Amletò diretto da Giancarlo Sepe al Teatro La Comunità. Recensione
Chiunque conosca la trama di una tragedia, si aspetterà di vederla culminare in un massacro finale. Già gli antichi assistevano alle rappresentazioni con un tale spirito e una segreta brama di sangue. Si può presumere che lo stesso continui a capitare, oggi, agli spettatori dell’Amleto di Shakespeare. Come falchi, rimarrebbero in attesa che Amleto istighi Ofelia al suicidio, consegni Rosencrantz e Guildenstern al re di Bretagna, uccida lo zio nell’exploit finale e perda lui stesso la vita.
Tutte queste aspettative sono “frustrate” dall’Amletò di Giancarlo Sepe. Quella vista al Teatro La Comunità è una riscrittura del testo shakespeariano; alludendo in modo più o meno esplicito al cinema e alla letteratura francese degli anni ’30, la vicenda è ambientata nel 1939 – anno in cui i nazisti invadono la Polonia – presso il celebre Hôtel du Nord della pellicola omonima di Marcel Carné. Qui, il giovane protagonista non uccide nessuno e tenta, invano, per sottrarsi al compito di vendicatore, di suicidarsi con una Ofelia che non ama e frequenta solo come sostituto edipico della madre. Sepe mette insomma in scena un’“anti-tragedia” dell’Amleto, dove la catarsi liberatrice è preclusa.
I personaggi di Shakespeare restano certo i medesimi, così le loro caratterizzazioni. In apertura si presenteranno al pubblico, ammiccando con tanto di cartellino identificativo sul quale è anche scritto il destino di ognuno. Gertrude è una moglie infedele, Claudio un usurpatore, Amleto un giovane ingenuo. Ma tale destino è, per così dire, svuotato di senso, poiché le azioni dei personaggi vengono quasi compiute meccanicamente: imbottiti di cerone bianco sulla faccia, con voluta affettazione e lasciando che i gesti siano guidati dalla musica di sottofondo, gli attori si comportano come burattini manovrati da fili invisibili, cimentandosi in azioni ormai prive di importanza reale. Per esempio, Claudio uccide sì il re: ma si può ancora parlare di usurpazione, se quest’ultimo è fuggito con tutta la famiglia in Francia, abbandonando il regno di Danimarca al controllo dei gerarchi nazisti?
Al posto di una tragedia con tanto di catarsi, Sepe regala però uno spettacolo onirico, altrettanto godibile per lo spettatore. Procede liberamente, convivono momenti drammatici accanto quelli comici, angoscianti e dolci, senza che gli uni stonino con gli altri. Amleto ora fugge dalla famiglia che lo vuole divorare attirandolo dentro un armadio, ora dialoga con il padre morto, ora spara a Ofelia pazza d’amore con una pistola ad acqua – parodiando grottescamente il suicidio della giovane nel fiume dell’originale. Intanto, gli attori recitano in un francese che non è francese, ma un grammelot strampalato, che rende ancora più evidente l’impressione di sogno.
Non di mete di sangue, quindi, ma di transizioni e attraversamenti senza scopo, si compone il lavoro di Sepe. Il suo Amletò è del resto una fuga continua dalla guerra, dalla morte e dai soprusi che fanno da sfondo a tutta la rappresentazione e costringono alla fine il giovane ad abbandonare anche l’Hôtel du Nord alla volta di nuovi luoghi misteriosi e incerti.
La scelta tragica del celebre monologo dell’atto II era tra l’essere o il non essere, tra vivere o morire, stare svegli o dormire. Amleto favorisce i primi membri della dicotomia nel timore che, nel sonno della morte, gli si presentino incubi che portano con sé visioni più orrende di quelle che gli presentano nel regno di Danimarca: Amletò propone un’alternativa, folle e ottimistica al contempo: sognare ad occhi aperti da vivi, sfruttando il potere evocativo del teatro, che si lascia alle spalle con gioia le miserie e brutture della veglia.
Enrico Piergiacomi
Twitter @Democriteo
Visto al Teatro La Comunità di Roma, Aprile 2015
AMLETÒ (GRAVI INCOMPRENSIONI ALL’HÔTEL DU NORD)
Regia di Giancarlo Sepe
con (in o. a.):
Lucia Bianchi – Gertrude
Paolo Camilli – Laerte
Federico Citracca – Guildenstern
Manuel D’Amario – Re
Francesco Sechi – Claudio
Federica Stefanelli – Ofelia
Marcela Szurkalo – Rosencrantz
Guido Targetti – Amletó