Nicoletta Manni sul palco del Teatro alla Scala di Milano interpreta Manon ne L’histoire de Manon di Kenneth MacMillan. La terza intervista del nostro ciclo dedicato al balletto classico.
È stata nominata tra le migliori danzatrici al mondo all’ultima edizione del premio Benois de la Danse al teatro Bolshoi di Mosca. La rivista di danza tedesca Tanz l’ha eletta «promessa» del balletto internazionale. Nel 2013, dopo tre anni e mezzo al Balletto dell’Opera di Berlino, Nicoletta Manni (classe 1991) è tornata a danzare al Teatro alla Scala di Milano, quello che lei considera «il suo teatro da sempre». Nel 2014, infine, è stata nominata prima ballerina: un punto di partenza e non di arrivo. A poche ore dal suo debutto nel ruolo di Manon in L’histoire de Manon di Kenneth MacMillan, ho intervistato questa giovane prima ballerina pugliese che, grazie alla sua arte, sta donando nuova linfa e nuovo lustro al balletto italiano su scala internazionale.
Come ti sei avvicinata alla danza? Come si è svolta la tua formazione da ballerina?
Ho iniziato a praticare la danza da subito seguendo un percorso naturale. Mia madre ha una scuola di danza in provincia di Lecce, ma non è stata lei a spingermi ad andare avanti, sono stata io a volerlo. A tredici anni ho fatto l’audizione per entrare alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala: sono entrata al 4° corso e ho portato avanti gli studi fino al diploma. Avendo terminato la formazione accademica a 17 anni, poiché ero ancora minorenne non mi è stato possibile fare audizioni in Italia. Per questa ragione sono andata al Balletto del Teatro dell’Opera di Berlino dove ho danzato per tre anni e mezzo. La mia partenza è stata una scelta dovuta, perché in Italia non avrei potuto lavorare, per ragioni legali. Sono contenta di aver fatto questa bella esperienza all’estero, ma non appena ho avuto l’opportunità sono stata felice di rientrare in Italia e in particolare alla Scala dove il direttore del corpo di ballo Makhar Vaziev ha da subito messo in luce i danzatori giovani, facendoli ballare tanto e seguendoli da vicino. Sono sempre rimasta legata alla Scala, è sempre stato il mio teatro.
A Berlino hai compiuto il passaggio che ha segnato un importante cambiamento: sei entrata nel mondo del lavoro vero e proprio. Che cosa ha significato per te questo passaggio? Come lo hai vissuto?
Già durante gli anni trascorsi alla Scuola di Ballo ho avuto l’opportunità di prendere parte agli spettacoli della Scuola e alle produzioni con la compagnia di danza del teatro. Per esempio, ho danzato il ruolo dei topi ne Lo Schiaccianoci, come succede a molti allievi delle accademie di danza. Quindi in realtà avevo già avuto modo di assaporare il mondo professionale della danza e di conoscere il punto di vista di una ballerina professionista. Queste esperienze mi hanno permesso di capire il funzionamento di tutta la macchina del teatro al servizio di uno spettacolo completo, che non è fatto solo del balletto in sé, ma ci sono anche l’orchestra, le scenografie, etc. Il passaggio vero e proprio l’ho fatto quando sono arrivata a Berlino, dove mi sono confrontata con un’esperienza importante in un Paese diverso dal mio. Per un ballerino, uscire dagli anni della formazione significa sapere che non c’è più una maestra che ti segue in tutto e per tutto, la responsabilità del lavoro sta a te e all’inizio può non essere semplice entrare in questo meccanismo.
La programmazione di balletto del Teatro alla Scala offre al pubblico sia titoli di balletto classico tradizionale, sia creazioni attuali. Come ti relazioni con i diversi tipi di repertorio?
In realtà è vero che abbiamo anche delle produzioni più moderne, ma non affrontiamo opere di “danza contemporanea” vera e propria. C’è sempre una forte base classica che caratterizza tutti gli spettacoli. L’anno scorso abbiamo avuto in programmazione Cello Suite del coreografo Heinz Spoerli, un lavoro che mantiene una solida base accademica, sviluppata in uno stile completamente diverso. In questo caso in sala prove abbiamo lavorato direttamente con il coreografo che ci ha guidato nell’appropriarci della coreografia e del suo stile. Ogni volta il corpo si deve abituare a un tipo di movimento diverso, anche perché non bisogna dimenticare che la nostra lezione, il nostro training quotidiano, è sempre lo stesso. È durante il periodo di prove che il ballerino impara ad adattarsi allo stile richiesto.
