da costumi forse un po’ troppo ingombranti che le fanno somigliare, volutamente, a dei variopinti bouquet.
Il passo a due finale, in cui Marie giovane donna innamorata danza sulle punte insieme al principe, riavvicina la versione del balletto di Peparini a quelle più tradizionali ed è impreziosito da rischiosi portés e difficoltà tecniche che tengono il pubblico col fiato sospeso. Rebecca Bianchi sembra vibrare d’un amore via via più consapevole e riempie la danza costellandola di dettagli che amministra con grazia e sapienza, con il piglio delicato e deciso di una vera principessa.
Nonostante la coreografia nel suo complesso ceda qui e là sotto i propri eccessi, la qualità della produzione emerge grazie alla sempre splendida musica di Čajkovskij diretta da David Coleman, alla maestria di tutti i reparti “tecnici” del teatro che lavorano dietro le quinte e alla danza di una compagnia che si mostra in crescendo, e che – produzione dopo produzione, recita dopo recita – fa sempre più piacere vedere in scena.
Gaia Clotilde Chernetich
visto al Teatro Costanzi, Roma, dicembre 2015
LO SCHIACCIANOCI
musiche Pëtr Il’ič Cajkovskij
Balletto in due atti
da un racconto di E.T.A. Hoffmann
Adattamento di Giuliano Peparini
direttore David Coleman
coreografia Giuliano Peparini
scene Lucia D’Angelo e Cristina Querzola
costumi Frédéric Olivier
video grafica Gilles Papain
luci Jean-Michel Désiré
interpreti principali Rebecca Bianchi, Michele Satriano, Claudio Cocino, Alessio Rezza, Giuseppe Schiavone, Jacopo Giarda, Alessandra Amato, Marianna Suriano, Annalisa Cianci, Elena Bidini
Orchestra, Etoiles, Primi Ballerini, Solisti e Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera
con la partecipazione degli Allievi della Scuola di Danza del Teatro dell’Opera