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Odissea: un’avventura contemporanea

Un cast di giovani attori per l’Odissea diretta da Vincenzo Manna e Daniele Muratore allo Spazio Diamante. Recensione

Foto di Anna Faragona
Foto di Anna Faragona

Il mare è uno stomaco che divora, ingloba ciò che lo vorrebbe dominare, è accecante blu che reclama i propri tributi i cui stessi nomi si consegnano a quell’appartenenza. «Nel pronunciare Odisseo – racconta una Atena schermitrice – sentite la preponderanza della esse», ecco quello è il suono di Poseidone che brama il suo mortale possesso.

Inizia così il viaggio di Daniele Muratore e Vincenzo Manna, registi di un adattamento che guarda all’epica omerica smorzata dalla contemporaneità della riscrittura di Derek Walcott, che nel 1990 spostò le vicende del suo Omeros dai lidi greci verso l’Oceano Atlantico. Ma questa Odissea, semplificando le innumerevoli tracce letterarie che pur rimangono evidenti, si consegna agli spettatori romani prima di tutto come un “lavoro di scena”. Un’impalcatura di tubi e travi si impone sul prenestino Spazio Diamante, diviene di volta in volta reggia itacese, nave dell’Eroe, antro di Circe, palazzo di Nausicaa. La struttura ideata da Marta Crisolini Malatesta (che cura anche i costumi dalla foggia moderna nei quali imperano gli estremi del bianco del protagonista o e il nero di Penelope) è il luogo in cui arrampicarsi, proteggersi dalla vista, mutare abito per esser mostro, ninfa, ciclope. L’Odisseo interpretato da Jacopo Venturiero è un eroe umano, la sua tracotanza è celata e inevitabile allo stesso tempo, il desiderio di ritornare all’isola “petrosa” è forte quanto la curiosità che lo spinge a braccia aperte verso l’ignoto; il suo passo è saldo ma la recitazione si concede al dubbio, la morbidezza, la voglia di rimandare.

Oltre il tratteggio delle personalità conformi alla tradizione, occorre sottolineare il lavoro fatto con i dieci giovani attori: innanzi tutto sui loro corpi, bene addestrati (nonostante qualche ingenuità d’interpretazione sicuramente migliorabile). Sempre pronti a credere, a farci credere, che gli oggetti in scena siano anche qualcos’altro. In questo è evidente la supervisione artistica di Andrea Baracco, la sua poetica scenica tale per cui una ruota da bicicletta è il timone della nave tanto quanto simbolo sessuale di un asservimento coatto.

Foto di Anna Faragona
Foto di Anna Faragona

Saltiamo la presunta edipicità di Telemaco (Federico Brugnone), la frivolezza di Penelope (Eleonora Pace), così impegnata a fingere di correre ossessivamente tra le braccia dei proci per accorgersi della flebile fiamma di speranza in mano al figlio; accenniamo alla sua fuga verso Menelao e Elena ricongiunti e leopardati (episodio e costumi in questo caso sacrificabili); oltrepassiamo la tempesta riversa nei corpi in impermeabile e galoches, le danze twister delle ninfe e arriviamo ai due episodi più riusciti di questo lavoro. Il primo, estremamente efficace sul piano dell’elaborazione dell’immagine, riguarda l’avventura sull’isola di Circe (da segnalare tra le migliori interpreti Elisa Di Eusanio). Eea diventa un’isola di perdizione, un bordello in cui “accogliere” i marinai, avviluppati da una museruola porcina: il piacere di una ruota da far roteare è una rincorsa a vuoto, è gioco da criceti dentro una gabbia, ancor più che da maiali grufolanti. Il secondo, molto più essenziale, rivede lo scontro di Odisseo che sfida in napoletano una Ciclope bendata e in pelliccia (non a caso interpretata sempre da Di Eusanio). Il palco illuminato da Andrea Burgaretta si spegne su un unico proiettore, unico occhio che illumina la tavola vuota a cui invitare il “fratello” a banchettare di altri fratelli, i suoi. Ancora una volta avviene il passaggio tra ciò che è realtà e quello che lo diviene grazie al teatro: i corpi fatti a brandelli sono i suoni di una forchetta che stride sul metallo, il disgusto di Nessuno è il nostro fastidio. La scrittura è agile così come i cambi da una scena all’altra (sempre a vista), mentre l’unica presenza divina, Atena schermisce il protetto dalla prova finale, verso una chiosa che apre al nuovo noto.

Si può definire questa un’Odissea pop, nella sua accezione positiva, godibile per quanto non portatrice di una lettura innovativa, ma appunto popular: è un’epica che racconta quel viaggio che perennemente rinnova il proprio mito, canta di una nostalgia perduta che annienta tutte le altre volontà, salvo incatenarsi all’albero della nave e continuare a salpare per mare, dentro la propria storia.

Viviana Raciti

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Foto di Anna Faragona

In scena dal venerdì alla domenica
fino al 13 dicembre 2015, presso lo Spazio Diamante, Roma

ODISSEA
Regia: Vincenzo Manna e Daniele Muratore
Scene e costumi: Marta Crisolini Malatesta
Musiche: Giacomo Vezzani
Luci: Andrea Burgaretta
Supervisione artistica: Andrea Baracco
Una produzione Khora.teatro
INTERPRETI E PERSONAGGI
Francesca Agostini ATENA – NAUSICÀA
Camilla Alisetta ANTÌCLEA – MELANTÒ
Federico Brugnone TELEMACO
Matteo Castellino MENELAO – EURIMACO
Elisa Di Eusanio CIRCE – CICLOPE
Caterina Marino ELENA – CLOÈ
Luca Molinari EURILOCO – COSTA
Eleonora Pace PENELOPE
Matteo Tanganelli ANTÌNOO – ELPENORE
Jacopo Venturiero ODISSEO

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

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