L’Antigone di Matutateatro torna a Roma al Teatro Studio Uno. Recensione
Marguerite Yourcenar diceva che l’Antigone di Sofocle è «una sorta di assegno in bianco che ogni poeta può riempire con la cifra che desidera». Infatti, dal 442 a.C. – anno della sua prima rappresentazione alle Grandi Dionisie di Atene – in poi, è una delle tragedie classiche più presenti nella storia del teatro. La quintessenza del dramma politico, in cui la trama semplice contiene in sé tutte le domande e, a conti fatti, nessuna risposta definitiva. Problematiche di carattere etico e morale si intrecciano in un gioco di specchi di fronte al quale risulta di fatto impossibile schierare completamente la propria coscienza.
Nella lotta per la successione al trono di Tebe, i due figli di Edipo Eteocle e Polinice finiscono per uccidersi a vicenda. Il nuovo re Creonte proclama il primo eroe di guerra ed emana invece un editto che impedisce a chiunque di dare sepoltura al secondo, condannandone così l’anima a un’eterna dannazione. La sorella dei due, Antigone, viene catturata mentre tenta di ribellarsi a questa legge. Il suo colloquio con Creonte costituiva il cuore del materiale drammaturgico così come riscritto da Jean Anouilh nel 1941 e si rafforza nella versione messa a punto dalla compagnia setina Matutateatro, presentata al Teatro Studio Uno di Roma.
Lo spazio angusto della Sala Specchi è delimitato da una linea di sale, illuminata a intermittenza di diversi colori e raccolta in un mucchio nel proscenio destro. A un angolo del fondo, su un masso siede Creonte (Titta Ceccano), camicia bianca e bretelle, di spalle davanti a un grande televisore, accanto a lui un manichino senza testa. Antigone (Julia Borretti) indossa una semplice sottoveste bianca, mette e toglie scarpe col tacco, concentra in un tono drammatico le punte dei suoi ragionamenti, non accetterà di godere di alcuna grazia solo perché il figlio del re, Emone, è il suo innamorato e futuro sposo, è ormai decisa a divenire martire della più profonda delle questioni di principio, la libertà.
Di questo Antigone abbiamo seguito i passi fin dal principio, quando nel 2013 la compagnia aveva presentato uno studio al Teatro Mancinelli di Orvieto. Da allora il lavoro è evoluto, ha saputo fronteggiare le avversità della parola poetica, che Julia Borretti ha mescolato e rinnovato fino a restituire, a partire dai due modelli, una terza via contemporanea in grado di non lasciarsi sopraffare dal rischio di risultare posticcia. La recitazione dei due, così diversi per corporatura e dunque forti di una caratterizzazione immediata, mantiene la tradizione del teatro d’attore più puro, indugiando su pause e dizione senza quasi mai perdere il controllo, grazie anche al sofferto taglio di qualche scena troppo didascalica.
Il commento audio riporta le voci di alcune scene de I Cannibali, il film del 1970 con cui Liliana Cavani offriva il proprio contributo al personaggio mitico, e si inserisce in maniera sommessa, educata eppure crudele in un dialogo che dimostra grande equilibrio e coraggio, necessari per fronteggiare un edificio drammatico così abitato dal teatro degli ultimi cento anni. Grazie al lungo lavoro di cesellatura di questa messinscena, il movimento ha raggiunto una cura sapiente, soprattutto quello dell’attrice, come intrappolata in un corpo che vorrebbe liberare piccole movenze in un’esplosione danzata e invece limita ogni catarsi. Il personaggio svela così, con tratto molto fine, la distorsione egotista, la smania di diventare simbolo, quella superbia che gli dei hanno sempre punito.
Pur eliminando dalla scena i manichini seminudi che nelle versioni precedenti rappresentavano i fratelli ed Emone, non scompare la straniante sensazione di trovarsi nella vetrina di un negozio abbandonato. Allora la scritta luminosa “SALE” che campeggia sul cumulo di cristalli sottolinea l’interessante doppio senso (in inglese sale significa in saldo), come se l’altalena morale composta dalla vicenda avesse come scenario un consumismo delle emozioni in cui il mercato dei principi gioca sempre e comunque al ribasso.
Dopo l’intelligente parabola di Macellum – che riscriveva il mito romano di Orazi e Curiazi a partire dal monologo Orazio di Heiner Müller – Antigone svela un altro passo di Matutateatro nella ricerca di una nettezza dell’immagine e del testo che vuole raffinare un’idea contemporanea di teatro politico.
Sergio Lo Gatto
visto a Roma, Teatro Studio Uno, dicembre 2015.
ANTIGONE
uno spettacolo ideato, interpretato e diretto da Julia Borretti e Titta Ceccano
scene e luci Jessica Fabrizi
ceramiche di scena Laura Giusti_Laghirà
una produzione Matutateatro/Mat spazio_teatro
con il sostegno di ARTè Teatro stabile d’innovazione_Teatro Mancinelli di Orvieto