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Maniaci D’Amore, Morsi a vuoto: la risata e il male di vivere

 Maniaci d’Amore sono stati in scena al Teatro Portland di Trento con Morsi a vuoto. La recensione.

 

Foto Daniela Capalbo
Foto Daniela Capalbo

Immaginiamo una scimmia che schiamazza e salta con foga tra gli alberi di una foresta. Nel vederla lanciarsi goffamente da una liana all’altra, mostrare i denti, mangiare banane senza sosta e gridare «uh uh!», «ah ah!», forse non riusciremmo a trattenerci dal ridere. Eppure se salta lo fa per sfuggire a ragni velenosissimi, se mostra i denti è per digrignarli minacciosamente e i suoi mugugni sfogano le forti ansie che gli scuotono l’anima, terrorizzata da mille pericoli invisibili. Noi ridiamo e intanto la nostra scimmia finisce tra le spire di un boa constrictor, che con pigra forza le spezza le ossa.
Bene, in questa piccola immagine è sintetizzato tutto l’enorme lavoro che la compagnia Maniaci d’Amore presenta con lo spettacolo Morsi a vuoto. I due autori-attori (Francesco d’Amore, Luciana Maniaci) non fanno che mostrarci, in fondo, il drammatico disagio degli esseri umani di oggi, non così diverso in fondo da quello della scimmia di ieri.

Espressione particolare di tutto ciò è la vicenda di Simona, una ragazza sicula che dissacra tutto e tutti con fare strafottente, pur di sfuggire al male di vivere che l’attanaglia e che le terapie di un giovane psicologo (con cui dialoga per tutta la prima parte) non riescono a curare. Come il nostro scimpanzé preistorico anche Simona si muove in un mondo ostile quanto pericoloso e, per difendersene o distanziarsene, attua comportamenti che a prima vista possono sembrare lievi e innocui, mentre in realtà coprono senza troppo successo una sofferenza schiacciante. Per segnalare questa dimensione ambigua, d’Amore e Maniaci sviluppano l’azione ricorrendo a dialoghi surreali, acuti e divertentissimi, a cui fa da sfondo per contrasto una scenografia inquietante, composta interamente da oggetti macchiati di sangue acceso.

Foto Daniela Capalbo
Foto Daniela Capalbo

I metodi per sedare/attutire quest’infelicità – che corrispondono ai «morsi a vuoto» del titolo – sono certo più complessi rispetto a quelli attuati dall’animale. Simona sposa un uomo che ha fama di essere ricco e di possedere una montagna di smeraldi, dunque insegue la ricchezza per distrarre il suo malessere spirituale con il benessere materiale. Ricerca una cura dimagrante per piacere di più al suo compagno. Sfoggia continuamente sorrisi ironici e risate esagerate. Ma le ansie provocate dai i «morsi a vuoto» della scimmia e di Simona restano le medesime, per cui si può dire che il cammino che va dal Neanderthal all’homo sapiens non è che un raffinamento di alcune strategie per scaricare il disagio innato nell’essere umano, da cui non sembra esservi via d’uscita.
Una soluzione qui viene prospettata però, ossia l’incontro con la morte e l’esperienza della paura di morire, l’unica emozione autentica sperimentabile da un personaggio che ha trovato nella risata disperata e isterica la sua principale arma di difesa. Simona la prova per la prima e ultima volta grazie a un ladro, un grottesco criminale che forse riuscirà finalmente a strapparle una lacrima. Ma si tratta di una soluzione paradossale, perché l’attimo della liberazione coincide con il momento della dissoluzione finale. Simona non potrà godere dei vantaggi che quell’istante di improvvisa lucidità e consapevolezza le ha riservato. Il paradosso tuttavia è voluto, è la coerente conseguenza della sconfortante e disincantata visione della condizione umana che traspare dietro l’ironia e le risate.
Lo spettacolo non intende rassicurare o promettere una facile scappatoia dai malesseri della nostra generazione, bensì mostrare a quale livello di gravità essi sono arrivati, lasciando al singolo il compito di trovare da sé la strada della propria salvezza.

Enrico Piergiacomi
Twitter @Democriteo

Visto al Teatro Portland di Trento, marzo 2015.

MORSI A VUOTO
testo Francesco d’Amore e Luciana Maniaci
con Francesco d’Amore e Luciana Maniaci
regia di Filippo Renda
scene e costumi Eleonora Rossi
una coproduzione Festival delle Colline Torinesi e Festival Castel dei Mondi di Andria
con il sostegno di Interno5 di Napoli e Ludwig

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Enrico Piergiacomi
Enrico Piergiacomi
Enrico Piergiacomi è cultore di storia della filosofia antica presso l’Università degli Studi di Trento e ricercatore presso il Centro per le Scienze Religiose della Fondazione Bruno Kessler di Trento. Studioso di filosofia antica, della sua ricezione nel pensiero della prima età moderna e di teatro, è specialista del pensiero teologico e delle sue ricadute morali. Supervisiona il "Laboratorio Teatrale" dell’Università degli Studi di Trento e cura la rubrica "Teatrosofia" (https://www.teatroecritica.net/tag/teatrosofia/) con "Teatro e Critica". Dal 2016, frequenta il Libero Gruppo di Studio d’Arti Sceniche, coordinato da Claudio Morganti. È co-autore con la prof.ssa Sandra Pietrini di "Büchner, artista politico" (Università degli Studi di Trento, Trento 2015), autore di una "Storia delle antiche teologie atomiste" (Sapienza Università Editrice, Roma 2017), traduttore ed editor degli scritti epicurei del professor Phillip Mitsis dell'Università di New York-Abu Dhabi ("La libertà, il piacere, la morte. Studi sull'Epicureismo e la sua influenza", Roma, Carocci, 2018: "La teoria etica di Epicuro. I piaceri dell'invulnerabilità", Roma, L'Erma di Bretschneider, 2019). Dal 4 gennaio al 4 febbraio 2021, è borsista in residenza presso la Fondazione Bogliasco di Genova. Un suo profilo completo è consultabile sul portale: https://unitn.academia.edu/EnricoPiergiacomi

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