Teatrosofia esplora il modo in cui i filosofi antichi guardavano al teatro. In questo appuntamento cerchiamo di iniziare a capire come si poneva Platone nei confronti del teatro. Nella famosa opera Gorgia, Socrate discute con Callicle
In Teatrosofia, rubrica curata da Enrico Piergiacomi – dottorando di ricerca in filosofia antica all’Università degli Studi di Trento – ci avventuriamo alla scoperta dei collegamenti tra filosofia antica e teatro. Ogni uscita presenta un tema specifico, attraversato da un ragionamento che collega la storia del pensiero al teatro moderno e contemporaneo.
Uno tra i dialoghi più densi e attuali scritti da Platone è senz’altro il Gorgia. Il cuore del testo è rappresentato dal confronto di Socrate con il terribile Callicle, in cui si scontrano due diverse e inconciliabili prospettive morali. L’uno difende l’idea che sia meglio subire ingiustizia che commetterla e che bisogna volontariamente sottoporsi a punizioni tanto dolorose quanto umilianti, qualora si sia commesso un crimine anche non grave. L’altro asserisce invece che sia degno di un vero uomo realizzare senza porsi freni tutti i propri desideri, arrivando se necessario a infrangere la giustizia e a prevaricare, sottomettere, uccidere coloro che si frappongono allo scopo agognato. Il punto è corroborato da Callicle anche con un appello alla natura, che mostra che migliore è il forte che vince sul più debole. Le istituzioni giuridiche umane basate sulla giustizia non fanno altro che nascondere questa nuda verità naturale, sicché sarà moralmente lecito e bello rovesciarle, nel caso si disponesse della potenza sufficiente per sottrarsi al castigo previsto dalle leggi e dalle regole.
Delineando questi due generi di vita, gli interlocutori di fatto identificano il bene che dà felicità all’uomo. Socrate lo individua nella virtù, Callicle nel piacere. E la successiva mossa socratica sarà cercare di confutare il suo avversario, mostrando che la piacevolezza non porta alla felicità. In generale, infatti, i piaceri sono mescolati a dolore, dunque non danno un bene puro, rendono peggiore l’anima che li ricerca con mezzi disonesti, infine portano col tempo a conseguenze disastrose per sé e la società in cui si vive. Per provarlo, Socrate sottolinea che l’Atene di allora si trovava in una grave crisi perché, fino ad allora, i governanti avevano cercato solo il proprio piacere. Essi non fecero altro che inseguire i propri interessi e adulare il popolo, piuttosto che la virtù e il bene comune, conducendo così alle lunghe tutta la città al degrado economico, morale e culturale.
Ora, è all’interno di questo complesso discorso etico-politico che Platone apre una parentesi rapida, benché significativa, sul teatro. Egli mostra Socrate che convince Callicle che quest’ultimo esercita solo una forma deleteria di retorica adulatrice. Ogni genere poetico, dalla semplice flautistica alla complessa tragedia, non fa che offrire piacere temporaneo allo spettatore, senza renderlo in alcun modo migliore e più giusto. Anzi, il teatro è considerato una forma ancora più pericolosa di adulazione, perché se un adulatore è in genere in grado di blandire un’unica persona alla volta, un poeta e un retore influiscono ne influiscono molte contemporaneamente con le loro esibizioni artistiche o forensi. Il potere della “spettacolocrazia” è dunque tale da riuscire in poco tempo a corrompere una folla più o meno grande di individui di ogni sesso, condizione ed età, quindi a portare impercettibilmente ma inesorabilmente a danneggiare la comunità nel suo insieme.
Se il discorso del Gorgia si limitasse a condannare il teatro come adulazione, il dialogo non farebbe che esprimere la posizione del Socrate storico, che come abbiamo visto era ostile agli artisti e li considerava tutti dei cattivi educatori, da spodestare con la filosofia. Poco dopo la parentesi appena descritta, però, Platone fa uno scarto considerevole dal maestro. Egli suppone che si possa concepire un’altra forma di retorica che, invece di puntare al piacere, ambisca a ingenerare la virtù degli ascoltatori. Il problema è che una simile retorica a suo avviso ancora non esiste, né alcun uomo ha potuto finora vederla. Il Socrate di Platone ne darà tuttavia un “assaggio” nel finale, recitando una lunga tirata retorica o un monologo teatrale che racconta un mito dell’oltretomba, intenzionato ad indurre gli ascoltatori a coltivare la giustizia e le altre virtù. Dopo la morte, le anime si presenteranno nude di fronte ai giudici dell’Ade e mostreranno i segni della loro vita passata: sicché, quelle che mostreranno il marchio del vizio e dell’ingiustizia saranno gettate nella voragine infinita del Tartaro, quelle che appariranno pure e incontaminate ascenderanno ai cieli, godendo della beatitudine eterna.
