Emilio Solfrizzi diretto da Valerio Binasco è il mattatore di Sarto per signora, commedia a orologeria di Georges Feydeau, vista al Teatro Sala Umberto di Roma. Recensione
Eccolo il famoso meccanismo, la macchina drammaturgica messa alla prova quasi un secolo e mezzo dopo, alle prese con un’epoca ben diversa anche nella percezione dello spirito comico. Parliamo di un vaudeville, tra i più fortunati di Georges Feydeau, una di quelle pièce che ormai attestavano il celebre genere teatrale, nato nella Francia di fine Settecento, tra gli intrattenimenti della borghesia. L’estrazione popolare, la mescolanza degli spunti musicali e folclorici avevano lasciato spazio a una satira più o meno pungente e alla ricerca di una sempre maggiore complessità nell’intreccio. In Sarto per signora, del 1886, è il matrimonio di una coppia agiata ad essere messo sotto la lente di ingrandimento. Eppure nonostante la lontananza e un’ironia contemporanea apparentemente molto differente – che spesso evita “la situazione”, lavorando invece su paradossi, assurdità e metalinguaggi – la messinscena di Valerio Binasco apprezzata al Teatro Sala Umberto di Roma è un dispositivo comico pressoché perfetto. Non vi è nessuna concessione a forzati tentativi di attualizzazione, ma più che altro uno spostamento della vicenda a metà secolo scorso, approccio evidente soprattutto nei costumi di Sandra Cardini. La scena di Carlo De Marino è il classico interno da alta borghesia nel primo e terzo atto, pronto a trasformarsi, per il secondo tempo, nel seminterrato della sarta in cui la commedia raggiungerà l’acme.
La parola regna incontrastata come motore dello sviluppo di tracce ed equivoci su più livelli: puro teatro dell’azione, nel quale i personaggi raramente sono qualcosa più delle maschere che dallo sviluppo vengono trascinate. È la situazione a generare inesorabilmente la comicità, era lo stesso Feydeau ad affermarlo in una lettera indirizzata al figlio: “Se vuoi far ridere, prendi dei personaggi qualunque, mettili in una situazione drammatica e procura di osservarli da un’angolazione comica”.
D’altronde questo accade proprio al personaggio interpretato da Emilio Solfrizzi, marito incapace di essere fedele alla moglie ma abile nel destreggiarsi tra una serie di escamotage pur di non svelarsi. Il dottor Moulineaux di Solfrizzi (performance eccellente per vocalità e atletismo, con qualche simpatica sporcatura pugliese) è un goffo ragno che lentamente rimarrà vittima della propria tela. Le porte laterali incastonate nella scenografia sembrano create per far apparire e sparire i protagonisti con equivoci, coincidenze e travestimenti, il palcoscenico è la scatola magica contenente un gioco abilissimo che ha come fine ultimo lo svelamento di un vuoto valoriale e la riflessione sull’eterna lotta tra libertà e dovere sociale.
In una macchina come questa basterebbe un ingranaggio fuori tempo a far apparire evidente la forzatura, l’asincronia, ma tutta la compagnia di attori che ruota attorno a Solfrizzi è all’altezza e non tradisce la minima stonatura. Le maschere d’altronde debbono mostrare i caratteri salienti che radicalizzandosi portano al riso, ma allo stesso tempo hanno la necessità di mantenersi in un rigido perimetro di credibilità che permetta alla situazione di autoalimentarsi in un principio di realtà. In questo senso vanno segnalate anche le prestazioni di Anita Bartolucci suocera del protagonista, Cristiano Dessì (il maggiordomo spilungone) e Fabrizio Contri nei panni del vecchio proprietario immobiliare.
Andrea Pocosgnich
Twitter @AndreaPox
Visto al Teatro Sala Umberto, Aprile 2015
SARTO PER SIGNORA
di Georges Feydeau
traduzione, adattamento teatrale e regia Valerio Binasco
con Emilio Solfrizzi
e con Anita Bartolucci, Barbara Bedrina, Fabrizio Contri, Cristiano Dessì, Lisa Galantini, Simone Luglio, Fabrizia Sacchi, Giulia Weber
scena Carlo De Marino
costumi Sandra Cardini
luci Pasquale Mari
prodotto da Roberto Toni per ErreTiTeatro30