Istruzioni per non morire in pace con la regia di Claudio Longhi e la scrittura di Paolo Di Paolo è il capolinea di un lungo percorso di riflessione collettiva sul periodo storico che precede la Prima Guerra Mondiale. Recensione
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Ci vorrebbe una mappa grande come quella utilizzata nello spettacolo e un quaderno d’appunti intero per redigere una cronaca degli avvenimenti che per nove ore hanno invaso il palco del Teatro Storchi di Modena durante Istruzioni per non morire in pace, propaggine spettacolare divisa in tre tempi autonomi (Patrimoni, Rivoluzioni, Teatro) di un progetto che ha già invaso l’Emilia Romagna da più di un anno. Trattasi di un lavoro ad ampio spettro sugli anni che precedono la Prima Guerra mondiale e dunque di un’invasione culturale messa in campo da Emilia Romagna Teatro attraverso il braccio armato di Claudio Longhi e degli attori che ormai lo seguono da anni. Un alveare di appuntamenti, incontri, letture, mise en space, proiezioni cinematografiche, laboratori e atelier sviluppati con centinaia di cittadini attraverso la collaborazione di oltre sessanta partner nel progetto dal nome Carissimi padri… Almanacchi della Grande Pace (1900 -1915), in una modalità dunque simile a quella utilizzata con Il ratto d’Europa, ma con una resa spettacolare ben più definita, matura e organica. Lo scarto, va detto, è in primis sul piano drammaturgico: quanto nel precedente lavoro era il precipitato di una lunga esperienza collettiva, qui è invece creazione autonoma dello scrittore Paolo di Paolo (finalista all’ultimo Premio Strega con Mandami tanta vita), il quale dimostra una sensibilità scenica che ben si sposa con il dettato teatrale di Claudio Longhi.
I tempi e il ritmo sono quelli dell’epopea: da una parte c’è la grande storia, fatta di ultimatum, dichiarazioni di guerra, invasioni, alleanze, tutto scandito in una cronologia da grande documentario velato di ironia; dall’altra parte ci sono le storie individuali, un generale e una prostituta guardano agli accadimenti e alla vita che si scioglie di fronte ai loro occhi come due viaggiatori dietro l’oblò di un transatlantico che affonda. La linea narrativa più strutturata disegna le intemperie di una famiglia dell’alta borghesia industriale. Due fratelli ben presto si arricchiranno con l’entrata in guerra dell’Italia contribuendo a costruire gli armamenti di un esercito in realtà mai pronto per il conflitto mondiale. Al di là del meccanismo del racconto – in questo caso molto classico: al padre e allo zio si opporranno i figli maschi, artefici di uno scontro tra generazioni, interessi e ideali molto diversi fra loro – c’è da sottolineare come la scena diventi sempre agorà di un dibattito nel senso più brechtiano del termine.
D’altronde Longhi è forse oggi il maggior interprete dell’artista e teorico tedesco in Italia – basti ricordare La resistibile ascesa di Arturo Ui di qualche stagione fa – e in ogni caso servono poche scene per accorgersi che tutto il lavoro poggia sulle solidissime basi di un teatro epico funzionale agli obiettivi registici e drammaturgici. Le canzoni, il cabaret e i momenti di alleggerimento in realtà sono dei diaframmi che aprono e chiudono sezioni, commentandole spesso con dissacrante ironia. Se le scene e i costumi – la cui fedeltà storica è straniata dall’uso di maschere bianche caratterizzate da innaturali rigonfiamenti e da visi pittati – ci raccontano di questa Europa che passa nel giro di poco tempo dalle canzonette alla guerra di trincea, la scrittura scenica invece ha una struttura a spirale il cui centro propulsore è rappresentato dai momenti che precedono l’entrata in guerra dell’Italia, con un andamento proprio del teatro politico, nel quale la scelta o meno di partecipare al conflitto viene osservata da diversi punti di vista e messa in diretta connessione con il piano internazionale e la crisi dei partiti socialisti europei. È una girandola di accadimenti che ogni volta si blocca su un punto ben preciso, quel 23 maggio 1915, ma che si dipana anche tra grandi snodi sociali e culturali: lo stupore di fronte alla grandezza del cinema con Cabiria, il futurismo sbeffeggiato con ironia, il debutto della Sonnambula di Bellini, l’Esposizione Universale e una carrellata di statisti e politici, filosofi e scrittori (da D’Annunzio a Freud, da Kraus a Mann).
