Francesco Leineri con il suo concertinspettacolo Sonòriter | Armònikem | Melòdikes | Rìtmiken | Formàtikon allo Studio Uno. La recensione.
C’è un secchio di sonora spazzatura che punta ai nostri piedi, caos che invoca nuovo ordine, un pianoforte scoperchiato attende di mutare il proprio modus, corda percossa o invece pizzicata. Francesco Leineri presenta così, sul palco del Teatro Studio Uno, il suo quarto “concèrtinspettacolo”. Per questo originale ibrido tra generi e stili non si fatica a chiamare in causa il termine performance, usato ormai per normalizzare la miscellanea tra le arti, tra teatro e musica, compresenza di inni sacri, swing anni ’50 e musica concreta à la Stockhausen; tuttavia sembra quasi fare un torto alle competenze specifiche del giovane artista e polistrumentista palermitano che in questo caso dimostrano un agio nella scrittura scenica contemporanea, legando drammaturgia del suono, del gesto e dell’immagine con sapienza da un lato e tocco personale dall’altro.
Improvvisazione e partitura programmata sono due modalità costruttive di questo spettacolo, che potremmo definire quasi un manifesto. Non sappiamo se effettivamente i termini che danno titolo all’opera, Sonòriter | Armònikem | Melòdikes | Rìtmiken | Formàtikon, abbiano realmente a che fare con la «disfatta dei gladiatori» cui accenna nelle note di regia, ma facilmente troveremo molte corrispondenze con i «punti cardinali della grande bussola musicale», come se, a voler scomporre lo spettacolo, si potesse ricondurre i diversi quadri a quegli stessi principi ordinatori.
All’interno di questo assolo è evidente l’indagine tra cosa sia suono e cosa rumore, la domanda eterna se l’inquietudine della melodia di Blu Canary sia innata nelle note suonate su un pianino o invece venga dalla sirena che si innesta fuori di scena. Ma Leineri non è solo pianista e compositore, egli si trova tra più personaggi, stralunati, sospesi, sordidi nelle loro azioni: c’è un re bambino, t-shirt di superman e corona di cartone intento a pasticciare i suoni, con cui ha un approccio emotivo, a differenza dell’ipotetico dottor Frankenstein che invece disseziona tutto, dal nome dello spettacolo ad affascinanti teorie armoniche. Ci si guarda nelle proprie follie, cercando tra scatole nere il senso dei personali fallimenti; così come accade al commilitone in giacca, gambe nude, ginocchia incuneate e nastro adesivo sulla bocca. Impossibilitato a parlare (per riecheggiare parole ascoltate prima, diremmo obbligato «dalla dittatura dell’inconscio») finirà esterrefatto a guardare la propria immagine in uno specchio, stentando a riconoscersi. Nonostante qualche passaggio a tratti confuso o alcune ingenuità sceniche, proprio a simili affermazioni giunge il lavoro di Leineri, sostenendo che di un’opera l’artista è sempre soltanto parziale autore, pur dichiarando inequivocabilmente, proprio in virtù dell’opera che ora esiste, la sua responsabilità; la disfatta è la rinuncia alla pretesa di controllo totale, ma è anche la conferma della propria vittoria. Come l’intermezzo sussurrato, intimo, che rompe la convenzione prima stabilita, la dichiarazione della sconfitta (anche e soprattutto autoironica), ammiccando al suo pubblico, lo trascina ancora più vicino a sé.
Non così originale, se vorrete, ma funzionale alla propria drammaturgia, Leineri riesce a entrare nella mente, insinuandosi come un movimento martellante, inducendo a riconoscerci nelle fantasie di un ragazzo, infinitamente grandi anche se concretamente ristrette; spazia la fantasia, sorvolando le strade con uno sguardo all’infuori dal vetro di un autobus, ritmo costante della gomma in bocca, occhiata ai cassonetti accanto i mazzi di fiori, tra un esorcismo sventato e un’ode alla stella del mattino, una boccata di speranza. Possiamo immaginare che ogni cosa, ora, è possibile.
Viviana Raciti
Twitter @Viviana_Raciti
Visto al Teatro Studio Uno – marzo 2015
Sonòriter | Armònikem | Melòdikes | Rìtmiken | Formàtikon
di e con Francesco Leineri
organizzazione/tecnica Riccardo Anzalone