Ipercorpo 2015 per il terzo anno dedicato a Italian Performance Platform. Una riflessione sullo sguardo degli operatori stranieri
Ci ha pensato Simone Nebbia in questa attenta riflessione, ad analizzare quanto inaspettato e fertile sia cresciuto negli anni il seme di un’idea, Ipercorpo, un luogo indipendente che ora si è fatto Presidio, per tutte le ragioni di sistema che chi frequenta le nostre stesse platee conosce bene, e per mille altre ragioni più nascoste, questa “diversa stabilità” si realizza dentro i ritmi e i tempi di uno sforzo quasi utopistico. Queste personali parole che si aggiungono lo fanno con lo slancio di una fervida prima esperienza e usano il tono di questi giorni di fine stagione, che i cartelloni stanno cambiando e i foyer ospitano le prime conferenze stampa di presentazione. C’è dunque un attimo per ripensare alle immagini emerse da due intensi giorni forlivesi. E per chi scrive, uno dei momenti cui la memoria proprio non riesce a rinunciare è il surreale sopralluogo segreto all’Ex Deposito ATR. Un compatto drappello di operatori teatrali da nove diversi paesi europei si muoveva come in un film di guerra dopo il bombardamento, a piccoli passi silenziosi e con qualche metro di rispetto, gli sguardi vorticanti al circostante, persi tra le crepe dei muri e le buche nel terreno dissestato. Intorno, come lontana due intere dimensioni, la città sprofondata nella controra romagnola.
Lì si era svolto il festival, quello che chi scrive non aveva mai frequentato. Sulle pareti abbandonate – come dire le costole di una balena spiaggiata – ancora i manifesti dell’edizione precedente. E due performance ritagliate apposta per quello spazio liminale, Without di Paola Bianchi e, con maggior successo di atmosfera e impatto, Das Spiel di Alessandro Bedosti e Antonella Oggiano, breve rituale del silenzio e della carne che strappava qualche lacrima.
Ma alcune ore prima con il collega ci eravamo così divisi i compiti, che fosse mio quello di andare a raccogliere qualche opinione dai “visitatori” stranieri. Senza sapere che ancora più straniero mi sarei sentito io. Questo perché, come si racconta in maniera esaustiva nell’Atlante, la Italian Performance Platform vive di vita propria, l’ingranaggio messo in moto da Claudio Angelini e il suo staff e fatto girare a dovere dalla presenza di Mara Serina, non ha bisogno di troppi tramiti, di troppe presentazioni e public relations, è snello e agile e funziona da sé. Chi si aspettava di dover fare da ponte tra la (facilmente provinciale) realtà italiana e un dinamismo che qui troppo spesso una cieca esterofilia (leggasi deferenza) scambia per magico e alieno è rimasto senza occupazione. Più vitale e pregno di senso è stato allora per noi prendere parte a questo esercizio di antropologia della mobilità, andando a dividere pranzi e aperitivi e confrontando il proprio sguardo con quello altrui. Se spesso ci era capitato di passare il confine e spingerci in platee straniere per ritrovarci ambasciatori di una terra arretrata dal punto di vista sistemico ma sempre solida per caratura artistica e creativa, stavolta il gioco è stato di ascoltare i commenti degli altri.
Il tempo forlivese, agilmente spezzato da un programma vario e improntato a un teatro del movimento, dell’immagine, dello stomaco, non è stato abbondante, ma quanto bastava a raccogliere dai presenti la relazione di un generale agio nel percorrere questa minuta e militante festa dell’arte scenica. Tra videodanza, installazioni site specific, performance e concerti, la Fabbrica delle candele ha fatto guardare e discutere e i commenti, sulla via del ritorno all’hotel o in coda per la terza birra, sono stati sorprendentemente univoci. Alle note personali si aggiungono alcuni stralci di feedback ricevuti dalla direzione, andando a comporre un quadro di ampio interesse da parte degli operatori stranieri: da Estonia, Spagna, Ungheria, Slovacchia, Albania, Francia, Polonia ed Egitto la soddisfazione è stata soprattutto per l’organizzazione così semplice e accogliente, per l’agilità negli spostamenti, per le occasioni di incontro. Molte lodi sono andate alla capacità dello staff di non creare «distanze professionali» e però conservare alto il livello del dialogo.
L’incontro tenutosi il 30 maggio tra operatori e compagnie, di certo utile per collocare tutti gli astri nel firmamento, avrebbe forse necessitato – da parte delle compagnie – di momenti «più performativi», a volte – e su questo concordiamo – mostrare solo immagini non rende davvero giustizia al percorso di ricerca dei gruppi, ma grande importanza per alcuni è stata anche nella «opportunità di conoscere personalmente gli artisti». Riguardo poi al livello di apprezzamento degli occhi esteri nei confronti dei nostri linguaggi della scena, a parlare più chiaro ancora dei commenti a caldo sono i risultati: in fondo in diverse programmazioni presentate comparivano già gli stessi nomi ospitati, negli anni, da Ipercorpo, ma non solo. Di certo, come già si accennava nell’articolo precedente, sarebbe di grande giovamento trovare il modo di sistematizzare e rendere “stabili” (qualsiasi senso questo termine abbia ricevuto in eredità) esperienze di piattaforma: strategie enormemente popolari all’estero non solo come “mostra mercato delle arti”, ma come luogo di incontro per un’arte che – è ancora un dato di fatto – sull’incontro dovrebbe basarsi.
Sergio Lo Gatto
Twitter @silencio1982
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