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Virgilio Sieni e le somiglianze di famiglia

Virgilio Sieni presenta negli spazi di CanGo il progetto Family insieme a sei diverse creazioni. Recensione

sieni family
foto ufficio stampa

«Non pensare, osserva!»: questo era il rimprovero mosso da Ludwig Wittgenstein a chi cercasse definizioni linguistiche onnicomprensive, con le quali tentare di ridurre la varietà del reale alla singolarità del concetto. Secolari pregiudizi filosofici hanno costretto lo sguardo critico a muoversi entro i confini delle determinazioni rigorose, al punto da presupporre sempre l’esistenza di proprietà necessarie e sufficienti comuni a tutti gli elementi di un gruppo; eppure, come ricorda l’autore delle Ricerche filosofiche, ipotizzare un nucleo di caratteristiche identificative rischia di risultare un’operazione arbitraria e scorretta. Ad aggregare i membri di una famiglia non sarebbe quindi una serie prestabilita di attributi, bensì un ventaglio di somiglianze – nel colore degli occhi, nel modo di camminare, nella corporatura – che si sovrappongono e si incrociano, con le quali è possibile costruire, invece di un rigido modello archetipico, una fluida rete di connessioni. Le tesi di Wittgenstein sulle Familienähnlichkeiten sembrano così invitare a rifuggire dalla norma e dal pensiero unificante, a vantaggio di quell’osservazione del particolare grazie alla quale giungere a una verità imprevista.

sieni family
foto ufficio stampa

Family, progetto ideato da Virgilio Sieni e allestito nei magnifici spazi di CanGo — recentemente nominato Centro nazionale di produzione della danza — non soltanto costituisce un originale studio sul più ancestrale dei nuclei sociali, ma sembra anche concretizzare la dottrina di Wittgenstein sulle “somiglianze di famiglia” e sull’impossibilità di formulare una qualsiasi teoria generale che comprenda e giudichi un’eterogeneità assoluta di modalità affettive. Nell’arco di due settimane i Cantieri Goldonetta hanno ospitato sei diverse creazioni di altrettanti coreografi, interpretate da gruppi familiari e presentate in simultanea, tre alla volta per tre giorni consecutivi. Proprio questa fruizione di stampo museale, nella quale lo spettatore è libero di allontanarsi, sostare, e assistere a singoli frammenti di ciascuna azione scenica, rappresenta una sfida a qualsiasi costruzione critica: l’impossibilità di percepire unitariamente il singolo lavoro coreutico e la parzialità delle percezioni rendono infatti necessaria una sospensione del giudizio. Quello che potrebbe tuttavia sembrare un fastidioso limite imposto allo spettatore, forse anche un dispetto all’impegno creativo dei coreografi, sembra però adattarsi perfettamente all’oggetto studiato: e cioè quella famiglia della quale, nonostante le vane proteste di alcuni, non si può costruire un modello ideale in base al quale valutare anomalie e diversità.
Ciò che resta disponibile al pubblico e al critico è proprio l’esercizio primario dell’osservazione: a mostrarsi sono brandelli di intimità domestica, la cui oscenità – quell’essere originariamente confinata negli spazi privati, fuori dalla scena – è trasfigurata attraverso gli strumenti multiformi della danza. Il gesto di levarsi le scarpe, più che un espediente per proteggere il parquet di CanGo, sembra quindi una doverosa forma di rispetto nei confronti dell’universo emotivo di persone comuni, violato e tuttavia donato generosamente.

