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Teatro Metastasio di Prato – A colloquio con Massimo Bressan

Massimo Bressan, antropologo, è da poco presidente del Teatro Metastasio di Prato, appena riconosciuto fra i TRIC dal Mibact. Cerchiamo di capire con lui il futuro di questo teatro e certi risvolti della riforma ministeriale.

 

teatro metastasio massimo bressan
foto www.notiziediprato.it

Siamo in una condizione di passaggio in cui il vecchio sistema dei Teatri Stabili, di cui faceva parte il Teatro Metastasio, è modificato da una riforma che ha definito i parametri di alcuni Teatri Nazionali e ha riconosciuto il teatro di Prato come TRIC, ossia tra i Teatri di Rilevante Interesse Culturale. Come ne esce il vecchio Stabile della Toscana dopo la riforma?

Noi non abbiamo fatto domanda per diventare Nazionale ma direttamente domanda di TRIC, perché i numeri e la relazione che avevamo con un tipo di città come Prato non ci permettevano di concorrere su certi parametri. Nel periodo precedente avevamo iniziato un percorso di dialogo con il Teatro della Pergola di Firenze, mediato dalla Regione Toscana, che non è andato a buon fine perché secondo noi – e questo è un problema già del Decreto – portava a una conformazione giuridica non ben definita. La proposta principale della Pergola era di sciogliere la nostra fondazione ed entrare nella loro. A questo non eravamo disposti. Quella successiva fu di fondere le due fondazioni, ma la nostra è con Regione, Provincia e Comune, mentre quella della Pergola è con Comune ed Ente Cassa di Risparmio. Era troppo spericolato intraprendere un simile percorso a così breve scadenza del Decreto e senza uno studio preventivo che facesse luce su come gestire l’intero patrimonio; significava inoltre mettere insieme un teatro di ospitalità come il loro con uno a vocazione produttiva come il nostro, senza un progetto chiaro. Abbiamo anche proposto di costituire un consorzio che gestisse le due fondazioni, tenendole in vita, ma questo percorso è stato interrotto quando il Ministero ne comunicò al Comune di Firenze l’impraticabilità. O così ci è stato detto. Perché in effetti la sensazione era che Firenze non volesse portare avanti quel tipo di accordo, in autonomia rispetto alle decisioni del Ministero. Al punto che, con ancora meno tempo, l’unione si è fatta rapidamente con Pontedera. Ma in ogni caso il Decreto non risolve il problema dell’assetto. Io avrei preferito piuttosto duna procedura diversificata che risolvesse certe situazioni critiche ed esaltasse vocazioni particolari, una connessione maggiore tra il Ministero e i diversi teatri su problemi specifici; poi è chiaro che, essendoci bisogno di regole unilaterali, la commissione agisca con decisioni quantitative, fino a farle però diventare arbitrarie anche a rischio di cristallizzare quelle stesse regole, che non possono andare bene forzatamente per tutto e tutti.

Quindi è per questo che non avete pensato di fare domanda: sembra più conveniente diventare tra i primi TRIC d’Italia che essere faticosamente un Teatro Nazionale.

L’attività che deve svolgere il Teatro Nazionale non è semplice: lunghe teniture, gran parte delle recite deve essere fatto in sede o in Regione e molte altre cose; il TRIC deve sempre mantenere un certo standard produttivo e di tenitura, ma lascia più libertà sulle possibili sinergie, su nuovi orizzonti di collaborazione e così via. Il problema starà nel vedere quali saranno le differenti economie; noi abbiamo un’attività consistente ed eravamo tra i primi stabili d’Italia: in una città di 200000 abitanti abbiamo 2500 abbonati, solo sul cartellone 30000 biglietti venduti, poi il Festival Contemporanea, Metastasio Jazz, il Teatro Ragazzi che ha un seguito straordinario anche qui in crescita e già sui 30000 spettatori. Se il criterio è quantitativo come per il resto le economie non possono scendere…

Perché dunque questa rincorsa a diventare Teatro Nazionale?

Cerco di rispondere in generale, pur avendo fatto scelta diversa. È stata comunicata l’idea che diventare TRIC da Stabile fosse quasi una retrocessione, in realtà questa è una becera semplificazione, non c’è serie A e serie B, credo che molti abbiamo reagito a questa falsa intenzione cercando un successo di posizionamento, più sul piano politico che su un progetto culturale.

Ma, più universalmente guardando al futuro, questa struttura organizzativa con un direttore manager capace di una visione artistica raffinata, di una gestione organizzativa lucida, di un piano economico produttivo e amministrativo, ti sembra rispondere alla contemporaneità dell’offerta culturale? Oppure si potrebbe ripensare il sistema direttivo con una squadra divisa per competenze?

