Tadeusz Kantor nel 2015 è stato celebrato in tutto il mondo. È passato un secolo dalla sua nascita. Qui un reportage degli eventi a lui dedicati a Cracovia
C’è già un drappello di persone tutte attorno allo spazio di azione, non bastano le dita di una mano per contare i fotografi, tutti gli altri si danno da fare con gli smartphone, i più coraggiosi romperanno il cerchio per rubare qualche scatto a ridosso delle “statue viventi”. Tra tutti spicca la figura sorridente e iperattiva di Richard Demarco, anche lui se ne sta sempre con una piccola macchina fotografica in mano: artista, curatore, organizzatore e fervente animatore culturale, appena comincia a parlare con qualche attore del Cricot 2 diventa egli stesso obiettivo dei fotografi. Al Museo d’Arte Contemporanea di Cracovia c’è anche una sua mostra di disegni, è un paio di giorni che se ne va in giro con un grande volume sotto il braccio The Water Hen, un libro che celebra attraverso testi e immagini la riscoperta dopo quarant’anni di una videoregistrazione della messinscena di Kurka Wodna (La gallinella acquatica – The Water Hen appunto), uno di quegli spettacoli mitici di Tadeusz Kantor, di cui molti di noi hanno solo sentito parlare o letto sui libri. I giorni passati a Cracovia sono stati un appuntamento con la storia avvolto da un’atmosfera emozionale come solo potrebbe accadere nell’arte del maestro polacco, sempre in tensione proprio tra questi due poli: la memoria e l’emozione.
Mi avvicino al drappello, alzo anche io un braccio per scattare qualche foto, con l’altra mano reggo una busta di cartone piena di libri e cioccolato; dal portone escono i tre attori, Jan Ksiazek e i due gemelli Lesław e Wacław Janicki. Sono le tre Living Statues, due rabbini e un viaggiatore o – come mi spiegherà Ludmila Ryba, altra storica attrice del Cricot 2 – un viandante, dato il suo spostarsi a piedi con quello zaino/protuberanza gigantesco. Rappresentano le tre sculture che Kantor avrebbe voluto creare ma non ha avuto il tempo, così ogni anno, l’8 dicembre, nel giorno della morte dell’artista, con qualsiasi condizione meteorologica i tre attori entrano nei propri costumi e prendono posto in mezzo alla strada, davanti al numero 5 di Ulica Kanonicza, lì dove la compagnia aveva sede. Eppure qualcuno lo credeva dispotico, è difficile crederlo: mi sfiora questo pensiero mentre i gemelli se ne vanno via a piedi lungo la Kanonicza, con i loro nasi rossi e gli acciacchi dell’età.
Le celebrazioni per i 100 anni dalla nascita di Kantor per un gioco del fato combaciano con i 25 dalla morte ma forse non c’è da stupirsi troppo, parliamo di un personaggio che se n’è andato poco prima del debutto del suo ultimo spettacolo il quale aveva per titolo, nell’ennesima coincidenza, Oggi è il mio compleanno. Un artista che all’apice della propria carriera viveva in un modesto appartamento, tutt’ora visitabile e rimasto fermo a quell’ultimo periodo di vita: con un libro sul comodino, Milan Kundera La vita è altrove, probabilmente l’ultima lettura del Maestro.
I polacchi sanno conferire il giusto peso alla memoria, basta una visita alla Schindler’s Factory (qui forse è anche troppo) per accorgersene: un museo in cui il visitatore si immerge totalmente nella tormentata storia della città, passando lungo corridoi pieni di svastiche e ascoltando i lamenti dei deportati. Non possono e non vogliono dimenticare e così è accaduto anche per la figura di Tadeusz Kantor; ora a qualche centinaio di metri dal centro della città c’è un grande edificio, è la nuova Cricoteca, costruito in continuità con quello vecchio e aperto nel 2014: ospita un archivio, un teatro, sale per mostre e conferenze. Qualcosa di unico nel suo genere, a dimostrazione che il ricordo della vita e delle opere di un artista può essere vivificato solo attraverso lo studio e il lavoro quotidiano. Perché ha bisogno di essere trasmesso alle future generazioni e i tanti giovani accorsi agli eventi organizzati in Cricoteka o altrove dimostrano proprio questa necessità.