Indirettamente, Platone si apre allora alla fiducia che la salvezza della città possa passare per l’arte, ovvero per un teatro che al posto del piacere cerchi di infondere al popolo un miglioramento morale, tentando di opporre resistenza al degrado presente e, forse, di attuare una riscossa da esso. Del resto, con enfasi certamente voluta, egli chiude il suo dialogo facendo pronunciare a Socrate le seguenti parole: «No, Callicle, il tuo ragionamento non ha alcun valore!».
Purtroppo, però, almeno nel Gorgia, questa strada si rivela tra le righe impercorribile. Callicle abbandonerà il dialogo e obbligherà il suo interlocutore a portare a termine il proprio ragionamento da solo. Inoltre, Socrate riconosce esplicitamente che il mito dell’Ade sarà considerato una storiella per vecchiette da colui che ancora pensa che sia meglio commettere ingiustizia e cercare il proprio piacere, piuttosto che patire il giusto castigo. Il Socrate platonico viene in altri termini sconfitto. Callicle emerge vincitore perché ha saputo prevaricare con la forza e farsi sordo alle argomentazioni sia morali che estetiche del suo ingenuo interlocutore.
La condizione dell’artista contemporaneo è simile a quella del Socrate sconfitto. Gli emuli di Callicle sono oggi più gagliardi e vitali che mai, schizzando sulla terra veleno come cani sciolti e pazzi, latrando orrendamente e ingurgitando chiunque provi ad arrestarne l’avanzata, richiamandosi a virtù e intelligenza. Mentre il teatro viene sempre più relegato al buio e al silenzio. Risulta ogni giorno più evidente che esso non riesce a farsi mezzo di resistenza e riscossa, ma, come ha dichiarato Daniele Timpano in una bella intervista rilasciata di recente a Fanpage, sia in realtà un luogo di marginalità e solitudine crescente. No, Platone, il tuo ragionamento non ha alcun valore!
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socrate: E cominciamo con l’esaminare la flautistica: non ti sembra, Callicle, che la flautistica sia tra quelle attività che vanno cercando solo di procurarci piacere, senza preoccuparsi di altro?
callicle: Mi sembra di sì.
socrate: E non dobbiamo forse ripeterci per tutte le altre attività di questo tipo, ad esempio per la citaristica, quale si usa nelle gare pubbliche?
callicle: Sì.
socrate:. E tali non sono anche l’insegnamento dei cori e la poesia ditirambica? Non ti sembrano dello stesso genere? Credi forse che Cinesia, figlio di Meleto, avesse in animo di migliorare con i suoi versi i propri ascoltatori, o, comunque fosse, di divertire il pubblico degli spettatori?
callicle: Per quanto riguarda Cinesia sì, Socrate, la cosa è evidente.
socrate: E suo padre Meleto? credi proprio che, mentre cantava al suono della cetra, tenesse gli occhi fissi al meglio? o Meleto non si preoccupava neppure di divertire? i suoi canti annoiavano il pubblico! Ad ogni modo rifletti a questo: non ti sembra che ogni forma di poesia citaredica e ogni forma di poesia ditirambica siano state ritrovate solo in vista del diletto?
callicle: Sì.
socrate: E la stessa solenne, mirabile poesia tragica di cosa soprattutto si preoccupa? Il suo scopo, la sua attenta ricerca, secondo te, sono rivolti solo a divertire il pubblico, o essa, invece, polemizza anche con gli spettatori e se qualche cosa sia loro piacevole e gradita, ma dannosa, cerca in tutti i modi di non dirla, mentre se qualcosa possa riuscir spiacevole, ma utile, questa dirà, questa canterà, sia o no gradita al pubblico? Quale ti pare la via battuta dalla poesia tragica?
callicle: Evidentemente, Socrate, essa batte piuttosto la via del piacere, la via che porta a suscitare il gradimento degli spettatori.
socrate: Ma, Callicle, non abbiamo detto che tutto questo è “adulazione”?
callicle: Esattamente!
socrate: Bene! e allora, se spogliamo la poesia dalla melodia, dal ritmo, dal metro, cosa rimane se non il discorso?
callicle: Per forza!
socrate: E tali discorsi non vengono forse pronunciati di fronte a numeroso popolo?
