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Tra Ofelia e Sarah Kane, in quattro e quarant’otto

Ofelia 4:48, uno spettacolo di Stefano Cenci da Sarah Kane. Recensione

 

foto di ufficio stampa
foto di ufficio stampa

Lo spettacolo Ofelia 4e48 (Ofelia in quattro e quarant’otto) è liberamente tratto dall’opera 4:48 Psychosis di Sarah Kane, scritto e diretto da Stefano Cenci, che è anche interprete sulla scena insieme a Elisa Lolli. Un’ora e dodici minuti – la durata dello spettacolo – è esattamente la stessa quantità di tempo che, nel testo originale della drammaturga inglese, misura il breve periodo di lucidità della protagonista, prima di ricadere nella depressione psicotica che la porta a sfogare la sua rabbia verso la società “sana”, a manifestare il suo intenso amore verso le cose e infine a suicidarsi.
Questa coincidenza del tempo spettacolare con quello letterario sembra segnalare che il delirio cui lo spettatore si trova ad assistere sulla scena – nel quale si alternano momenti lirici e barzellette macabre, racconti di sogni stravaganti e dialoghi del regista con l’attrice sul senso del loro “fare” teatrale, recitazione di brani di 4:48 Psychosis di fronte a un microfono e scene di azione caotica guidate da musica ad alto volume – è soltanto apparente. Lo spettacolo sarebbe, altri termini, una sorta di “lucido delirio” in cui le immagini e gli eventi si susseguono secondo un preciso filo logico segreto che anima tutta la rappresentazione: una continua quanto allusiva riflessione sul suicidio di Ofelia in Amleto e del suo alter ego contemporaneo, come Kane viene presentata, offrendo diverse potenziali ragioni di questo gesto estremo.

foto di ufficio stampa
foto di ufficio stampa

Le due donne si sarebbero tolte la vita in un momento di follia? O lo avrebbero fatto per vendetta verso un mondo di cui non si sentivano più fare parte? O ancora, sarebbero state “suicidate” da una società che le riteneva folli? O infine, Ofelia e Kane avrebbero compiuto quel gesto come un gesto artistico estremo, per tentare di «ascendere dalla vita all’arte», quindi di evitare la morte trasformandosi in una figura poetica? Tutte queste ipotesi emergono alla rinfusa dalle parole e dai gesti degli attori, che di conseguenza si trovano ad usare anche i registri comunicativi più disparati – ironico, passionale, finto naturalistico, sgangherato, etc..
Di fronte a ciò lo spettatore si trova aperte due alternative emotive: provare ripugnanza verso quanto accade o partecipare al lucido caos che procede lentamente, ma inesorabilmente, da un suo minimo quasi impercettibile alla sua massima esplosione. Del resto, sul piano della vicenda, è proprio questo che accade di vedere. Lolli entra sulla scena tutta perfettamente agghindata e controllata in un interno casalingo, per poi arrivare a distruggere con Cenci i poveri oggetti casalinghi, che peraltro già nella seconda scena avevano perso la loro funzione originaria (come quando accade, ad esempio, che l’aspirapolvere diventi il palo di una danza da night club).
Chi scrive ha preferito abbandonarsi al caos e lasciarsi attraversare il corpo dalla forte energia che trasudava dal palcoscenico, in uno spettacolo che si deve più “sentire” che “capire”.

Enrico Piergiacomi
Twitter @Democriteo

OFELIA 4e48
di Stefano Cenci
con Stefano Cenci, Elisa Lolli

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