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Un impresario per la danza. Conversazione con Daniele Cipriani

Grandi stelle della danza internazionale, gala, valorizzazione del repertorio nazionale del balletto e progetti per il futuro. Abbiamo incontrato Daniele Cipriani.

 

daniele cipriani
foto Ufficio Stampa

Nel sistema della danza italiana, quella di Daniele Cipriani è una figura piuttosto unica: un impresario di danza e balletto dell’epoca contemporanea. L’étoile dell’Opéra di Parigi e direttrice del corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma Eleonora Abbagnato, danzatori “storici” come Dominique Mercy, Ana Laguna, Mats Ek, Susanne Linke (gli artisti immensi del Quartet Gala andato in scena al Teatro Argentina), le étoile del balletto internazionale: sono questi i nomi che Daniele Cipriani, attraverso la sua società Daniele Cipriani Entertainment, porta in scena nei suoi spettacoli. Spesso si tratta di veri e propri galà di danza. E “gàla” è una parola antica: il termine entra nell’ambito dello spettacolo nel XVIII Secolo quando la parola assume la pronuncia francese e un significato analogo a quello con cui la utilizziamo oggi: rappresentazione eccezionale, festa, evento mondano. A chiudere la lista, almeno per il momento, è stato Evolution, lo spettacolo andato in scena alla cavea dell’Auditorium Parco della Musica il 31 luglio, una celebrazione della rinnovata carriera di Alessandra Ferri, sette anni dopo il ritiro dalle scene.

Nel ricevere il Leone d’Oro, Anne Teresa De Keersmaeker ha ricordato l’importanza del legame che unisce artista e spettatore, segnalando una sorta di problematica subordinazione della danza rispetto alle altre arti. Ricoprendo il ruolo dell’impresario teatrale, agendo da mediatore tra le proposte degli artisti e le scelte del pubblico, come il suo lavoro si confronta con tutto questo?

Credo che il paragone di Anne Teresa De Keersmaeker tra l’arte contemporanea e la danza tenti di mettere mondi diversi sullo stesso piano. Come diceva la cara Vittoria Ottolenghi, la danza è un’arte effimera e se da un lato questo è un aspetto negativo, dall’altro si tratta invece di un valore aggiunto per chi assiste a uno spettacolo. Per esempio, Quartet Gala è stato un evento unico, un’opera d’arte che solo i presenti hanno fruito. Credo che il problema evocato dalla Keersmaeker sia un problema culturale. Purtroppo, questo Paese non è realmente abituato né educato all’arte. Recentemente ho fatto un viaggio a Mosca, ospite del premio Benois de la Danse al Teatro Bolshoi, e ho avuto un’accoglienza che noi rispetto alla danza ci sogniamo… C’era una conferenza stampa con oltre 150 giornalisti e un grande numero di troupe televisive. Il problema della danza non è quello di essere “secondaria” rispetto all’arte in senso lato. Si tratta di un problema più generale, guardiamo per esempio come trattiamo i beni culturali o come li promuoviamo: il problema è chiaramente a monte: nella scuola manca un’educazione alla cultura e allo spettacolo.

Lei è alla guida del Premio Positano “Léonide Massine” (dopo la pluriennale direzione di Alberto Testa), un premio che richiama un’epoca in cui l’universo della danza era ricco di personalità che oggi suonano quasi leggendarie. Oggi il Premio Positano è gemellato con il Prix Benois di Mosca e nel discorso tenuto alla premiazione lei ha sottolineato l’esistenza e la necessità della continuità di una certa tradizione impresariale per la danza; qualcosa che crei un ponte tra l’esempio “epico” di Diaghilev e il presente. Pensa che quell’esperienza possa essere ripetibile? C’è un modo per portare questa modalità di produzione, che univa artisti importantissimi, nel contemporaneo?

