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Fabbrica Europa. Sotto gli occhi dell’Angelus Novus

Fabbrica Europa apre la XXII Edizione con Teatr Zar e Lee Hee-moon. Recensione

fabbrica europa
Foto Lee Hee-Moon Company

Il tempo non è un galantuomo: oscura sotto un velo di illogico silenzio eventi ed esistenze, mentre con freddo cinismo risparmia dall’oblio solo poche, fortunate vite. Il tempo è uno scandalo, e l’angelo della storia nulla può contro di esso. L’intelligenza celeste che sovrintende allo scorrere delle epoche vorrebbe trattenersi più a lungo sulle macerie che appaiono al suo sguardo, su quell’ammasso sempre più imponente di rovine che la storia sembra accumulare, tuttavia una tempesta la sospinge verso il futuro, rendendo impossibile ricucire gli strappi o consolare gli afflitti.
È al Walter Benjamin delle Tesi di filosofia della storia che dobbiamo quest’immagine, a sua volta ispirata da un disegno di Paul Klee intitolato Angelus Novus: e quest’interpretazione dell’inarrestabile divenire della storia determinato, spesso paradossalmente, da un passato di tragedie e orrore, sembra poter costituire quasi un compendio della giornata di apertura della XXII edizione di Fabbrica Europa. Come l’angelo disegnato da Klee, siamo invitati a fare i conti con le atrocità di un passato troppo a lungo celato, e nello stesso istante siamo sospinti a proseguire il cammino, ad addentrarci in un futuro che proprio di una ritrovata memoria ha saputo fare tesoro. Sono gli stessi spazi della Stazione Leopolda — antichi eppure nuovissimi, in cui muri scrostati fanno spesso da contrappunto ad allestimenti scenici ipercontemporanei — a rivelare una commistione fra innovazione e tradizione, fra evocazione e ricerca, che costituisce la cifra profonda del festival. Non stupisce quindi che l’inaugurazione della lunga rassegna sia stata affidata alla straordinaria voce di Dengbej Kazo e alla pirotecnica presenza scenica di Lee Hee-moon: separati geograficamente, culturalmente e artisticamente, i due sono tuttavia accomunati dall’esigenza di recuperare una cultura musicale — quella dei dengbej curdi e del Gyeonggi Minyo coreano — posta costantemente sotto attacco dal vento impetuoso che incalza l’angelo di Klee.

A proporre il concerto Sounds of Kurdistan è Teatr ZAR, presente all’interno del festival con la prima nazionale di Armine, Sister, uno spettacolo dedicato al genocidio armeno, ancora oggi oggetto di squallidi tentativi volti a negarne la veridicità. La compagnia polacca sembra essere mossa dalla necessità — umana, prima ancora che politica — di fornire una testimonianza, attraverso forme artistiche differenti, dell’esistenza di un popolo e della sua drammatica storia: performance teatrali, installazioni artistiche, dibattiti costituiscono così le variegate tappe di un più vasto progetto nel quale il pubblico diventa parte integrante di una costruzione collettiva della memoria. Soltanto l’arte della narrazione può fornire un antidoto efficace contro il veleno della dimenticanza: e proprio attraverso i racconti intonati dai dengbej, i cantastorie del popolo curdo, è possibile recuperare una ricchezza culturale che rischiava di andare irrimediabilmente perduta. Il colpo di stato turco del 1980 e la successiva criminalizzazione del linguaggio curdo hanno infatti compromesso, ricorrendo all’arma del silenzio, la possibilità della trasmissione di un bagaglio di miti, leggende ed esperienze che tuttavia oggi, grazie a un difficile lavoro di documentazione, sembra poter rivivere. Poco conta che il pubblico della Leopolda non possa comprendere quali avventure di guerrieri, quali eventi prodigiosi o quali amori infelici vengano recitati da Kazo e dal duo di musicisti composto da Vahan Kerovpyan e Murat Içlinaica: la trascinante passione e l’orgoglio con cui i tre interpretano i brani sembra poter superare qualsiasi barriera linguistica, al punto da far apparire naturale l’invito, mosso più volte da Kazo ai presenti, a unirsi a lui nel canto.

