Babilonia Teatri presenta David è morto al Teatro Goldoni di Venezia. Recensione
David. David è morto. E con lui è morta una generazione, con lui muore un popolo ridotto nella secca di una desolata, insensibile, decadenza. David è morto nelle gocce dei tranquillanti raccolte da terra col dito per non sprecarle, nell’alito marcio della solitudine, nelle parole rimaste dietro un vetro appannato, inascoltate, nell’inchiostro colato di lettere scritte e mai spedite. Potrei continuare a lungo, ma la verità, l’unica possibile, è che David è morto. E tutto questo nello spettacolo di Babilonia Teatri, dal titolo omonimo, non c’è. O meglio: questo è tutto ciò che proprio non c’è sul palco del Teatro Goldoni di Venezia, nel loro apparato scenico, dove invece s’innalza un cuore enorme appeso nel vuoto, proprio in mezzo, rosso pulsante al neon, esile eppure certo di avere un posto esatto, nitido, in cui battere. David lo indica, lì nel petto tra due arterie portanti, nell’istante prima di trafiggerlo con un coltello e farlo esplodere in mille rivoli, mille fiumi che non troveranno mare.
Sappiamo tutto, molto presto. Una voce off informa che la vita di David è terminata, che è l’attore a prestargli il corpo e la voce, che l’azione compiuta sul palco – palleggia con un pallone da basket al ritmo della sua canzone preferita: Tender dei Blur – l’attore l’ha imparata preparando lo spettacolo. Eppure, di lì a poco, con facilità Filippo (Quezel) diventa David, nessuno degli spettatori potrebbe dire il contrario, ognuno fa proprio il patto di condiscendenza sensibile che trasforma la realtà in rappresentazione, la proposta artistica in dibattito, la messa in scena in esercizio di verità. E proprio in virtù di questo invito alla crisi della forma, il lavoro di Babilonia Teatri – Valeria Raimondi ed Enrico Castellani – si misura con una destrutturazione del racconto, quasi scarnificato dalla scena, tradito ogni volta che inizia a costruirsi una dipendenza di causa-effetto, negato perché risponda all’isolamento esistenziale dei cinque personaggi, incapaci di trovare una motivazione non solo per vivere, anche per morire.
Il testo, pur non dei migliori firmati da Castellani e nato assieme agli attori nel tempo di gestazione, è tuttavia carico di un’urgenza intima, di una domanda inevasa. Esso scorre in avanti ma anche a ritroso dalla morte di David, scavando nelle dinamiche familiari le ragioni di un gesto scellerato, eppure ragioni non se ne trovano facilmente; lo stesso accade per il suicidio della sorella Iris (Chiara Bersani), impiccata appena il giorno successivo, ancor più fosca la vicenda che porterà a morire i genitori dei due ragazzi (Alessio Piazza e Emanuela Villagrossi), tempo dopo, così come quella che ucciderà Alex il re del pop (Emiliano Brioschi), cantore della morte di David e che concluderà sul palco la propria vita con un colpo alla testa. La ragione di queste mancate ragioni, di un altrettanto mancato racconto, è da rintracciarsi nella metaforizzazione del suicidio, attraverso cui questi uomini perduti incarnano la rinuncia a una civiltà postuma, priva di un senso che ne indirizzi l’evoluzione.
Se dunque le parole scombinano i piani di una facile e già digerita fruibilità, l’impianto visivo si compone di apparizioni – il fiocco azzurro e il fiocco rosa tra le braccia dei genitori, le chitarre calate dall’alto, le povere croci di legno disperse per il palco, la neve joyciana che cade sui vivi e sui morti, senza che se ne sappia, forse, differenza – pochi elementi simbolici che diano improvvisa connotazione ai frammenti testuali, stimolando il canale emotivo quel tanto che basti ad avvertire privazione, un momento dopo.
L’ottima intuizione del Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale, diretto con acume e conoscenza territoriale da Massimo Ongaro, colta nei meandri della riforma ministeriale che impedisce di fatto coproduzioni tra compagnie e Nazionali, trova il modo di produrre insieme a Emilia Romagna Teatro questo progetto di Babilonia Teatri, di fatto “assimilando” il lavoro al sistema produttivo permesso e investendo, con il progetto Incubatore produttivo, risorse su una compagnia del territorio ma di rilevanza nazionale. Se un processo “interpretativo” di tale portata è possibile in Veneto, necessario sia analizzato e proposto in altri territori di residenza di un nazionale, come ad esempio Roma o Napoli, là dove vi sia un movimento artistico che stia cercando un canale concesso solo a fatica e dove vi sia un teatro nazionale disposto a prendersi in carico questo rischio, senza nascondersi dietro la, presunta, imposizione ministeriale.
Quando si spengono le luci sul cimitero dei vivi morenti, non è chiaro se sia la vita di ognuno appesa a quel cuore installato nel semibuio e ora steso ad abbracciare la croce di David, oppure sia il cuore stesso appeso a chi non riesce a gestire la propria vita. Se sia esso il mezzo o il fine. Oppure entrambi. Ma forse non importa. Perché, pur ridotto a cornice dell’esistenza, continua in silenzio a battere. E battersi. Per tanto ancora.
Simone Nebbia
Teatro Goldoni, Venezia – dicembre 2015.
DAVID È MORTO
di Valeria Raimondi e Enrico Castellani
da un progetto di Babilonia Teatri
parole di Enrico Castellani
con (in ordine alfabetico)
Chiara Bersani, Emiliano Brioschi, Alessio Piazza, Filippo Quezel, Emanuela Villagrossi
e con Enrico Castellani
musiche originali di Cabeki
produzione
Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale
Emilia Romagna Teatro Fondazione