Vita di Edoardo II di Inghilterra diretto da Andrea Baracco a Le vie dei festival. Recensione
«The king is dead long live the king» canta una voce nella bruma, ombrelli neri, colletti alzati, volti imbiancati. Non siamo fuori, ma dentro, ancora una volta in teatro. Una piccola tomba di terra al centro; la litania rintocca – eco di orologio che muto sta in fondo – la voce si fa più ripetitiva, confusa, incerta ripete le parole mentre il nuovo re strappa la corona da quella terra che sotterrava il padre. A dirci che non siamo fuori, ma dentro un teatro, è un uomo che ci presenta la storia inondandoci di luce gli occhi con un proiettore, distogliendoci almeno per un attimo da quella compagine sentimentale che ci aveva catturati.
Si apre così La vita di Edoardo II re d’Inghilterra, opera di Brecht nella quale i tratti che lo resero celebre si iniziavano appena a manifestare e ora diretta da Andrea Baracco al Teatro Vascello per Le vie del festival. Ambientato nella Londra del XIV secolo, il dramma deve una sua primigenia stesura per la mano di Christopher Marlowe, dalla quale il drammaturgo di Augusta riprese la lenta sconfitta politica di Edward II, legato sentimentalmente alla figura di un macellaio, Gaveston, esiliato dal re e poi ricoperto di gloria dall’amante contro la volontà della regina abbandonata e soprattutto contro quelle dei Pari d’Inghilterra, facendo cedere così il regno in un disequilibrio di ordini e poteri che infine porterà tutti (o quasi) alla morte.
Il personaggio iniziale, traduzione scenica di quei cartelli che per la prima volta proprio in questo testo furono introdotti sul palcoscenico, è l’elemento che più fortemente ci restituisce la tradizione brechtiana legandosi, nello stesso tempo, al fool elisabettiano, l’unico che si possa permettere di dir la folle verità, di indossarne la bandiera, di non mutare mai. Godremo il resto dello spettacolo dimenticandoci di estraniamenti e scivolando più negli intrighi intessuti dentro la corte, in quella ragion propria e incapace di soccombere alla ragion di stato. Nella capitolazione del regno, lunga ventitrè anni ma qui scandita da un giro di lancette, avvertiremo anche una chiara trasformazione dei personaggi, dalla regina Anna (al secolo Aurora Peres), la cui camminata inquieta e afflitta si sostituisce alla volontà cruda di vendetta, accettando perfino una relazione clandestina, fino a Mortimer: l’intellettuale interpretato efficacemente da Marco Vergani che aborrisce gli scontri per rifugiarsi nei libri finirà per abbandonare gli occhiali, abbracciare un potere che non sa portare finendo così per disfare se stesso; la compostezza e il linguaggio colto non gli apparterranno più. Anche Edoardo in una certa misura verrà sopraffatto fisicamente dagli eventi, dalla bramosia iniziale alla disfatta degli anni di fuga: in questa versione Gabriele Portohese è e rimarrà fino alla fine re, fino alla fine rifiuterà di lasciare la corona, anche dopo la morte, è lui a presenziare al centro di un regno che per la virtù del figlio conoscerà cinquant’anni di gloria.
Baracco con forza restituisce alcune immagini efficaci; definite dai tagli di luce e da pochi altri oggetti, le scene vivono soprattutto nell’interazione tra i personaggi, è nel loro incontro scontro che scorgeremo le biblioteche ammuffite, le stanze buie nelle quali violare la regina abbandonata, la vita fuggitiva nei boschi. Sono le emozioni a far da padrone, anche a discapito di una scorrevolezza delle scene, soprattutto nella parte centrale che fatica a mantenere quel mordente degno del finale, nel quale la sintesi delle vicende, questi rapporti sfilacciati dall’interno, trovano ultima dimora in un sontuoso e mortale telo di cellophane. Il vecchio potere rimane lì imbalsamato, mentre, per una volta, le colpe dei padri non ricadranno sui figli.
Viviana Raciti
Twitter @viviana_raciti
VITA DI EDOARDO II D’INGHILTERRA
di Bertolt Brecht
da Christopher Marlowe
regia e adattamento Andrea Baracco
con Mauro Conte, Aurora Peres, Gabriele Portoghese, Nicola Russo, Francesco Sferrazza Papa, Marco Vergani
disegno luci Javier Delle Monache
assistente alla regia e costumi Marta Genovese
direzione di produzione Alessia Esposito
produzione Teatro Franco Parenti – 369gradi