Le celebrazioni, sostenute anche dall’Unesco che a Kantor ha dedicato il 2015, oltre a svilupparsi nelle giornate polacche si riverberano in molti altri paesi – di recente anche a Roma (Politica dell’arte, politica della vita: Tadeusz Kantor fra teatro, arti visive e letteratura, un convegno a cura del prof. Luigi Marinelli e della prof.ssa Valentina Valentini) –, la gran parte di questi eventi viene monitorata e incoraggiata proprio dalla Cricoteka e da Culture.pl (ovvero l’Istituto Adam Mickiewicz che si occupa della promozione della cultura polacca). Un’istituzione statale, quest’ultima, che sta lavorando alacremente per la diffusione della cultura polacca e che in questo caso si è occupata anche di sostenere Boska Comedia (Divina Commedia) festival di teatro contemporaneo pieno di spunti e attività, anche pomeridiane. Cracovia appare così come una città che sa anche quando è necessario affrancarsi dalla memoria per lavorare sui nuovi linguaggi e le nuove generazioni, facendo sì che la storia non diventi una trappola ma qualcosa di imprescindibile a cui attingere.
Se per raccontare tutti gli eventi e i luoghi che gli amici di Culture.pl avevano messo in programma nei miei tre giorni – un vero e proprio itinerario tra musei, teatri e gallerie in cui rintracciare l’arte di Kantor e non solo – necessiterei di numerosi di questi articoli, non posso però non spendere qualche riga per la mostra organizzata proprio nella Cricoteka, I’m Goddamn Falling, cuore pulsante di queste giornate (al pari dell’eccezionale proiezione della Gallinella acquatica). Un percorso, curato da Małgorzata Paluch-Cybulsk, che prende il nome da un quadro dipinto da Kantor alla fine degli anni ’80. Periodo in cui il regista e creatore della Classe Morta si dedicava ancora di più alla propria autobiografia: dipinti nei quali Kantor si ritrae mentre cade oppure tenta di uscire dalle opere, fuga ironicamente rappresentata attraverso gambe e braccia tridimensionali.
Ma oltre ai quadri, disposti in mezzo a una delle sale insieme a degli specchi che moltiplicano l’immagine dell’autore e quella del visitatore, qui è possibile immergersi – per l’appunto precipitare – in un immaginario teatrale fatto di manichini, assi di legno, armadi in cui si nascondono fantocci appesi alle grucce, cavalli scheletrici a grandezza naturale, vasche da bagno e decine di quei bio-oggetti protagonisti di un viaggio cominciato già negli anni Quaranta durante la guerra. Una vita artistica puntellata da precise tappe e manifesti che ne scandiscono l’evoluzione, ma che qui diventa un unico e grande universo creativo fatto di rimandi che superano il tempo.
Sulle pareti i video raccontano le fasi cronologiche: dal Teatro indipendente al Teatro della morte. È una storia che risuona nel Novecento, dalle influenze delle avanguardie storiche alla scoperta di un linguaggio totalmente autonomo e unico, che fece esplodere il fenomeno Kantor in tutto il mondo e per il cui sviluppo alcuni luoghi del nostro paese sono stati determinanti, basti pensare a Firenze dove debuttò Wielopole-Wielopole, al Museo delle Marionette di Palermo o al Crt Artificio di Milano, spazi dietro i quali ci sono storie di produzione e ospitalità.
Dei molti maestri che il teatro europeo ha avuto nel secondo Novecento, la figura di Kantor è una di quelle che svetta rimanendo quasi incolume al passaggio del tempo. Di lui non rimane un metodo sull’attore o sulla messinscena, ma la cartolina ingiallita di un’Europa ferita dalla guerra, la biografia che si mescola con la storia collettiva, la memoria manipolata e quel beffardo sorriso con cui se ne stava sempre in scena, orchestratore muto di un circo povero in cui preti, rabbini, soldati e vecchi sono protagonisti di numeri da bassa lega.
Andrea Pocosgnich
Si tratta di individui loschi, creature mediocri e sospette
che aspettano che le si “noleggi” come domestiche “a ore”.
Quasi sgualciti, sporchi, mal vestiti, malaticci,
imbastarditi, che fanno malamente la parte di persone spesso a noi care e vicine
Tadeusz Kantor Wielopole-Wielopole. Programma di sala. Traduzione di luigi Marinelli
foto di Andrea Pocosgnich
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