Teatro in video 23° appuntamento. Hair, il musical che fece storia
Nel 1967 la guerra in Vietnam si protraeva da sette anni, Broadway era già il tempio del musical, la sperimentazione del Living Theater o de La MaMa E. T. C. un fatto, il concetto di happening si moltiplicava in varie declinazioni, il nome di Charles Manson non diceva nulla all’opinione pubblica e i Led Zeppelin non li conosceva nessuno perchè non esistevano nemmeno.
Nella logica esoterica il ciclo universale sarebbe suddiviso in una dozzina di fasi, cadenzate all’inverso dalla successione zodiacale e ognuna connaturata da influenze astrali che ne determinano le peculiarità a livello epocale. L’era dell’Acquario quindi, immediatamente successiva a quella dei Pesci, corrisponderebbe alla diffusione di ambientalismo, principi democratici e solidali, creatività e avanzamento tecnologico. Quando al Public Theater di New York andò in scena per la prima volta Hair alcuni pensavano di viverne il preludio, altri l’inizio con l’avvento delle comunità hippie. James Rado e Gerome Ragni catapultarono nella scrittura più o meno coscientemente, tra riferimenti religiosi politici e puramente teatrali, molti di quelli che oggi con un sorriso dolce sembrano diventati emblemi della rivoluzione sessantottina e con un sorriso amaro le basi degenerate del fricchettone come semplice stereotipo superficiale: l’antimilitarismo, la messa in crisi dei valori di bene nazionale, la vita in “comune”, l’apertura multiculturale e il ripudio del moralismo borghese o di sistema, la riappropriazione del corpo come conquista della libertà “naturale” di tutte le sue manifestazioni e poi certo i capelli lunghi, i vestiti, la momentanea armonia allucinatoria di droghe sintetiche e quella allucinata di stupefacenti naturali. Galt MacDermot fuse strutture melodiche blues, rhythm and blues, folk rock, rockabilly su basi ritmiche spesso mutuate dalla musica africana consegnando per tempo immemore alle classifiche di vendita fra diritti d’autore, nuove incisioni e cover band pezzi come Let the sunshine in. Manifestazioni, rifiuti e problemi di censura, critiche positive e negative, clamori da scandalo insieme a liquidazioni di banalità, infinite registrazioni, migliaia di repliche quasi in tutto il mondo e un film più di dieci anni dopo (con non poche variazioni di trama e distribuzione delle canzoni): insomma quanto serve per la trasformazione in un vero e proprio cult.
Forse prima ancora di sviluppare una sorta di giustificata circospezione intellettuale di genere, sarà capitato anche ad altri tra un vinile di De Andrè e una copertina di De Gregori accanto allo stereo del salotto di restare affascinato, di immaginarsi cantare con una fascetta in testa senza l’allineamento di Giove con Marte, anche se la Luna non transita nella settima casa, anche se la pace non guida i pianeti e l’amore non guida le stelle.
Marianna Masselli
Twitter @Mari_Masselli
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