Teatro in video 26° appuntamento. Emma Gramatica, in La vita che ti diedi di Luigi Pirandello, una edizione del 1956
«Dunque ho udito La moglie che sa e Il velo lacerato. E se ve ne parlo non è tanto perché non ho di meglio su cui comporre la mia ultima Cronaca dell’anno, quanto perché mi danno l’occasione di parlare di un’attrice che è qualcosa di più e di meglio di un’attrice: è un’artista. Emma Gramatica. Questa cara piccola donnetta magrolina quando la si risente, di tanto in tanto, dà un godimento ogni volta, e talvolta una gioia. Nella miseria attuale della scena italiana è una delle pochissime attrici – (quante dita di una mano per contarle? Due? Tre? Quattro?…) – che riconciliano col teatro. E poi che per certi misteri punto eleusini ma alquanto trustajoli Emma Gramatica non può più ripresentarsi sulle scene milanesi quando viaggio e capito in una città dov’ella reciti non sto in forse sul teatro in cui passar la serata; tanto più che i manifesti di Emma Gramatica non sono per solito uguali a quelli degli altri teatri di prosa. Cinque volte almeno su dieci vi accade di vederci stampato il titolo di commedie che nessun’altra compagnia drammatica rappresenta. Gli è che questa attrice d’ingegno vivido e scaltro, dalla cultura varia e soda, dai gusti aristocratici… (Ah che piacere poter usare questa parola in tempi di degradante democrazia!) è una assidua perseverante ricercatrice di ciò che esce fuori dal comune, delle opere che – nel teatro straniero specialmente, e perché straniero meno noto e meno accessibile per il pubblico nostro – segnano tendenze nuove, o rappresentano nuove scuole, o son tentativi degni d’attenzione e di studio. Per non citarne che uno, è forse prima che ad ogni altro ma indubbiamente più che ad ogni altro ad Emma Gramatica che G. Bernard Shaw deve di essere in oggi popolare – no, dirò meglio, conosciuto e discusso e ammirato – in Italia. La professione della Signora Warren, Cesare e Cleopatra, Pygmalione ebbero in lei un’interprete squisita; e in Candida ella volle essere non Candida ma Eugenio, per una predilezione – chiamatela una piccola mania se volete – a vestir abiti maschili allorchè un tipo di giovanetto o di ragazzo la seduca e le dia modo di mostrare un’altra faccia di quel diamante purissimo ch’è il suo talento d’attrice. E io credo che nessuna scena di nessun paese abbia avuto mai un Eugenio della Candida shawiana che la superasse o la eguagliasse. Perché Emma Gramatica è lei, è qualcuno, sempre, su la scena. Lo è nel repertorio che tutte fanno, o lo è specialmente nelle commedie e nei drammi che altre non recitano e ch’ella predilige. Ha una personalità sua che è frutto della sua intelligenza e della sua penetrazione. Tutta la sua vita d’attrice è stata ed è studio e ricerca; e quando si affaccia alla ribalta non recita ma vive il suo personaggio, con una rettitudine e una sincerità di cui poche attrici nostre hanno dato l’esempio.[…]».
Oltre alle note di colore, così in una delle sue Cronache teatrali (Fratelli Treves Editori, 1921) il drammaturgo e critico Marco Praga parla di un’interprete non necessariamente acclamata dalla memoria diffusa come una legenda, pur avendo segnato in modo significativo la storia del teatro italiano. Sorella dell’altrettanto conosciuta Irma, prima attrice con Ermete Zacconi, recitò con Ermete Novelli, per anni accanto alla Duse, sino a divenire titolare e direttrice di compagnia sul crinale di un epoca in cui l’idea dell’attore era non poco dibattuta, di certo in piena evoluzione. Al cinema si consegnò anche con titoli noti come Miracolo a Milano e Le sorelle Materassi. A discapito di ogni preconcetto sui canoni del corpo-voce, dentro e fuori dall’universo verista, tra Pirandello e Ibsen, Shaw e Rosso di San Secondo passando per D’Annunzio e Battaille, seppe plasmare già davanti agli occhi delle cronache contemporanee un’identità artistica la cui forza attecchisse nella concretezza della pratica, in quella particolare forma di applicazione al mestiere che forse più di ogni altro glorioso enunciato concettuale costituisce il midollo della passione, l’alito ispirato che rende un palcoscenico “la scena”.
Marianna Masselli
Twitter @Mari_Masselli
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