Fabbrica Europa
Foto Lee Hee-Moon Company

Amori contrastati e imprese leggendarie sono cantati anche in ZAP, nel quale la tradizione canora sudcoreana è trasfigurata in un caleidoscopico ed eccessivo spettacolo in cui si fondono il concerto, il teatro e la danza. All’androgino sorikkun Lee Hee-moon spetta il compito di interpretare, accompagnato da sei musicisti e un gruppo di performer, dodici brani del repertorio zapga, e il significato letterale del termine — “miscuglio”— sembra essere perfettamente reso dalla regia di Eunme Ahn, capace di virare in pochi istanti da atmosfere cupe e intimiste a momenti di gusto camp, o di citare tanto Giorni felici di Beckett quanto, pochi istanti dopo, Cafè Müller di Pina Bausch. Coperto fino alla vita da un gigantesco telo nero, Lee è una spettrale presenza che incanta per la grazia di una voce femminea e, una volta liberatosi, per l’eleganza di una gestualità non priva di caratteri di seduzione. La bellissima e sfortunata Chunhyang, eroina di una popolare storia del folklore coreano, rinasce così in un corpo maschile e in un universo scenico in cui la confusione dei generi sembra contrapporsi a un estremo rigore formale. Ma è una severità del linguaggio che, nella seconda parte, è abbandonata in favore di un coloratissimo caos: sedie sparse ovunque costituiscono il bizzarro spazio in cui mimare in modo quasi infantile gite in barca o lunghe cavalcate, e nel quale l’arrangiamento classicheggiante dei brani, ascoltato nella prima parte dello spettacolo, è adesso sostituito da suggestioni dance e pop. Il rischio è che questo coacervo di stili sembri kitsch e superficiale, e che la stessa decostruzione del genere messa in atto da Lee Hee-moon risulti già vista: ma sono imperfezioni tipiche di uno sguardo fin troppo occidentale, che festival come Fabbrica Europa mirano a correggere.

visti alla Stazione Leopolda – Maggio 2015

Alessandro Iachino

TEATR ZAR
SOUNDS OF KURDISTAN
Concerto di Dengbej Kazo
con Vahan Kerovpyan e Murat Içlinaica

LEE HEE-MOON COMPANY
ZAP
Regia e coreografia: An Eun-mi
Performer principale: Lee Hee-moon
Coro: Seung Tae Shin, Hyun Soo Jeon, Da Hye Chu, Miri Lee, Joo Yeon Choi, Milim Kim
Canto: Seunghee Lee
Musicisti: Seungbin Bae, Sol Mi Kim, Ye Jin Hong, Youn Ji Park, Sang Jin Hong, Jin Ho Khoe
Direzione musicale: Younggyu Jang, Taewon Lee
Luci: Jinyoung Jang
Video: Taeseok Lee
Suono: Younghoon Oh
Direzione tecnica: Sang Yeob Kim
Con il sostegno del Center Stage Korea 2015 – Korea Arts Management Service
e del Ministero della Cultura, dello Sport e del Turismo

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Alessandro Iachino
Alessandro Iachino
Alessandro Iachino dopo la maturità scientifica si laurea in Filosofia presso l’Università degli Studi di Firenze. Dal 2007 lavora stabilmente per fondazioni lirico-sinfoniche e centri di produzione teatrale, occupandosi di promozione e comunicazione. Nel novembre 2014 partecipa al workshop di visione e scrittura critica TeatroeCriticaLAB tenuto da Simone Nebbia e Andrea Pocosgnich nell’ambito della IX edizione di ZOOM Festival, al termine del quale inizia la sua collaborazione con Teatro e Critica. Ha partecipato inoltre al laboratorio Social Media Strategies for Drama Review, diretto da Andrea Porcheddu e Anna Pérez Pagès per Biennale College ‑ Teatro 2015, e ha collaborato con Roberta Ferraresi alla conduzione del workshop di critica della Biennale College ‑ Teatro 2017. È stato membro della commissione di esperti del progetto (In)Generazione promosso da Fondazione Fabbrica Europa, ed è tutor del progetto Casateatro a cura di Murmuris e Unicoop Firenze.

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