Massimo Castri è omaggiato ne La cantatrice calva, la sua ultima regia prodotta dal Teatro Metastasio Stabile della Toscana andata in scena al Teatro Vascello. Recensione
A partire dalla metà di marzo fino alla prima settimana di aprile, il Teatro Vascello ha ospitato la tournée di tre grandi produzioni del Teatro Metastasio Stabile della Toscana: la prima Hotel Belvedere diretto da Paolo Magelli, poi Il ritorno a casa per la regia di Peter Stein e in conclusione, La cantatrice calva di Massimo Castri. Come a chiudere un cerchio il cui ultimo anello è questo spettacolo-testamento del regista di Cortona, che debuttò nel 2011 in quel Metastasio di cui Castri fu direttore dal 1994 – anno in cui fu costituita la Fondazione Teatro Metastasio – rimanendone alla guida fino all’anno 2000, dopo che nel 1998 venne riconosciuto come Teatro Stabile Pubblico della Toscana.
Il teatro dell’assurdo non era nuovo a Castri, ricorderemo la messinscena di Finale di partita che gli valse nel 2010 il Premio Ubu come miglior spettacolo dell’anno; dopo Beckett è la volta di Eugène Ionesco e dell’opera che consacrò alla notorietà il drammaturgo rumeno nei primi anni Cinquanta. Quella «tragedia del linguaggio», il gioco sottile sul crinale del non sense è riadattato in scena da un cast di alto livello che, apprendendo la lezione del maestro e quella del suo fondamentale collaboratore Marco Plini, intona una recitazione priva di stonature, pulita e morigerata all’inizio per poi infiammarsi di animalità verso il climax finale. Le scene e i costumi di Claudia Calvaresi sono perfette nel ricreare quel color locale di borghese ostentazione: il salotto inglese con arredamento inglese per inquilini inglesi si staglia sul grande tappeto, inglese, a delimitare la scena in un quadrato, come fosse una scatola circondata da un abisso nero senza luce e pronta a saltare in aria. È la crisis di un linguaggio intriso di banali inutilità, appeso al nulla e diventato un circolo «che se si coccola, diventa vizioso», specifico di una società decadente perché decaduta, col riso screziato da gridolini sommessi e compiaciuta della sua cecità che ignora la fine. Si ride di noi stessi. I Sign. Smith e i Sign. Martin sono figurine intercambiabili in una dimensione atemporale, scandita tuttavia dai rintocchi della pendola in perenne contraddizione; ed è proprio nelle inflessioni, negli accenti e nelle sfumature intenzionali della recitazione che percepiamo il lavoro registico di Castri, nel sottolineare il lato drammatico dell’assurdo, quell’umorismo alla maniera di Pirandello che ci insegna a cogliere di una battuta il suo contrario, l’altra faccia nascosta. Lo stesso Franco Cordelli – che dedica a Massimo Castri l’introduzione del libro Declino del teatro di regia – scrive in un articolo apparso sul Corriere della Sera all’indomani della scomparsa del regista: «Egli era, fu, rappresentò la parte oscura: la parte in ombra della scena, dei testi, di chi li allestisce, di chi li riceve».
Non ci ha lasciato indifferenti l’entusiasmo e l’accoglienza che hanno riservato le scolaresche a questa messinscena. Attente e divertite hanno partecipato a quel “gioco” così accuratamente orchestrato e a fine spettacolo abbiamo deciso perciò di sentire alcuni pareri a caldo. Una discussione interessante è nata dall’incontro con le quattro studentesse della classe quinta del Liceo Linguistico Federigo Enriques di Ostia. Ci hanno raccontato di essere venute a vedere lo spettacolo perché il teatro dell’assurdo è stato oggetto di studio in classe, dopo aver affrontato la scrittura di Samuel Beckett e Les Rhinocéros di Ionesco hanno proseguito con La cantatrice calva: «Quando abbiamo letto il dialogo iniziale non ci era piaciuto, ci aveva annoiato, sulla carta non era così divertente». Nonostante alla richiesta di dare una definizione di assurdo abbiano risposto unanimamente «Assurdo è una cosa priva di logica e il fatto che non abbia senso fa ridere, più diventa stupido e più fa ridere»in seguito, continuando a ragionare sul senso che ognuna di loro attribuisse personalmente a ciò che aveva visto, hanno specificato: «L’assurdo l’abbiamo prestabilito noi cosa sia, anche il tempo lo stabiliamo noi, è una convenzione, tendiamo a oggettivare tutto. I personaggi sembrano controllati, posseduti, diventano quasi delle bestie. Sono disumanizzati perché privati della loro personalità e tutto intorno il buio, nient’altro che buio».
Diremmo un’ovvietà se ribadissimo ancora una volta quanto il teatro sia una storia di lasciti, ma l’effimera consistenza e la volatile attitudine sono da sempre funzionali alla trasmissione di un messaggio, che resta imperituro. Prendendo in prestito le parole entusiaste delle giovani studentesse per le quali «l’assurdo rappresenta ancora oggi un’innovazione» riflettiamo dunque sulla capacità di un testo, vecchio di sessantacinque anni, di farsi e rifarsi facendo scuola e sulla maestria di chi ha saputo raggiungere il quid di quelle parole rendendo collettiva la propria visione individuale.
Lucia Medri
Twitter @LuciaMedri
visto al Teatro Vascello-aprile 2015
LA CANTATRICE CALVA
Teatro Metastasio Stabile della Toscana
di Eugène Ionesco
traduzione Gian Renzo Morteo
regia Massimo Castri
in collaborazione con Marco Plini
con Mauro Malinverno, Valentina Banci, Fabio Mascagni, Elisa Cecilia Langone, Sara Zanobbio, Francesco Borchi
scene e costumi Claudia Calvaresi
progetto luci Roberto Innocenti
musiche Arturo Annecchino
assistente alla regia Thea Dellavalle