Romaeuropa presenta al Teatro Vascello Hyperion di Bruno Maderna, in uno spazio scenico ideato dal gruppo teatrale Muta Imago, suonata dai musicisti dell’Hermes Ensemble. Recensione
«Tutto si muove attorno a me. Tutto si muove dentro di me». E su queste parole si muove anche il pubblico, stempera la tensione accumulata in sessanta minuti di puro lirismo estetico, fisico, sonoro.
Applaudiamo forte, noi spettatori di questa micro-esperienza totale, e nel prolungato rumore dello sbattere di mani c’è anche l’istinto di tornare al reale. Perché è un viaggio, l’Hyperion di Bruno Maderna messo in scena dai Muta Imago, un viaggio che rapisce e da cui è difficile tornare indietro. Serve un segnale, un appiglio, qualche battito di palpebra in più del solito, all’uscita da teatro.
Il mio “risveglio” è stato aiutato da un volto, quello della flautista Karin de Fleyt: colonna vertebrale dello spettacolo, è fino all’ultimo parte integrante della scena, rendendo omaggio alla forza espressiva della musica con ciascun muscolo del suo corpo durante ogni pausa, ogni frase, ogni suono. E quando arriva la nota finale, il suo viso lentamente si distende: così come con dolcezza si distende il braccio che regge il flauto, unico strumento-simbolo di un’orchestra immaginaria. Eccola, la fine. Ci alziamo e guadagniamo l’uscita, c’è chi parla subito, chi sta in silenzio, chi indugia vicino al palcoscenico. Ma per tutti le sensazioni lasciate da Hyperion resteranno ben vive ancora per un po’.
Resta prima di tutto il senso dell’opera, con l’infinita domanda che pone al pubblico di ieri e di oggi: qual è il posto dell’uomo del mondo? Se lo chiedeva Friedrich Hölderlin nell’omonimo romanzo del 1797 da cui Hyperion è stato tratto. Se l’è chiesto Bruno Maderna, che per tutti gli anni ‘60 del Novecento ha lavorato senza sosta all’opera, masticandola, cambiandola, presentando numerose diverse versioni: quasi a voler trovare la risposta al quesito esistenziale di Hyperion nel continuo e inesauribile atto creativo del comporre. Se lo chiede infine Muta Imago, gruppo teatrale che come dice il nome stesso con la potenza dell’immagine rende quasi superflua la parola.
Per il loro Hyperion l’immagine che scelgono è totalmente verticale: una luna “animata”, che cambia forma e altezza, e sotto un uomo che ad essa tende senza mai raggiungerla. Hyperion, Iperione. In greco significa proprio “colui che sta in alto”: simbolo di tutta l’umanità, desidera costantemente qualcosa. Ma non la trova, non ci arriva. Questa volontà frustrata s’incarna nella fisicità del danzatore Jonathan Schatz, intrappolato dentro a un cerchio il cui spazio si stringe sempre più a causa di un flusso continuo di parole che lui stesso scrive freneticamente, in un vortice esasperato. I suoi gesti, prima quasi impercettibili, si fanno progressivamente insostenibili. Così Hyperion tende a posizioni “impossibili”, che il corpo non può sostenere e che si traducono in ripetuti fallimenti.
Per Claudia Sorace, regista e fondatrice dei Muta Imago insieme al drammaturgo e sound designer Riccardo Fazi, questa continua tensione inappagata si traduce in un costante e drammatico rifiuto del presente. Un presente che solo alla fine, forse, proprio con la sua caduta Hyperion accetterà: così come l’umanità intera secondo Hölderlin altro non può fare se non ammettere i propri limiti.
Ma Maderna, e Muta Imago con lui, non si accontenta: per questo oltre il senso, anzi sopra e attorno a esso, c’è sempre la musica. Una musica che varca i confini armonici ed esplora le infinite possibilità del suono, in una sfida che sul palcoscenico del Teatro Vascello si trasforma in un dialogo a due voci. Un flauto, appunto, unico superstite dell’ensemble pensato dal compositore veneziano; e un soprano, con il timbro graffiante e pieno della cantante Valérie Vervoort. La sua performance raggiunge l’apice vocale e interpretativo nel Schicksalslied, il “Canto del Destino”, che sembra trasformarne la voce in un vero e proprio coro. Lo stesso che per tutta l’opera c’è, ma non si vede: e forse è proprio questa la firma che rende unico l’Hyperion dei Muta Imago.
Flauto, voce e danza sono infatti avvolti dai suoni delle orchestre che durante la sua vita Maderna ha diretto nelle diverse interpretazioni dell’opera: frammenti di esecuzioni che arrivano dal passato e si mescolano con i moderni suoni dell’elettronica. Questa orchestra fantasma a tratti si fonde con i musicisti in carne e ossa, a tratti li interrompe violentemente; ma mai abbandona la scena, come a richiamare tutto il fascino di quest’antico e tormentato Hyperion.
Giulia Bonelli
Teatro Vascello, Roma – novembre 2015
HYPERION
Musica Bruno Maderna
Ideazione, Spazio scenico Muta Imago
Regia Claudia Sorace
Drammaturgia musicale Riccardo Fazi
Performer Jonathan Schatz
Flauto Karin de Fleyt – Hermes Ensemble
Soprano Valérie Vervoort – Hermes Ensemble
Arrangiamenti musicali, Live electronics Juan Parra Cancino – Hermes Ensemble
Assistente alla regia, Cinetica di scena Chiara Caimmi
Direzione tecnica, Video Maria Elena Fusacchia
Consulenza al progetto Alessandro Taverna
Consulenza etica ed estetica Daniel Blanga Gubbay
Supporto alle ricerche Brent Wetters
Luci Roberto Cafaggini
Costumi Jonne Sikkema
Organizzazione Agnese Nepa
Foto di scena Luigi Angelucci, Filip Van Roe
Prodotto da Muta Imago, Sagra Musicale Malatestiana, Romaeuropa Festival