A Terni si è chiuso il decimo Festival della Creazione Contemporanea. Qualche nota sull’esperienza.
Si gira l’Italia per buona parte dell’estate, si va a curiosare tra i cartelloni di festival che resistono da interi decenni e di altri che si affacciano al palinsesto proponendo chi genius loci chi vetrine internazionali. Poi si torna ciascuno nella propria città, come salutando tutti e arrivederci alla prossima estate. Non è così per chi ha Roma come destinazione casa. Quest’anno due festival animati e resistenti festeggiavano dieci anni. Di Short Theatre abbiamo ampiamente parlato in queste pagine; Terni dista poco più di un’ora di macchina dalla Capitale, più o meno il tempo che occorre per attraversarla da capo a capo, la Capitale. Dunque ecco che, per chi vive lì e ha voglia di sperimentare qualcosa di nuovo, Terni Festival diviene tappa obbligata, luogo di incontro raggiungibile quanto qualsiasi altro quartiere.
Quest’anno, poi, tutte le specificità della manifestazione sono state evocate e fortificate, tutte le sfumature che dal lontano 2006 hanno trasformato l’allora Es.Terni. La desinenza resta la stessa: Festival Internazionale della Creazione Contemporanea. L’attenzione dunque è lì, sulla fase di creazione; una vocazione che questo evento è riuscito – soprattutto negli ultimi anni – a rendere visibile, spostando l’idea della performance come prodotto finito e del pubblico come destinatario immobile verso un continuo slittamento della concezione stessa di processo creativo. Abbiamo negli anni visto le strade di Terni attraversate dall’arte scenica, i luoghi invasi e cambiati, anche solo per un momento, da un flusso di spettatorialità in divenire, che coinvolgeva passanti anche solo con il lancio di uno sguardo.
È successo anche quest’anno, nell’emozionante momento che è stato la distruzione della Structure Monumentale ideata e coordinata da Olivier Grossetête. Piazza Tacito ha ospitato un workshop di quattro giorni per la costruzione di un edificio imponente, composto da decine e decine di scatole di cartone, per poi convocare la cittadinanza ad assistere alla convergenza di due eventi: il varo dell’edificio finito e la sua distruzione. Il riferimento è certo all’effimero di ogni assemblaggio di speranze, ma forte è anche il senso di partecipazione che si prova – pur restando solo spettatori della demolizione – in questa sorta di gioco di ruolo sulla caduta delle coscienze pure. Preannunciato dal tono sordo e metallico di un megafono che distribuiva le istruzioni, il cupo stormire del palazzo che crolla ha fatto rabbrividire gli astanti.
Occhi, orecchie, nervi e corpo tutto sono stati invece bersaglio del coraggioso esperimento del gruppo tedesco Ligna (al secolo Ole Frahm, Michael Hueners e Torsten Michaelsen), impegnato dal 2002 a mettere in crisi il concetto di spazio teatrale, riorganizzandolo in un’idea di «apparato che plasma soggettività». Con una mano saldamente ancorata alla lezione di Brecht, l’altra impastata di ideologia politica, Il grande rifiuto si presenta come una sorta di sogno collettivo, una visione distopica non tanto del futuro quanto del presente. Agli spettatori vengono consegnati auricolari da cui ricevere indicazioni che più che ordini sono consigli, che si può scegliere di accettare o, lo dice il titolo, di rifiutare. L’azione scenica sarà la somma di queste scelte. La verbosa drammaturgia – in verità poco accurata nella ricerca di una dimensione radiofonica e indebolita da registri vocali (italiani) scollati dalla materia trattata – parte dall’ipotesi che la Prima Guerra Mondiale potesse essere evitata se solo il congresso della Seconda Internazionale Socialista, programmato per l’agosto 1914 a Vienna, avesse avuto modo di svolgersi.
La coscienza politica e sociale delle masse non ne avrebbe forse percepito realmente la potenza (ché per una rivoluzione ci vogliono innanzitutto coscienze esauste) ma i governanti? I colossi della geopolitica che si azzuffavano per interessi economici e coloniali? La performance la fanno gli spettatori, guidati da “voci interne” dall’esterno verso tre diverse stanze del CAOS (Centro Arti Opificio Siri); ci si scambia occhiate smarrite, qualcuno si lascia del tutto andare al gioco, qualcuno alla riflessione, qualcuno ne approfitta per sgranchirsi i muscoli, qualcun altro le ali. Brecht torna ad affacciarsi nella parte centrale, quando le voci in cuffia coordinano la creazione di un «paedagogium del rifiuto», uno spazio deputato alla totale espressività, finalmente libera dai vincoli logici e ritornata al fuoco elementare del gesto significante.
Assistiamo a qualche scivolata nella retorica e in utopie fuori tempo massimo, è il prezzo da pagare per un lavoro lungo che vorrebbe dire ancora di più di quello che dice, spingere ancora più in là il concetto di esperienza – si arriva addirittura a schiacciare un “pisolino guidato” di dieci benedetti minuti – e nonostante questo ci lasciamo andare; più che giocare a fare gli attori o i drammaturghi, è interessante concedere a quello spazio l’opportunità di plasmarci la soggettività.
Simile a quel che era appena successo, qualche porta più in là, nel gioco di ruolo semiserio pensato – in collaborazione proprio con Teatro e Critica – dal titolo The Future is Unwritten: addetti ai lavori si sono scambiati i ruoli nel tentativo, rispondendo a domande provocatorie sul sistema teatrale, di fare un punto su presente e futuro. E che fatica, quella soggettività, lasciarsela plasmare.
Sergio Lo Gatto
Twitter: @silencio1982
IL GRANDE RIFIUTO
Di: Ligna
Coordinamento artistico e produzione: Elena Basteri, Emanuele Guidi,Elisa Ricci
Coordinamento amministrativo: Verena Rastner (ar/ge kunst, Bolzano/Bozen)
Voci: Lucia Chiarla, Daniele Fior, Aurora Kellermann, Michele Ormas, Luna Cesari
Traduzione: Elena Basteri, Elisa Ricci
Produzione: Ligna /Teatro Stabile dell’Umbria / Terni Festival
Partner coproduttivi : kunst Bolzano / Bozen /Festival Transart Bolzano / Bozen, Santarcangelo 2015 Festival Internazionale del Teatro in Piazza; On; Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse;
Sostenuto da: Goethe – Institut Genua; Goethe – Institut Mailand
Sostegno al programma di residenze: Goethe – Institut e.V. Ligna
Si ringrazia: Franco Berardi Bifo; Max Herold; Marco Marzi; Sandro Mezzadra; Cecilia Muraro; Hannes Obermair; Mirko Saltori; Sebastiano Tringali; Cecilia Troiano; Oswald Überegger
STRUCTURES MONUMENTALES
Ideazione e regia: Olivier Grossetête / Cie Olivier Grossetête
Durata della costruzione: 6 > 8 ore