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Pasolini, Morante, Bellezza e l’Adulto di Giuseppe Isgrò

Adulto, le recensione dello spettacolo di Giuseppe Isgrò su testi di Pasolini, Morante e Bellezza.

 

Foto Ufficio Stampa
Foto Ufficio Stampa

Procediamo per opposti, per contrappunti; natura insegna a diffidare della maestosità della bellezza, ché nasconde insidie. Si cela il pericolo dietro lo sguardo amorevole di una madre, la passione frantuma nella disperazione, la sessualità è il punto di congiunzione fra l’atto vitale per eccellenza e il suo contraltare, la morte. Può capitare allora che per raccontare un Adulto, ci si trovi, nella sala del Fanfulla 5 A (ala del Forte Fanfulla aperta in vista di una chiusura poi scampata e pensata più per concerti che per programmazione teatrale), davanti a un campetto di sabbia con secchielli e palette, giochi da bambini, pantaloncini corti, ginocchia nude. Ci ritroveremo di fronte tre brandelli di storie, a pezzi non perché difficilmente saremmo riusciti a coglierne la narrazione bensì per la natura del percorso esperito, che non ha trovato suo completamento. Una educazione sentimentale all’insegna dell’erotismo vietato, mercenario, protetto dalle fronde nelle quali confondere i nomi dei primi troppo giovani avventori, oppure morbosamente legato a una madre il cui amore eccessivo diviene possessiva esclusività, rifiuto del distacco perfino dall’immagine di sé ma che, per contrasto, è ripreso forse poco prima di librarsi.

Base letteraria del lavoro della compagnia milanese Phoebe Zeitgeist, che programmaticamente concentra la propria produzione artistica innestando nelle tracce di artisti noti una personale azione, sono “i testi finali” di Dario Bellezza, Elsa Morante e Pier Paolo Pasolini. Uniti più che dal termine temporale da connessioni tematiche e da una fragilità di fondo che guarda alla società (come il Testamento di sangue di Bellezza presenta una galleria di personaggi imbrigliati in vuoti valori sessantottini, non mancano i molteplici riferimenti al capitalismo nel Petrolio pasoliniano o le accuse presenti nel capitolo “ritrovato” nei confronti dei molossi dell’industria estrattiva), ma che in questa messinscena diretta da Giuseppe Isgrò rimangono scientemente più in sordina a favore dell’aspetto umano verso la componente tipica da “Bildungroman”, trovando il culmine nell’intenso brano tratto dal romanzo della Morante, Aracoeli.

Foto Ufficio Stampa
Foto Ufficio Stampa

In questa scena delimitata da neon, un solo attore, Dario Muratore; a segnare i passaggi di scena alcune voci provengono dalle radioline, quando non usate come amplificazione distorta. Le azioni si muovono ai confini dell’eccesso, ne indicano le fattezze rimanendo sul ciglio, i toni esageratamente allusivi lasciano allo spettatore la scelta del compiacimento o del fastidio. Quest’ultimo non tanto sarebbe causa di una provocazione del costume, quanto al contrario l’impressione di un suo abuso, teso all’auto-ghettizzazione in una società che, a grandi linee, non rinchiude più nel tabù l’omosessualità o l’autolesionismo. Eppure il processo messo in atto ci dice che non siamo del tutto immuni, specchiandoci nell’esibizione della fallace vanità, nella pretesa di dover piacere, nel vederci distorti dall’occhio esterno, rifiutando un ideale cucitoci addosso tanto da voler rinnegare la vita e richiuderci nell’alveo materno dove tutto è solo in potenza, siamo noi stessi vittime di quel sistema (generale, familiare e magari anche scenico) che ci impone regole che disconosciamo come nostre. I piedi rimangono in scarpe da donna, modello bebè ma col tacco, di vernice consumata, come un sogno che si rivela realtà quanto più diventa corrosa, seguiamo i fili dell’intima narrazione di questo ragazzo dalle ginocchia scorticate a furia di sfregarle sui ciottoli della strada. Percorreremo gli stessi passi fatti dagli altri finché non saranno anche per noi noti? Quell’esternalizzazione iniziale abita ora un corpo spoglio, voce che parla al passato, cerca nella «condanna della nascita» una via d’uscita; non ha più bisogno di esagerare per trovare la propria misura; l’infanzia è negata, ma il poeta si è scoperto fanciullo alla fine della sua vita; allora, una volta saputo il canto dell’innocenza che si è fatto esperire, allora è diventato adulto.

Viviana Raciti

Twitter @Viviana_Raciti

Visto al Fanfulla 5 A – marzo 2015

prossima replica a Roma il 5 aprile, Formica Trenta – Festival Pasolini

ADULTO
ispirato dai testi finali di Pier Paolo Pasolini, Elsa Morante, Dario Bellezza
uno spettacolo di Giuseppe Isgrò
con Dario Muratore
voci Ferdinando Bruni, Ida Marinelli
dramaturg Francesca Marianna Consonni
suono Giovanni Isgrò
assistente ai costumi e alla scena Vito Bartucca
tecnico attrezzista Gilles Ielo
immagine Sally Cellophane
grafica Alessandro Tonoli
in collaborazione con Voci Erranti, Racconigi (CN) e TMO Teatro Mediterraneo Occupato, Palermo

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

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