Luca De Bei al Teatro Eliseo di Roma con Tempeste solari. Recensione
Porre da subito l’attenzione verso la drammaturgia contemporanea è stato uno dei temi chiave della campagna di promozione del nuovo Teatro Eliseo. E così non solo nella sala piccola (dove naturalmente il rischio preso dalla gestione è maggiore), ma anche in quella grande, ristrutturata e rinfrescata a nuovo, tra Shakespeare, Čechov, Pinter, Pirandello e Schnitzler, ecco affacciarsi Rajiv Joseph (abbiamo parlato del suo Una tigre del bengala allo zoo di Baghdad), Vittorio Franceschi, l’ultimo lavoro di David Mamet, Anthony Burgess e Luca De Bei.
Insomma la volontà di raccontare il nostro tempo con le parole di chi lo vive è innegabilmente presente nei progetti del direttore Luca Barbareschi, ma poi è altrettanto innegabile che queste scelte abbiano ognuna un percorso autonomo e una diversa incisività. L’ultimo degli autori citati ad esempio rimane, per chi scrive, un vero e proprio mistero. Alla fine della scorsa stagione teatrale, al Teatro della Cometa, mi capitò di assistere a Nessuno muore, come per questo Tempeste solari, anche in quel caso la scrittura e la regia erano firmate da Luca De Bei. Non ebbi modo di scriverne, ma trovai lo spettacolo davvero inconsistente per messinscena e recitazione, con un testo saturo di situazioni e frasi scontate che puntavano sempre al sentimentalismo più immediato. Ne scrisse Marcantonio Lucidi con parole durissime «De Bei pratica un teatro di riproduzione. E la riproduzione è una falsificazione, nel migliore dei casi una verità trasformata in finzione. Semplicemente perché non è possibile sollevare di peso la realtà e scaraventarla su un palcoscenico». Anche in Tempeste solari ci sono storie e personaggi che si intrecciano e come in Nessuno muore tutto è minacciato da qualcosa di esterno e incontrollabile, nella pièce vista la scorsa stagione erano gli alieni e qui al Teatro Eliseo sono le perturbazioni solari che potrebbero spegnere qualsiasi attività sul globo terrestre. Ma l’espediente catastrofistico rimane appunto un espediente, una tiepida metafora della fine.
È ancora una volta un dramma dei sentimenti, un testo che vorrebbe scavare nelle relazioni e negli animi dei personaggi. Tutto però rimane in superficie ed è come assistere a un eterno déjà-vu di immagini, temi e snodi narrativi già visti. C’è l’anchorman del tg lasciato dalla moglie, perennemente in lacrime, perché mai presente – mentre lei perdeva il bambino lui era disperso in qualche paese lontano –, c’è la donna che non riesce a lasciare del tutto l’uomo cattivo perché ne è ancora attratta e affascinata, c’è la giovane amante e poi la tipica famiglia borghese disastrata: un professore universitario totalmente anaffettivo, una ex moglie non più giovane che combatte l’avanzata degli anni e un figlio gay, che, durante le sue sedute di psicoterapia, ricorda di essere stato picchiato da piccolo. C’è anche una scena in cui si vorrebbero attaccare le multinazionali con una filippica estenuante sulla malvagità della Nestlé e che rimane un tentativo fine a se stesso, un nucleo narrativo chiuso e senza sbocchi estraneo al resto come una protesi finta.
Gli attori si muovono in una scena asettica, dagli accenti quasi futuristici, divisa in due spazi, con due aperture sbilenche, attraverso le quali, per mezzo di passerelle mobili, i personaggi emergono ed escono dall’intreccio determinando così anche il montaggio teatrale della vicenda. Che poi vicenda non è in quanto non c’è un vero e proprio svolgimento: i dialoghi, alla scoperta di un passato da cartolina tragica o pronti a infiammare un presente di solitudini, sono protagonisti, ma necessiterebbero di altra forza poetica per far da motore all’opera intera. Si salvano alcune scene divertenti e l’interpretazione meravigliosamente sopra le righe di Paola Quattrini (sul palco insieme a Ugo Pagliai, David Sebasti, Pia Lanciotti, Mauro Conte, Chiara Augenti). Per il resto rimane un testo prolisso che non spicca il volo e sembra muoversi in certi standard televisivi, quasi per essere riconosciuto dal pubblico. Qualche giorno fa ho avuto la fortuna di assistere a una delle letture in scena al Tetro Belli per Trend, la rassegna sulla nuova drammaturgia britannica. Anche in quel caso (The Cordelia’s dream interpretato da Valerio Binasco e Teresa Saponangelo) vi era al centro una relazione tragica tra due parenti, un padre che odia la figlia fino a procurarne il suicidio. Il testo, di Marina Carr, pieno di echi shakespeariani, è un finissimo gioco al massacro, nel quale senza buonismi un uomo ormai vecchio rende palese uno dei pochi tabù rimasti nella società occidentale, l’invidia, l’insopportabile invidia per la carriera artistica della figlia. Dopo aver visto o letto un testo come quello dell’autrice irlandese si comprende quale sia il ruolo della drammaturgia contemporanea quando questa abbia l’ambizione di essere opera d’arte: affrontare l’indicibile, raccontare sì la realtà, ma come mai era stata raccontata prima, occuparsi di storie e idee che non hanno spazio nel pensiero collettivo, deviare la riflessione dallo standard generalmente accettato.
