Giancarlo Sepe nel suo ultimo lavoro, Sudori freddi, trae spunto da Boileau-Narcejac e Alfred Hitchcock. Recensione
La dialettica che intercorre tra cinema e teatro si impone continuamente all’attenzione dello spettatore abituale, tanto sullo schermo quanto sul palcoscenico. Le modalità in cui l’uno possa diventare adattamento dell’altro sono molteplici e rappresentano, a volte, perfette sintesi di linguaggi dalle innumerevoli stratificazioni di senso. In quest’orizzonte, la cinematografia di Alfred Hitchcock è stata, e lo è tuttora, fonte d’ispirazione per alcuni spettacoli teatrali passati per Roma proprio in questi ultimi mesi o presenti ancora in cartellone. Dopo il successo di The Dubliners, Sudori Freddi è l’ultimo lavoro firmato dal regista Giancarlo Sepe, ospitato quest’estate nella cornice del Napoli Teatro Festival e in scena fino alla prossima domenica al Teatro La Comunità di Roma. Lo spettacolo trae ispirazione dal romanzo D’entre les morts scritto a quattro mani dalla coppia Pierre Boileau e Thomas Narcejac nel 1954 dal quale è stato tratto a sua volta, circa quattro anni dopo, il capolavoro cinematografico La donna che visse due volte (Vertigo). Il libro ambientato a Parigi negli anni Trenta/Quaranta, il film in una San Francisco che si affaccia agli anni Sessanta: ambientazioni fuse insieme in uno spettacolo che dell’atmosfera parigina mantiene quel realismo poetico caro allo stile di cineasti quali Marcel Carné e Jean Renoir. Alla base dell’adattamento teatrale, riconoscibile sia a livello registico che drammaturgico, vi è il rispetto per i personaggi e la loro specifica caratterizzazione; zelo che la coppia Boileau-Narcejac scelse risolutamente di approfondire poiché, a suo parere, il punto debole del genere noir classico stava proprio nella mancata attenzione alla psicologia dei personaggi.
La Compagnia del Teatro La Comunità insieme alla partecipazione di Pino Tufillaro ci presenta quindi un insieme sfaccettato di ritratti passionali, delusi, inquieti, innamorati che della storia di Madeleine, Midge, Flavières/Scottie e Gévigne colgono gli aspetti irrisolti delle loro azioni, quelle speranze mancate, vertigini sul baratro di un’esistenza confusa, la cui evanescenza si scontra tuttavia con una marcata pesantezza della recitazione ravvisabile in alcuni passaggi, come quelli relativi agli incontri tra Madeleine e Gévigne o Midge e Flavières. Il tòpos del doppio, caro tanto agli scrittori che al cineasta britannico, si manifesta nella scenografia di cui si avvale Sepe in quest’occasione: circondano lo spazio pannelli neri lucidi sui quali si riflette l’immagine degli attori e, grazie ai colpi di luce (Marco Laudando e Guido Pizzuti) che dipingono la scena come fosse un set cinematografico, vediamo in alcuni momenti i volti dei personaggi e le loro espressioni soltanto attraverso lo specchio. Inoltre, l’estetica delle due uniche figure femminili e la loro nudità (Madeleine e Midge) risulta particolarmente elaborata in quanto esse rappresentano dei simulacri, parvenze di esseri che fluttuano in tempi diversi della storia e sulle quali, gli uomini proiettano non solo i propri ideali di donna, ma ancor più profondamente, i propri ideali di amore.
Rigore e cura scenica non deludono neanche in questo lavoro che riflette sull’idea psicanalitica della frammentazione dell’Io, dei suoi sentimenti e della realtà circostante, rendendo le atmosfere impalpabili e sensibili, pieghe di una narrazione caratterizzata da salti temporali tra spazi distanti e isolati nella finitudine di visioni. Il sogno e l’incubo, il subconscio e la veglia sono le trame in cui, ancora dopo decenni, si muove l’attività del pubblico seduto in platea. Per tale evidenza il bianco e nero dello spettacolo, le sue luci come le sue ombre, sono indici di questa tensione volta al rispetto per una sopraffina ricerca estetica e concettuale, ma relativa a tematiche ormai già assunte e metabolizzate nell’immaginario dello spettatore. Conoscenza che si tramuta in prevedibilità dell’intreccio, penalizzando purtroppo un lavoro potenzialmente capace di emanciparsi dal già detto per quella rinomata sapienza registica che lo contraddistingue.
Lucia Medri
in scena fino al 13 dicembre al Teatro La Comunità di Roma
SUDORI FREDDI
tratto dai personaggi di Boileau e Narcejac
regia di GIANCARLO SEPE
prodotto dalla Bistremila Marioletta Bideri
con Lucia Bianchi, Federico Citracca, Guido Targetti, Federica Stefanelli, Gianluca Spatti, Giuseppe Innocenti, Pino Tufillaro
scene e costumi Carlo De Marino
light designer Marco Laudando, luci Guido Pizzuti
musiche Davide Mastrogiovanni, Harmonia Team