callicle: Sì.
socrate: La poesia, allora, è una specie di orazione popolare?
callicle: Sembra.
socrate: Sarebbe cioè una popolare orazione retorica: non ti sembra che nei teatri i poeti facciano retorica?
callicle: Mi sembra di sì.
socrate: Ecco! noi abbiamo trovato ora una specie di retorica che ha per spettatore tutto un popolo, formato di ragazzi, di donne, di uomini, di gente servile e di persone libere, tutti insieme, retorica che stimiamo assai poco, poiché secondo noi non è che “adulazione”.
callicle: Senza dubbio (501e-502d)
Mi basta! se è vero che vi sono queste due forme di oratoria, l’una delle due rimane sempre “adulazione” e brutta demagogia, mentre bella è l’altra, questo tentativo cioè che, quanto più è possibile, migliori divengano le anime dei cittadini, e questo lottare dicendo sempre il meglio, piacevole o spiacevole esso sia per gli ascoltatori. Ma simile retorica tu non la vedesti mai! (…) Sarà, dunque, tenendo l’occhio fisso a tutto questo che quel tipo di rètore, il bravo e buon rètore, rivolgerà alle anime ogni suo discorso, e a tale fine volgerà ogni sua azione, e tutto ciò che concederà al popolo, quando lo concederà, tutto ciò che proibirà, quando proibirà, tutto farà avendo sempre il pensiero a quest’ultimo scopo, che nelle anime dei suoi concittadini s’ingeneri la giustizia e la ingiustizia scompaia, s’ingeneri ogni altra virtù ed il vizio venga estirpato (503a-b + 504d-e)
Probabilmente, questo, a te sembra un mito, di quei miti che narrano le vecchie, e non t’invita a pensare; né sarebbe il caso, se, poi, cercando, trovassimo qualche cosa di meglio e di più vero. Eppure vedi che ora, voi tre, che pur siete tra i più sapienti dei Greci di oggi, tu Polo e Gorgia, non riuscite affatto a dimostrare che si debba condurre una vita diversa da questa, che utile si rivela anche nell’aldilà. Ma fra tanti ragionamenti, tutti sottoposti a critica, uno solo è rimasto inconfutato, saldo e sicuro, quel ragionamento il cui esito è che bisogna guardarsi dal commettere ingiustizia più che dal patirla e che, soprattutto, si deve porre ogni cura non a parere, ma ad essere buoni, così nella privata come nella pubblica vita; non solo, ma chi cade in errore deve essere punito, e questo, dopo l’esser giusti, è il secondo bene: divenir giusti pagando alla giustizia il proprio debito. Ogni adulazione bisogna evitare, sia di fronte a se stessi sia di fronte agli altri, di fronte a poca gente come di fronte a molti, e fare uso della retorica, come di ogni altra pratica, solo, e sempre, in funzione del giusto. Sù via, dunque, dammi retta, séguimi fino a questa mèta, dove giunto, sarai felice, da vivo e da morto, sì come indica il ragionamento. Lascia pure che altri ti disprezzi come se tu fossi uno stupido, e che, se vuole, t’insulti, e, sì, per Zeus, sopporta da forte anche lo schiaffo da te ritenuto un disonore. Se tu sarai moralmente bello, se davvero eserciterai la virtù, nessun male ti capiterà! Quando, insieme, ci saremo così esercitati, allora sì, se parrà necessario, potremo correre dietro alla politica o a qualunque altra attività che ci sembri doveroso compiere: solo allora saremo più capaci, di quanto non lo siamo ora, di prendere adeguata decisione. Turpe sarebbe, invece, se, nella condizione in cui risultiamo essere ora, continuassimo in tanta nostra sicurezza, come se fossimo qualcosa, noi che continuamente passiamo di opinione in opinione, e, per di più, rispetto alle più gravi questioni, sì profonda è la nostra mancanza di formazione. Bisogna, dunque, lasciarsi guidare dal ragionamento che, rivelandosi, si è concluso ora, il quale c’indica che il miglior sistema di vita consiste nel praticare, in vita e in morte, giustizia e ogni altra virtù. Seguiamo, dunque, questa via, esortiamo anche gli altri a porsi sulla medesima strada, non su quella cui altro ragionamento ti conduceva e sulla quale m’invitavi; no, Callicle, il tuo ragionamento non ha alcun valore! (527b-e)
[I passi del Gorgia sono tradotti da F. Adorno (a cura di), Platone. Gorgia, Roma-Bari, Laterza, 2007]
Enrico Piergiacomi
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