A questo proposito, da poco alla Scala avete affrontato La bella addormentata di Alexei Ratmansky, un progetto volto a riportare in scena uno stile cui nessuno è più abituato, né voi danzatori né il pubblico. Si è trattato quasi di un progetto di archeologia del movimento.
Abbiamo avuto l’opportunità di lavorare in maniera filologica a una produzione di grande repertorio classico attraverso la visione di un coreografo contemporaneo. Abbiamo riportato in scena lo stile del balletto ottocentesco. Si è trattato di un lavoro quasi opposto per noi che di solito ricerchiamo un movimento nuovo, contemporaneo. All’epoca la formazione dei ballerini era diversa e anche i corpi dei danzatori erano diversi, così come le posizioni. Noi lavoriamo in allungamento, creando linee lunghe con il corpo, mentre all’epoca lavoravano, per esempio, con le attitude “corte” con la jambe en l’air molto piegata, il passé sotto il ginocchio quasi a fare un coup de pied, gli chainés in mezzapunta, le braccia più rotonde e – oltre alle differenze di movimento – c’è un lavoro sul ritmo, una musicalità velocissima. È stato intenso, ma artisticamente ci ha arricchito tanto e soprattutto ha ottenuto un buon riscontro da parte del pubblico.
In queste ore stai preparando il ruolo di Manon per L’histoire de Manon di Kenneth MacMillan. Come ti stai preparando per questo debutto?
Ho già avuto l’opportunità di danzare un balletto di MacMillan quando ho danzato in Romeo e Giulietta l’anno scorso. Quindi avevo già potuto capire quale fosse la particolarità delle coreografie di MacMillan, cioè il fatto che l’aspetto interpretativo prevale sulla tecnica. La difficoltà del ruolo di Manon è nel suo carattere, che cambia durante i tre atti del balletto. C’è un “passo base” che Manon esegue in tutti e tre gli atti, solo che nel primo è innocente e fresca, nel secondo è più seducente e femminile, mentre nel terzo atto è praticamente senza vita. La particolarità del ruolo sono i passi a due, che sono complessi e sfruttano una tecnica completamente diversa dal passo a due del repertorio classico. La difficoltà è nel costruire una buona relazione col partner (Jacopo Tissi, ndr) che è molto importante in quanto il coreografo fa portare avanti la narrazione del balletto proprio dai passi a due. Ne L’histoire de Manon ogni momento, ogni movimento è parte del racconto. La preparazione di un ruolo è un percorso. Io di solito inizio guardando i video. In questo caso conoscevo già il balletto perché già due anni fa il balletto è stato in programmazione alla Scala e io ho danzato il ruolo di una delle cinque cortigiane. Naturalmente, vederlo e impararlo è una cosa ben diversa, ma per questo abbiamo i maître e gli assistenti che ci aiutano a imparare la coreografia e a perfezionarla.
Cosa ti aspetta dopo questo importante ruolo?
Dopo Manon abbiamo in programma una nuova creazione: Cenerentola con la coreografia di Mauro Bigonzetti. Appena avrò finito il mio impegno con L’histoire de Manon, mi dedicherò anch’io alla prossima produzione.
Gaia Clotilde Chernetich
Twitter @gaiaclotilde
L’HISTOIRE DE MANON
al Teatro alla Scala di Milano dal 12 al 20 Novembre 2015
Durata spettacolo: 2 ore e 30 minuti inclusi intervalli
Corpo di Ballo e Orchestra del Teatro alla Scala
Produzione Teatro alla Scala
Durata spettacolo: 2 ore e 30 minuti inclusi intervalli
Musiche Jules Massenet
Arrangiamento e orchestrazione Martin Yates
Coreografia Kenneth MacMillan
ripresa da Julie Lincoln
Direttore David Coleman
Scene e costumi Nicholas Georgiadis
ÉTOILES
Svetlana Zakharova (12, 14, 17)
Roberto Bolle (12, 14, 17)
ARTISTA OSPITE
Sarah Lamb (18, 20)