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foto ufficio stampa

Virgilio Sieni tratteggia in Ossetto, con suo padre Fosco, una quotidianità di commovente tenerezza, fatta di tazzine da caffè appoggiate sopra a un tavolino sul quale picchiettare le dita, o di abbracci reciproci da comporre a dispetto della virile parsimonia nei contatti. Solo qualche metro più avanti, la famiglia Cassini diretta da Marina Giovannini in Diventare montagna cementa in una riscoperta corporeità i propri legami, simulando nei movimenti un’amaca che dondola, o alcune canne di bambù mosse dal vento. Un immenso telo bianco protegge invece la famiglia Bianchini dagli estranei in Testa di moro di Michele Di Stefano/MK: ma è soprattutto l’atteggiamento minaccioso e l’urlo ferino con cui il capofamiglia preannuncia una necessaria, ancorché dolorosa, fuoriuscita dalla tana familiare, a difendere il gruppo da un mondo e una società con cui si è costretti a interagire.
La progressiva esplorazione dell’ambiente, e il sempiterno processo di costruzione e decostruzione del nido familiare, sembrano essere i temi affrontati da Cristina Rizzo in Family S.F., dove un atipico – ma lo è poi davvero? – gruppo composto da due donne e un bambino edifica la scena spostando quegli oggetti (un mappamondo, una valigia, un paio di occhiali) che, nella loro apparente banalità, formano il rassicurante tessuto sul quale ognuno traccia la propria esistenza. Fuori dall’ordinario è anche la famiglia Ada, protagonista di Talk to Me di Kinkaleri: in scena con due parallelepipedi di gommapiuma, sui quali sono disegnate a grandezza naturale le sagome di un uomo e una donna, una bambina di nove anni sperimenta una solitudine sofferta e creativa, nella quale il rapporto immaginario con i genitori assume le forme, ironiche o toccanti, dell’adiacenza e della separazione. Due donne e un bambino sono i performer scelti anche da Giulia Mureddu in Grave: studio sul peso, nel quale il semplice gesto del reciproco sorreggersi è capace di rivelare dinamiche emotive profondissime, inaspettate sia per lo spettatore che per i danzatori.

Chi scrive ha visto solo questo: una manciata di istanti spiati, a fronte di centinai di passi non osservati. Troppo poco per formulare giudizi compiuti ed elaborare interpretazioni che esplicitino l’essenza di questa “famiglia” di cui spesso si parla. Chi scrive ha visto famiglie: e, forse, basta questo.

Alessandro Iachino

visto a CanGo, Firenze, giugno 2015

FAMILY
Trittico A

Michele Di Stefano/MK
TESTA DI MORO
con Arno Bianchini, Matteo Bianchini, Otto Bianchini, Silvia Mammini

Marina Giovannini
DIVENTARE MONTAGNA
con Duccio Cassini, Filippo Cassini, Marco Cassini, Pietro Cassini, Silvia Turchi

Virgilio Sieni
OSSETTO
con Fosco Sieni, Virgilio Sieni

Trittico B

Kinkaleri
TALK TO ME
con la famiglia Ada

Giulia Mureddu
GRAVE: STUDIO SUL PESO
con Kevin Stefani, Lucia Stefani, Valentina Stefani

Cristina Rizzo
FAMILY S.F.
con Eugenio Pezzato, Desdemona Ventroni, Silvia Ventroni

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Alessandro Iachino
Alessandro Iachino
Alessandro Iachino dopo la maturità scientifica si laurea in Filosofia presso l’Università degli Studi di Firenze. Dal 2007 lavora stabilmente per fondazioni lirico-sinfoniche e centri di produzione teatrale, occupandosi di promozione e comunicazione. Nel novembre 2014 partecipa al workshop di visione e scrittura critica TeatroeCriticaLAB tenuto da Simone Nebbia e Andrea Pocosgnich nell’ambito della IX edizione di ZOOM Festival, al termine del quale inizia la sua collaborazione con Teatro e Critica. Ha partecipato inoltre al laboratorio Social Media Strategies for Drama Review, diretto da Andrea Porcheddu e Anna Pérez Pagès per Biennale College ‑ Teatro 2015, e ha collaborato con Roberta Ferraresi alla conduzione del workshop di critica della Biennale College ‑ Teatro 2017. È stato membro della commissione di esperti del progetto (In)Generazione promosso da Fondazione Fabbrica Europa, ed è tutor del progetto Casateatro a cura di Murmuris e Unicoop Firenze.

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