Dopo eterni tira e molla, il Teatro India viene dato in gestione a un’icona della sperimentazione anni Settanta.
AGGIORNAMENTO ore 17, 1 aprile 2015 – la notizia è frutto di pura fantasia, in molti ci hanno creduto, forse perché in questi tempi rischiamo di abituarci a tutto… Buon pesce d’aprile a tutti. Redazione TeC
Sono tempi duri, lo sappiamo. Per Roma soprattutto, dove gli spazi continuano a chiudere o a passare di mano, gli artisti non hanno tempo e modo di sviluppare nuove idee, di dar da bere alla creatività. E tante volte, in questi anni, abbiamo sfiorato l’epilogo peggiore, quello che sottrae l’ennesimo spazio al teatro e alla cultura per assegnarlo al consumismo, allo sperpero di valori che a noi sembrano – se non bassi – più triviali, più marginali, meno nobili.
Ogni volta che muoviamo un passo in un centro sociale o uno spazio occupato vediamo già fantasmi in uniforme intenti ad apporre sigilli; abbiamo tremato per il Teatro Valle che, chiuso l’Eti, sembrava già nelle grinfie di chissà quale innominabile impresa pronta a farne una salumeria; del Teatro Eliseo, scampato al rischio d’essere trasformato centro commerciale grazie al vincolo sulla destinazione d’uso, non sappiamo ancora la sorte ma i nomi sono quelli che sono, vediamo che fine faranno questi salumi. E nei mesi recenti qualche corposa pagina l’ha occupata la vicenda del Palladium, dal ritiro della decennale custodia dalle mani della Fondazione Romaeuropa al ritorno in quelle dell’Università di Roma Tre.
«Tutti stiamo qui a farcela sotto perché i teatri rischiano di andare in cattive mani, c’abbiamo paura quando ci tolgono la cultura, quando ci tolgono il teatro. Io il teatro l’ho fatto in un momento storico in cui mangiare era più semplice, forse, ma c’ho messo tutta la testa, tutto il cuore. Adesso che con il teatro non ci mangiamo io ho avuto questa idea secondo me geniale. Dare da mangiare il teatro alla gente di questa città». A parlare è nientemeno che Simone Carella. Classe 1946, lui ha cominciato al teatro Dioniso di Giancarlo Celli, ha ideato insieme a Franco Cordelli il mitico (mitologico, quasi) Festival di Poesia di Castelporziano, ha animato insieme a un gruppo di agguerriti colleghi il celebre Beat 72, ha bevuto e mangiato allo stesso tavolo con gente come Gino De Dominicis, Jerzy Grotowski e Bob Wilson; attore, autore, performer, impresario, è praticamente una Cantina Romana fatta persona. E in tutti questi anni lo abbiamo visto sfrecciare da un teatro all’altro a bordo del suo scooter, avvolto dal suo spolverino impermeabile, armato della sua fedele videocamera, sotto il suo cappello da pescatore ostinato, sotto qualsiasi pioggia.
Ora che il Teatro Valle, dopo tre anni e mezzo di occupazione, è stato affidato al Teatro di Roma e riapre il foyer – per ora – alle proiezioni di Ronconi, è di nuovo il Teatro India a sparigliare le carte: i lavori che lo avevano chiuso nel gennaio 2013 e che avrebbero dovuto restituire alla città la sala ideata da Mario Martone ormai quindici anni fa non sono stati ancora completati a causa di un ennesimo buco nelle casse di Roma Capitale. Una delle tante cordate che si paventavano è riuscita a formarsi, foraggiata nientemeno che da un celebre talent show a tema culinario, una delle teste di serie della tv commerciale. Perché? Perché nello spazio “sperimentale” dello Stabile romano sta per approdare un progetto finalmente innovativo, rischioso, folle quanto il suo ideatore, Simone Carella, che torna così alla ribalta e che promette, letteralmente, di «darci da mangiare a tutti». Magn’Amo – Teatro Culinario è il nome dell’impresa che si è inventato, un accattivante ibrido tra una sala prove, un centro di produzione, una residenza artistica e… un vero e proprio megastore del cibo fatto in casa.
In collaborazione con il Dipartimento di Filosofia Comunicazione Spettacolo di Roma Tre Carella sta curando dalla fine di febbraio al Teatro Palladium una rassegna dal titolo Poetitaly, cinque appuntamenti in versi che proseguiranno fino all’8 giugno. E, raccontandoci di questa esperienza, specifica che proprio quel nome gli ha ispirato quest’altra crociata. «Con Magn’Amo voglio fare concorrenza a Eataly – dichiara – quella specie di astronave che sforna prosciutti milionari» e che sorge all’ex terminal Ostiense – a sua volta mutato, ai tempi, di destinazione d’uso. Niente carni piemontesi, niente creme di nocciola che costano quanto un trapianto di organi, piuttosto «un inno alla carbonara e alla gricia, il tempio del carciofo fritto, altro che il Porto Fluviale», altro locale molto alla moda che occupa l’omonima via di là dal Ponte dell’Industria, a pochi isolati dall’India.
Sugli artisti coinvolti vige ancora il silenzio stampa più assoluto, ma in giro già si sentono accostamenti acrobatici come Enrico Brignano e Pippo Di Marca, Valter Malosti e Pippo Franco, Galatea Ranzi e Platinette. Senza contare la rassegna MasterScemo, un’ironica invettiva diretta al partner economico di cui sopra, cui dunque non sembra mancare il senso dell’umorismo. L’intero foyer verrà convertito in una sorta di fraschetta coperta, con tavoli apparecchiati di carta dove pittori e illustratori si potranno sbizzarrire, un chiosco di coppiette di cavallo e un open bar di vino dei Castelli. Sarà permesso mangiare durante gli spettacoli, «entrare e soprattutto uscire a piacimento». Eccola, la lezione di Carella al nostro teatro di oggi, un invito a non prendersi troppo sul serio. Ancora piacevolmente sorpresi dal colpo di mano della direzione di Antonio Calbi, finalmente abbandonata a una generosa dose di intelligente nonsense, e in attesa di nuovi dettagli, ci sembra di poter sperare che una generosa imburrata di strutto ammorbidisca questi tempi duri.
Sergio Lo Gatto
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