Andrea Pocosgnich
Twitter @AndreaPox
Visto al Teatro Eliseo – fino al 1 novembre 2015
TEMPESTE SOLARI
di LUCA DE BEI
con UGO PAGLIAI, PAOLA QUATTRINI, DAVID SEBASTI PIA LANCIOTTI, MAURO CONTE, CHIARA AUGENTI
regia LUCA DE BEI
scene FRANCESCO GHISU
costumi SANDRA CARDINI
luci MARCO LAUDANDO
musiche MARCO SCHIAVONI
assistente regista MARIA CASTELLETTO
assistente scenografo LORENA CURTI
assistente costumista CHIARA LANZILLOTTA
Di lungaggini e format simil-televisivo soffre senz’altro questo testo di De Bei: forse è meglio il De Bei regista che il De Bei scrittore, visto come riesce a tirar fuori il meglio dagli attori, e soprattutto da Paola Quatrini e Pia lanciotti. Altri suoi lavori (“Le mattine dieci alle quattro”, per esempio) mi erano piaciuti di più ma questo è il livello (decoroso, di buon artigianato, sorretto da ottimi interpreti ma non esaltante) di molta nostra drammaturgia: chi possiamo salvare? Paravidino, Santeramo, e poi?
L’invidia è una brutta bestia. De Bei è uno dei migliori drammaturghi italiani, signor Pocosnigh se ne faccia una ragione.
Il problema cara Caterina è che io per argomentare il mio giudizio ho utilizzato cinquemila caratteri, cercando di spiegare cosa secondo me non funzionava nello spettacolo e nella scrittura di De Bei, invece lei, Caterina, argomenta semplicemente con “L’invidia è una brutta bestia. De Bei è uno dei migliori drammaturghi italiani, signor Pocosnigh se ne faccia una ragione.” Le sembra una discussione alla pari questa?
D’altronde l’argomentazione dell’invidia spiega molto della sua attitudine alla riflessione…
Grazie
andrea
Caro signore lei cita nientepopodimeno che Marcantonio Lucidi, il che è tutto dire!!! Se questi sono i suoi riferimenti critici, allora si spiega tutto. Non ho visto questo spettacolo (di cui TUTTI mi hanno parlato benissimo, per questo ero curiosa di leggere la sua “critica”, e di cui ho letto altre bellissime critiche su carta stampata, tipo Repubblica, non questi blog on line dove può scrivere chiunque) ma ho visto molti testi di De Bei, di cui due con Maria Paiato, e mi sono sempre piaciuti molto. Ha una scrittura asciutta, inesorabile, ed è ritenuto da tutto l’ambiente teatrale un bravissimo drammaturgo (e regista), uno dei pochi che mette (quasi a quanto pare) tutti d’accordo. Certo, scrive per il pubblico, non per intellettuali snob e asettici e scrive ruoli bellissimi per attori e soprattutto attrici. Le sue argomentazioni sono davvero inconsistenti: praticamente nel suo pezzo critica la trama!! Ma sa cosa è una struttura drammaturgia? Non infierisco oltre. Stia bene.
Scusi ancora Caterina,
dunque lei non ha visto lo spettacolo, ma viene qui ad attaccare me difendendolo per sentito dire… complimenti, ci vuole fegato (oltre che una totale noncuranza delle regole minime di un dibattito serio) gliene do atto.
abbracci
andrea
Quanto alla sparata “carta stampata, non questi blog online dove può scrivere chiunque”… Lei ha idea di che cosa stia dicendo? Oppure parla per partito preso solo ed esclusivamente per sentito dire? Lei ha una vaga idea delle regole di “successione” che molto spesso disciplinano le firme dei quotidiani? Oltre che il rapporto di filiazione diretta con logiche di potere che in nessun modo fanno riferimento a una formazione dello sguardo e della coscienza critica.
E dico questo conservando intatta la stima per diversi colleghi della carta stampata, in cui invece riconosco un’attitudine a lottare a favore di un’autorevolezza comprovata da esperienza e passione e non solo dal titolo di una testata.
A ogni modo, si dà il caso che questo “blog online”, come ben può leggere nelle nostre informazioni e in calce a questa stessa pagina, sia una testata giornalistica registrata a un tribunale, abilitazione che – se si informasse un minimo prima di andare a sparare a zero – comporta una responsabilità civile e legale.
Forse, invece di andare a insultare il lavoro di chi mette nome cognome e cv in quello che è a tutti gli effetti il proprio mestiere, farebbe bene a imparare qualche piccola lezione di metodo quanto meno nello stile delle comunicazioni.
Disprezza tanto questi fantomatici “blog online” (come se ne esistessero di offline) come tempio del qualunquismo. Rilegga i propri commenti e faccia un sincero esame di coscienza.
Buona giornata
Sergio Lo Gatto
Direttore
Io l’ho visto al Teatro Eliseo e mi è piaciuto moltissimo. Mi sono divertita ed emozionata. Attori bravissimi con una Paola Quattrini e Ugo Pagliai in stato di grazia.una delle rare volte in cui ho detto a molti amici di non perderlo. Personaggi veri e mai banali, sembravano usciti dalla vita vera. Non so cosa si possa volere di più dal teatro…
Spettacolo bellissimo. Lo vidi qualche anno fa al teatro Eliseo e ancora me lo ricordo. Avevo l’abbonamento e fu uno dei più belli della stagione. Ho letto la vostra critica e vi dò uno spassionato consiglio: cambiate mestiere.