Father and Son, lo spettacolo tratto da Gli Sdraiati e Breviario Comico di Michele Serra che Claudio Bisio ha portato in scena al Teatro Argentina. Recensione
L’apparizione di Claudio Bisio, impegnato in un one-man-show con Father and Son per la regia di Giorgio Gallione, basta da sola a far trasalire il Teatro Argentina in un applauso prodromico a scena aperta, sulla (catodica) fiducia. Da subito si ha l’impressione che ciò che sta per accadere sarà un successo annunciato, forte di anni di share da una parte e di record di vendite sugli scaffali dall’altra. Claudio Bisio e Gli sdraiati, Claudio Bisio e Michele Serra. Il lato oscuro della forza, in un’operazione del genere, c’è, ed è la presenza costante del rischio di sbilanciarsi in un’apologia del già visto, del già detto.
D’altronde non è sempre facile uscire dai propri schemi, né per chi scrive, né per il pubblico, né tanto meno per un mattatore da prima serata dell’intrattenimento generalista, nonostante il testo ispirato molto fedelmente, quasi alla lettera, ai due titoli di Michele Serra, presenti (per dirla con Andrea Pocosgnich e con il suo articolo “Che fine ha fatto la commedia?“) oltre a scampoli di gag sull’attuale Breviario comico italiano, «un ambiente pressoché dialogico costruito sulle fondamenta di avvenimenti legati da una sequenza logica e temporale». L’ambiente dialogico, infatti, è nel dialogo mancato con il proprio figlio, e la sequenza logica e temporale è quella che descrive la presa di coscienza di un padre moderno, divorziato, nell’epoca dell’assenza dei padri sostituiti da un’ambigua forma di assistenzialismo esistenziale con tutto il vuoto dialettico che comporta. Un “dopo-padre” insomma, che dovrà sentirsi superato dalla direzione del figlio per concedersi, finalmente, il potere di diventare vecchio.
«Certo che un mondo dove i vecchi lavorano e i giovani dormono, prima non si era mai visto». Risuonano beffarde e ironiche le righe del libro –pop – di Michele Serra nella stanza del figlio assente, in una scenografia che lascia però per lo più inattese le promesse metaforiche: un armadio a specchio appeso in aria e un altro riverso a terra schiacciato da alcuni massi pesanti, opprimenti come la reiterata richiesta paterna di una passeggiata in montagna, padre e figlio, fin su il colle della Nasca, che l’adolescente stenta ad accettare.
Con l’assolo di Bisio armonizzato dagli interventi organici dei due talentuosi e giovani musicisti Laura Masotto (violino) e Marco Bianchi (chitarra), Father and Son reinterpreta, ancora una volta, il passaggio più ostico della partitura del rapporto paterno. «Penso a come è stato facile amarti da piccolo. A quanto è difficile continuare a farlo ora che le nostre stature sono appaiate». In un momento storico in cui la contrapposizione è divenuta assenza reciproca i figli si sdraiano su una percezione del mondo amplificata dal digitale in un immobilismo però ultraricettivo, più selettivo di quanto un padre possa immaginare. «Le orecchie sono le mie», rivendica il ragazzo in una delle poche battute che la voce di Bisio gli fa pronunciare nel finale, durante la salita sul colle della Nasca che vale sicuramente l’intento emotivo dello spettacolo. Probabilmente perché è allora che il figlio nomina e supera il padre, in verticale, assolvendolo dalle colpe di una società che teme di aver fallito il proprio mandato, rimanendoci così morbosamente attaccata, e di aver lasciato i propri figli sdraiati su una rete a loro sconosciuta, il Web.
Il Teatro Argentina è pieno. Le risate dei ragazzi in sala confermano l’ironia sulle loro abitudini da nativi digitali, e le risate degli adulti la società deforme che stanno lasciando, creando un cortocircuito tra ciò che oggi è il concetto di libertà e quello di autorità. Bisio sa come far ridere, lo ha fatto per anni e continua a farlo con i suoi tempi, le espressioni, e il suo sicuro, comico, abitare la scena. Gli interventi dei musicisti non sono mai superflui. Il testo non è rivelatore ma può essere un prezioso accesso al profilo Instagram di una generazione di figli. Insomma, la realtà c’è, ma appare spesso composta dietro un filtro hudson (vignettato, con leggeri toni bluastri) che ne attenua l’impatto critico, vivido, originale, della messa in scena. La conclusione sulle note dell’inno edipico di Cat Stevens in uno spettacolo che ne cita il brano nel titolo, fa storcere la bocca di fronte all’ennesimo occhio strizzato al già sentito.
Al teatro la società richiede, implora, un no filter che smascheri la costruzione commerciale, ripetuta, dell’immagine che giovani sdraiati e adulti esautorati stanno lasciando di sé stessi. Ma se per farlo abbiamo bisogno di guardarci gradatamente allo specchio, di darci di nuovo dei segnali conosciuti, allora ascoltiamoci ancora una volta Father and Son. Poi, peró, andiamo avanti.
Luca Lòtano
Visto al Teatro Argentina, Roma, novembre 2015.
FATHER AND SON
ispirato a Gli Sdraiati e Breviario comico di Michele Serra
con Claudio Bisio
e con i musicisti Laura Masotto (violino), Marco Bianchi (chitarra)
regia Giorgio Gallione
scene e costumi Guido Fiorato
luci Aldo Mantovani
produzione Teatro dell’Archivolto