I Balletti Russi di Diaghilev sono stati qualcosa di magico. Qualche anno fa mi ero posto come obiettivo di mettere insieme artisti visivi, musicisti, danzatori, coreografi, poi purtroppo si deve fare i conti con la realtà. Nei primi del Novecento forse era più semplice, tuttavia questo resta un mio progetto. Non so se nell’era in cui viviamo esistano un Picasso, uno Stravinskij, un Nijinsky… quindi non so se oggi ci sia davvero la volontà di unire le espressioni artistiche per creare qualcosa di unico oppure se prevalga invece la volontà individuale degli artisti. Il progetto nella mia testa c’è, anche se al momento non è stato ancora messo in pratica.

foto di Roberto Ricci
foto di Roberto Ricci

La promozione della danza in Italia è debole. La sua società si occupa di produrre, distribuire e organizzare spettacoli che offrano al pubblico la possibilità di vedere i grandi interpreti della danza internazionale e compagnie che, altrimenti, in Italia non avrebbe occasione di vedere. Da impresario, il suo obiettivo qual è? Quali sono i suoi programmi ora che può contare anche su un congruo sostegno del FUS?

Il primo contributo per la produzione l’ho ottenuto cinque anni fa e si limitava a sostenere, in piccolissima parte, il lavoro di compagnia con gli spettacoli a firma di Luciano Cannito. Grazie al nuovo decreto quest’anno ho potuto inserire nel progetto ministeriale tutta l’attività di produzione che nel prossimo triennio comprende anche il recupero di tre allestimenti storici tutti a firma di Amedeo Amodio che abbiamo acquisito da Aterballetto; Lo SchiaccianociCoppelia, entrambi con le scene di Lele Luzzati, e Carmen con le scene di Luisa Spinatelli. È un progetto di recupero di una parte importante della storia del balletto italiano nel quale credo molto. Sempre grazie al nuovo decreto ho potuto inserire anche la produzione di altri spettacoli come la Serata Roland Petit, andata in scena al Festival dei Due Mondi di Spoleto con Eleonora Abbagnato, Nicoletta Manni, Alessandro Riga e altri. L’intenzione è di coinvolgere dei ballerini italiani per farli conoscere al grande pubblico.

foto di Ufficio stampa
foto di Ufficio stampa

Con mia sorpresa, questo progetto produttivo è stato sostenuto quest’anno in modo consistente dal Ministero. Non si è tenuto conto dello storico, ma dell’intero progetto, che è un progetto ad alto rischio economico nonostante comprenda spettacoli con nomi importanti della scena internazionale. Ci tengo a specificare che l’attività della Daniele Cipriani Entertainment comprende, oltre alla produzione, anche attività di organizzazione e distribuzione di spettacoli, che non rientrano nel progetto presentato al Ministero. Spettacoli come il gala delle stelle del New York City Ballet, i tour con la Martha Graham Dance Company o l’organizzazione di eventi come Donne, in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, tenutosi ai Musei Capitolini non fanno parte del progetto finanziato dal Mibact. L’aver ricevuto questo contributo e questo riconoscimento mi spinge a fare ancora di più in campo produttivo. Mi piacerebbe produrre qualcosa di italiano che possa essere appetibile per il mercato estero, per portare la danza italiana in tutto il mondo e attivare ancor più coproduzioni e collaborazioni internazionali. Non nascondo che quando sono venuto a conoscenza dei risultati della mia domanda al FUS mi sono emozionato: dopo anni di duro lavoro svolto con passione, puntando sulla qualità e rischiando sempre sulla mia pelle per la realizzazione di grandi eventi, ecco che finalmente i miei sforzi venivano riconosciuti. Ringrazio per questo il Ministero perché mi dà la possibilità di realizzare spettacoli sempre più importanti, stimolando la crescita dell’arte coreutica, un’arte che, come tutte le altre, contribuisce allo sviluppo della nostra società.

A mio avviso, oltre a una maggiore circuitazione degli spettacoli, la danza oggi avrebbe bisogno di maggiore educazione di un pubblico che spesso ancora fatica a distinguere danza e balletto. Pensa che questo possa essere un obiettivo condiviso anche da una società come la sua, che comunque ha bisogno di contare sulla presenza di spettatori capaci di riconoscere il valore di certi eventi e di situare la qualità nel panorama dell’offerta culturale?

