Marcido Marcidorjs/Famosa Mimosa nell’adattamento di Edipo Re visto al Teatro Vascello. Recensione.
Non è ancora iniziato lo spettacolo che già siamo capitombolati nella bolgia. In caduta libera verso il basso, la discesa è ripida, il vuoto incombe e non vi sono appigli ai quali aggrapparsi ché le mani sono tenaglie fatte per estrarre ed estirpare, non per afferrare. Umanità precipitata in giacca e cravatta, agitata negli arti e cieca nello sguardo. Ecco, arrivano, le bestie al macello. In una Tebe muta di sofferenza e abbarbicata su di una struttura piramidale a tre livelli, infiamma la peste. Lo stravolgimento visivo ed emotivo è immediato come la sindrome di Stendhal vuole, e subito la scena del Teatro Vascello cambia repentinamente: cinque figure canute, strappando i teli rosso sangue, svelano il palazzo di Edipo Re. Ultimo lavoro dedicato alla tragedia attica della storica compagnia torinese Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa – dopo Agamennone 1988, I Persiani 1992, Prometeo incatenato 1998 – candidato proprio per la scenografia di Daniela Dal Cin al Premio Ubu nel 2012, anno di debutto dello spettacolo realizzato in coproduzione con la Fondazione del Teatro Stabile di Torino e con il sostegno di Sistema Teatro Torino.
«Una storia per an/negar la Storia!» è il sottotitolo o dichiarazione d’intenti che appare nelle note scritte da Marco Isidori, fondatore della compagnia, per indicare il lavoro di traduzione, drammaturgia e regia da lui compiuto. Ma di quale Storia stiamo parlando? Che cosa si vuole far morire, come dimostra il riferimento alla radice latina del verbo [lat. adnecare, der. di necare “uccidere”] ? Procediamo per gradi. Le storie alla base di questo adattamento sono due: da una parte la tragedia sofoclea assurta a mito, dall’altra Edipo il Tiranno del poeta tedesco Friedrich Hölderlin, «lavoro di sonda» che ha influenzato in maniera determinante la visione di Isidori. Poi ci sono i contesti, storici, della Grecia del 430-420 a.C. e della Germania del XIX secolo e ancora la storia dei testi e quella degli uomini, la storia che racconta la storia delle storie che possiedono altre storie, e come se non bastasse la nostra storia, di questo tempo che ci scorre dentro, fuori e accanto. Dimostriamo così di essere stati attratti da questa provocatoria nota di regia che ha suscitato la nostra curiosità instillandoci ulteriori questioni e interrogativi, alla quale ci permettiamo però di imputare, senza malizia, una semplicità sbrigativa nell’aver scelto la maiuscola per il sostantivo in causa. Tuttavia abbiamo accolto il lancio e la risposta è che non vogliamo risposte, finiremmo col venir accecati. Perché la canoscenza è l’imputata principe nel tribunale dei Marcido e Edipo ne è il rappresentante, colui che forgiandosi del diritto di sapere ne ha fatto poi delitto e pena, infliggendo a sé stesso e al popolo di cui è sovrano sofferenza e dolore. Claudicante è il corpo di Isidori nel ruolo del tiranno, la cui recitazione è nervosamente agitata (da far muovere e rumoreggiare le mollette che gli ricoprono le spalle e le braccia), sofferta e affamata di responsi spinti da laceranti dubbi accentuati inoltre dalle affermazioni della “frigida” Giocasta (Lauretta Dal Cin) racchiusa nella sua armatura ramata che la sventurata vorrebbe impenetrabile. L’incontenibile hybris, indiscusso motore drammaturgico e politico, conduce il protagonista a uno scontro coi personaggi – Tiresia (Maria Luisa Abate) e Creonte (Paolo Oricco) – che provano a dissuaderlo dall’apprendere il destino al quale è andato e andrà incontro. Dialoghi fitti sostenuti da un linguaggio vibrante di poesia, la cui metrica, rispettando l’accentazione del greco antico, risuona inattese e pregiate suggestioni di senso con echi al lavoro beniano; architettura linguistica che a tratti sembra osteggiare la comprensione del contenuto rinchiuso nella solida forma. Struttura riproposta visibilmente sulla scena e rappresentata dallo «Ziqqurat» che ci sovrasta, percorso lungo i vari livelli dall’andirivieni organico degli attori che fanno uso di botole, carrelli, passaggi segreti e leve, attraverso i quali si muovono, saltano, corrono e si nascondono dando prova di una notevole e instancabile preparazione fisica.
Degna di lode è la volontà di pretendere la vista, possedere dunque la facoltà di vedere ciò che ci circonda, conoscerlo, discernerlo e cibarcene per assimilarlo e così renderlo nutrimento. Ma quand’è che la curiositas cede il posto alla tracotanza e acceca, per il troppo aver visto? In questo limbo sta il cardine dell’ultimo lavoro dei Marcido, il punto di vista col quale la compagnia ha studiato questo testo e ne ha fatto un atto politico, nella misura in cui la storia presentataci si pone l’obiettivo, assai estremo, di uccidere la Storia e per farlo è partita, forse, da un assunto: la Storia non esiste, sostituita invece da quella strenua convinzione di avanzare «circospetti dentro al ventre del tragico come se si stesse avanzando in un territorio di operazioni belliche, affrontarne la catena eventuale, fino a che sarà essa stessa a proporci il nodo/quesito della Sfinge più tormentosa».
Lucia Medri
Twitter @LuciaMedri
visto al Teatro Vascello-maggio 2015
EDIPO RE
Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa
Drammaturgia e regia: Marco Isidori
Scenario e costumi: Daniela Dal Cin
Interpreti:
Marco Isidori – Edipo
Lauretta Dal Cin – Giocasta
Maria Luisa Abate – Tiresia
Paolo Oricco – Creonte
Stefano Re – Servo/Pastore
Valentina Battistone – Messaggero
Virginia Mossi – Coro