Tosca, il capolavoro di Giacomo Puccini, torna al Teatro dell’Opera di Roma nell’allestimento del 1900, quello cui assistette l’autore stesso e che debuttò in prima assoluta proprio al Costanzi. Recensione
Sant’Andrea della Valle, Corso Vittorio Emanuele, Roma. L’ingresso della basilica è da qualche parte dietro le quinte, l’altare si estende idealmente alle spalle del pubblico: quando il Teatro Costanzi apre il sipario per il Teatro dell’Opera di Roma sul primo atto di Tosca, la sensazione iniziale è che il teatro sia una chiesa. Immensa, ariosa, proprio come l’originale Sant’Andrea: la basilica dove Giacomo Puccini ha ambientato uno dei suoi melodrammi più famosi, e che da oltre un secolo è tappa costante nel pellegrinaggio dei melomani attraverso i “luoghi di Tosca”.
I romani lo sanno, che alcuni degli angoli più magici della loro città appartengono un poco anche al compositore toscano. Puccini ci ha forgiato dentro e intorno l’amore disperato tra la cantante Floria Tosca e il pittore Mario Cavaradossi, tanto che sarebbe impossibile ambientare l’opera in qualunque altro luogo.
Dunque, Roma. Una Roma che in questo allestimento della nuova stagione del Costanzi talvolta toglie il fiato, con il potere di un incanto che arriva dal passato. La messa in scena è stata infatti realizzata sui bozzetti originali di Adolf Hohenstein, pittore, scenografo, disegnatore e pubblicitario tedesco attivo a cavallo tra XIX e XX secolo, e che nel 1900 aveva offerto la sua arte per il debutto del dramma pucciniano. I laboratori del Teatro dell’Opera si sono così aperti a ospitare le scene originali e tutti i figurini dei costumi, custoditi gelosamente negli archivi di Casa Ricordi. E hanno tentato, dopo oltre cent’anni, di farli vivere di una nuova luce.
Prima di tutto, attraverso la tecnica: il Costanzi è inaspettatamente uno dei pochi teatri al mondo a tramandare le antiche pratiche di pittura su tela. E così le scenografie di questa vecchia-nuova Tosca, la cui ricostruzione è stata affidata a Carlo Savi, sono dei piccoli capolavori di luce e ombra, sfumature e prospettive, cornice perfetta per questo vero e proprio dramma in musica che è l’opera pucciniana.
Il resto, appunto, lo fa la musica: sanguigna e incalzante nella bacchetta di Donato Renzetti, che interpreta la partitura con una grandissima forza espressiva, isolando perfettamente nella tessitura musicale dell’opera le arcate drammatiche più potenti: dal maestoso Te Deum a chiusura del primo atto fino alla tensione quasi insostenibile del duetto nel secondo atto tra Tosca e il barone Scarpia, lo spietato capo della polizia pontificia.
Scarpia desidera Tosca e la ricatta per farle salvare il suo Mario, accusato di aver aiutato la fuga del nemico di stato Angelotti: «tu a me una vita, io a te chieggo un istante», e qui il libretto diventa specchio dell’incalzare della musica, spezzando nuovamente il breve incantesimo dello struggente Vissi d’arte, vissi d’amore.
Bravissima il soprano Anna Pirozzi nel ruolo della protagonista, che incarna perfettamente la passionalità di Tosca in tutte le sue sfumature, e mette al servizio di una buona presenza scenica le sue straordinarie capacità vocali. Convincenti anche il tenore Stefano La Colla nei panni di Cavaradossi e il baritono Giovanni Meoni in quelli del perfido Scarpia, nonostante qualche piccola debolezza nei momenti corali, subito compensata dagli epici, drammatici momenti della morte dei due: il barone per mano di Tosca, il pittore davanti agli occhi increduli e disperati di lei.
La regia, firmata dal sudafricano di origini italiane Alessandro Talevi, amalgama con efficacia questo allestimento fatto al tempo stesso di grandi spazi scenici e piccoli gesti molto curati: evidente è l’attenzione al dettaglio, caratteristica che avvicina il colosso pucciniano del debutto al più minimalista gusto moderno. Forse in alcuni momenti queste scelte potevano essere enfatizzate persino di più, aumentando il contatto fisico tra i personaggi e le azioni svolte dai ruoli minori, pur importantissimi nella trama drammatica e musicale della Tosca.
Ciò che invece non si perde mai è il legame magnetico tra i cantanti e il microcosmo entro cui si muovono: ogni elemento della scena sembra dialogare costantemente con quello che i personaggi vivono, sperano, soffrono.
E così da Sant’Andrea l’intuizione artistica di Hohenstein ci guida attraverso altre due aperture di sipario nelle sale di Palazzo Farnese del secondo atto, per poi farci arrampicare, nell’ultimo atto, sulla terrazza di Castel Sant’Angelo. San Pietro sullo sfondo, qualche nuvola rada e, profondissimo, il cielo romano che testimonia il salto nel vuoto di Floria Tosca. Lo stesso che ha emozionato per la prima volta il pubblico di 115 anni fa.
Giulia Bonelli
Teatro Costanzi, Roma – dicembre 2015
TOSCA
MUSICA Giacomo Puccini
DIRETTORE Donato Renzetti
REGIA Alessandro Talevi
MAESTRO DEL CORO Roberto Gabbiani
SCENE DI Adolf Hohenstein
RICOSTRUITE DA Carlo Savi
COSTUMI DI Adolf Hohenstein
RICOSTRUITI DA Anna Biagiotti
LUCI Vinicio Cheli
INTERPRETI PRINCIPALI
FLORIA TOSCA Anna Pirozzi / Virginia Tola 6, 11
MARIO CAVARADOSSI Stefano La Colla
IL BARONE SCARPIA Giovanni Meoni
ANGELOTTI William Corrò
SPOLETTA Saverio Fiore
SAGRESTANO Marco Camastra
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera
con la partecipazione del Coro di Voci Bianche del Teatro dell’Opera