Credo che la danza, e la danza italiana in particolare, abbia bisogno di qualità. La qualità può essere intesa quella degli spettacoli, delle coreografie… e ritengo che molti lavori contemporanei, ancora in fase di sperimentazione, diventino troppo presto degli spettacoli. Perché lo spettatore deve diventare la cavia dei percorsi di un coreografo? Quello spettatore che assiste a uno spettacolo di danza per la prima volta tornerà a vedere uno spettacolo di balletto o di danza contemporanea? Credo che la domanda debba essere posta prima di tutto da chi produce gli spettacoli e in seconda battuta dai coreografi, che hanno una grande responsabilità. Lavoriamo tutti per uno stesso settore, anche se individualmente e non può trattarsi solamente di una celebrazione del proprio lavoro. Dal mio punto di vista, l’intervento sul pubblico si attua anche creando eventi collaterali paralleli agli spettacoli: incontri, conferenze, workshop… come è stato per esempio per Quartet Gala, corredato da un incontro con Mats Ek e dai workshop con i danzatori dello spettacolo. Lavoriamo molto, inoltre, con la comunicazione tramite social network. Ci interessa invitare i fotografi e ci interessa la critica, cartacea e web, TV e radio. Evolution, che Daniele Cipriani Entertainment ha presentato, in collaborazione con Musica per Roma, all’Auditorium Parco della Musica, Roma è uno spettacolo che segna il ritorno a Roma della grande ballerina Alessandra Ferri, insieme al primo ballerino dell’American Ballet Theatre Herman Cornejo ed altri interessanti danzatori. È un lavoro che parla dell’evoluzione della persona e della danza: nel caso di Alessandra Ferri le due si amalgamano.

Gaia Clotilde Chernetich
Twitter: @gaiaclotilde

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Gaia Clotilde Chernetich
Gaia Clotilde Chernetich
Gaia Clotilde Chernetich ha ottenuto un dottorato di ricerca europeo presso l’Università di Parma e presso l’Université Côte d’Azur con una tesi sul funzionamento della memoria nella danza contemporanea realizzata grazie alla collaborazione con la Pina Bausch Foundation. Si è laureata in Semiotica delle Arti al corso di laurea in Comunicazione Interculturale e Multimediale dell'Università degli Studi di Pavia prima di proseguire gli studi in Francia. A Parigi ha studiato Teorie e Pratiche del Linguaggio e delle Arti presso l'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales e Studi Teatrali presso l'Université Paris3 - La Sorbonne Nouvelle e l'Ecole Normale Supérieure. I suoi studi vertono sulle metodologie della ricerca storica nelle arti, sull’epistemologia e sull'estetica della danza e sulla trasmissione e sul funzionamento della memoria. Oltre a dedicarsi allo studio, lavora come dramaturg di danza e collabora a progetti di formazione e divulgazione delle arti sceniche e della performance con fondazioni, teatri e festival nazionali e internazionali. Dal 2015 fa parte della Springback Academy del network europeo Aerowaves Europe, mentre ha iniziato a collaborare con Teatro e Critica nel 2013.

2 COMMENTS

  1. Critica:
    questo si è messo a scimiottatare un po’ di artisti del passato e si fa la bocca piena
    senza essere un ballerino,coreografo e che competenze puo’ avere?
    non basta vendere spettacoli e fare soldi

    • A dirla tutta, neanche Diaghilev è mai stato ballerino né coreografo. E direi che di competenza ne aveva.
      Più in generale, Simone, stai praticamente dicendo che se non si pratica l’arte non si può avere competenza? Non abbastanza per dirigere una compagnia o un teatro? O un festival o un’impresa di produzione?
      Mi sembra un’affermazione un po’ forte… e – paradossalmente – un po’ debole nel suo principio.
      Sergio Lo Gatto

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