Non è un caso se la terza parte si apre proprio con un piccolo omaggio a Erwin Piscator fondando la sua evoluzione su un impianto fortemente metateatrale; il teatro come uno strumento privilegiato di osservazione del mondo. E lo spazio fisico quasi si restringe quando la compagine di attori lo occupa con ogni soluzione: oltre al palco, la platea e i palchetti diventano luogo di attraversamento nel quale gli strilloni annunciano l’avvicinarsi del conflitto, i politici si scambiano missive apparendo e scomparendo da un punto a quello opposto del teatro. Guardando la locandina dello spettacolo si rimane quasi esterrefatti nel contare solo nove interpreti (Donatella Allegro, Nicola Bortolotti, Michele Dell’Utri, Simone Francia, Olimpia Greco alla fisarmonica e al pianoforte, Lino Guanciale, Diana Manea, Eugenio Papalia, Simone Tangolo), straordinari, ai quali Longhi in sostanza chiede di partecipare alle olimpiadi per nove ore interpretando decine di personaggi, ognuno caratterizzato da piccoli atteggiamenti e cambi di costume. Figure che in realtà sono entità posticce, come la vibrazione distorta di un ricordo proiettato nel futuro, ma che nel loro sfavillante presente da Belle Époque, per dirla con le parole del regista, compongono «una società di ‘sonnambuli’, tutti intenti a sognare le “magnifiche sorti progressive del genere umano” e intanto impegnati nella messa a punto di uno dei più spaventosi ordigni di distruzione che l’umanità abbia mai concepito […]. Ma nelle pieghe di quei volti lontani sembra di ritrovare il nostro presente, un presente su cui possiamo però intervenire».
Andrea Pocosgnich
Visto al Teatro Storchi di Modena, Gennaio 2016
ISTRUZIONI PER NON MORIRE IN PACEISTRUZIONI PER NON MORIRE IN PACE
(Patrimoni, Rivoluzioni, Teatro)
di Paolo Di Paolo
regia Claudio Longhi
scene Guia Buzzi
costumi Gianluca Sbicca
con Donatella Allegro, Nicola Bortolotti, Michele Dell’Utri, Simone Francia, Olimpia Greco (fisarmonica e pianoforte), Lino Guanciale, Diana Manea, Eugenio Papalia, Simone Tangolo
proiezioni Riccardo Frati
luci Tommaso Checcucci
arrangiamenti musicali Olimpia Greco
trucco e acconciature Nicole Tomaini
regista assistente Giacomo Pedini
assistente alla regia volontario e ricerche iconografiche Vittorio Taboga
assistente ai costumi Sara Gomarasca
direttore tecnico Robert John Resteghini
direttrice di scena Madrilena Gallo; capo macchinista Claudio Bellagamba;
macchinisti Andrea Bulgarelli, Marco Fieni; capo elettricista Fabio Bozzetta;
attrezzista Erica Montorsi; sarta Loredana Averci
Scene costruite nel laboratorio di Emilia Romagna Teatro Fondazione
capo costruttore Gioacchino Gramolini
costruttori Marco Fieni, Sergio Puzzo
scenografi realizzatori Erica Montorsi, Livio Savini
grafica Jean-Claude Capello
EMILIA ROMAGNA TEATRO FONDAZIONE-TEATRO DELLA TOSCANA
Si ringrazia Giulia Maurigh per la collaborazione alle ricerche drammaturgiche e
iconografiche
Si ringrazia il Museo della Figurina per le immagini presenti nello spettacolo.
Si ringraziano infine Vanja Baltic, Stefano Codeluppi, Giuseppe Maisto, Valentina
Mirenda, Daphne Pasini, Francesco Sabaini