Sicuramente un occhio attento alla gestione è necessario, non bisogna trascurare che le risorse siano sempre più limitate, però non ci sono molte figure che possano riunire tutte queste competenza in una. In molti casi si sta andando verso strutture ibride, con consulenti artistici interni, ma oggi bisogna essere capaci in ogni caso di operare su un pubblico differente e quindi mantenere attenzione alle varie forme, lavorando sempre sulla multidisciplinarità. Non sono perciò completamente convinto che queste limitazioni, così come quella di ridurre le produzioni del direttore artistico, risolvano i problemi, perché senza essere direttore la nuova figura del consulente regista può fare come vuole.

Dopo questa riforma, come cambia l’intero progetto culturale del Metastasio, in termini di produzione e di lavoro sul territorio sociale, in relazione ai cambiamenti strutturali?

Intanto io sono un presidente, per rispondere posso solo interpretare le intenzioni che vengono dalla direzione artistica. Noi fin da subito abbiamo lavorato sul rapporto con la città, insieme alla Fondazione Toscana Spettacolo con cui abbiamo stabilito una convenzione per la nuova scena teatrale finalizzata a un bando (che pubblicheremo verso l’estate) per nuove produzioni proposte da giovani artisti toscani. Con ciò vogliamo garantire non solo la possibilità di andare in scena, ma mettere a disposizione il Teatro Magnolfi come spazio produttivo residenziale, che rispetto al passato si arricchisce di un maggior periodo di residenza e di un affiancamento sia con il personale tecnico che organizzativo. La logica è quella di “incubare” proposte magari non ancora mature ma che hanno bisogno di essere sostenute su più livelli. Tutto ciò è fatto nella prospettiva di intercettare possibili produzioni per il prossimo futuro.
Nuove relazioni riguardano l’arte contemporanea e la performance, attraverso una convenzione stabilita con il Museo Pecci che sarà sviluppata meglio in vista del Festival Contemporanea per performance e danza; un’altra linea di lavoro è il rapporto con l’università che a Prato ha una sede importante (PIN) con all’interno il Pro.Ge.A.S. – Progettazione e gestione di eventi e imprese dell’arte e dello spettacolo: stiamo collaborando perché il corso di laurea abbia un semestre affiancato alla nostra stagione e già dal prossimo anno, con la nuova produzione Porcile di Pier Paolo Pasolini per la regia di Valerio Binasco, gli studenti avranno parte attiva alle prove, agli allestimenti, frequentando alcune lezioni del regista e altre attività formative. Abbiamo poi un protocollo con il carcere dove lavora la compagnia Teatro Metropopolare di Livia Gionfrida, pensando un possibile sostegno in via di definizione che riguardi anche la formazione tecnica dei detenuti; allo stesso modo stiamo lavorando con il Dipartimento per la salute mentale, assieme alla ASL e alla Compagnia TPO, con le scuole elementari, medie e superiori, ma anche e soprattutto con lo spettatore medio, appassionato, che cerchiamo di coinvolgere con varie attività di condivisione.

Di tutti questi rivolgimenti politici e strutturali lo spettatore medio ha percezione?

Abbiamo avuto un dibattito sulla stampa locale che denotava proprio quella lettura critica del declassamento, ci cui si parlava prima. Ma questa è la reazione di un’opinione pubblica più strutturata. La gran parte del pubblico non ha avuto gli elementi o l’interesse per seguire i cambiamenti in maniera approfondita, anche se alcuni spettatori hanno manifestato qualche dissenso rispetto alla nostra scelta. Io leggo queste reazioni in termini positivi perché significa che c’è una comunità affezionata e consapevole dell’importanza del Metastasio nella storia teatrale, ma se la proposta resterà di qualità io credo si avrà modo di apprezzare meglio.

Chiudiamo, ma questa è una domanda per Bressan l’antropologo: come definiresti lo spettatore di Prato?

È uno spettatore imprevedibile perché, pur essendo il pratese vivace e immediatamente reattivo, a teatro sorprende poi per la disciplina dimostrata e per l’attenzione anche a proposte difficili, sulle quali magari è critico ma senza mai abbandonare il teatro con cui resta in profondo dialogo. Il teatro è di per sé un lavoro sull’interazione sociale, quindi il rapporto con l’antropologia è stretto, credo per questo che la presenza del Metastasio a Prato abbia dato elementi importanti di lettura per ciò che accade, ad esempio per i tanti cambiamenti derivati dalla crescita industriale repentina e dai conseguenti flussi migratori provenienti soprattutto dalla Cina; questo fronte è per il teatro un obiettivo concreto da perseguire perché la rilevanza dei cambiamenti globali sta diventando davvero notevole per la vita degli individui e della loro comunità. Il teatro fa da sempre questo lavoro, ma c’è ancora tanto da approfondire.

Simone Nebbia
Twitter @Simone_Nebbia

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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