Roberto Galano dirige Giuseppe Rascio in una vincente parabola biografica su Charlie Chaplin. Recensione
È e sempre sarà Charlot, mai Charlie Chaplin. Il personaggio ha preso il sopravvento sull’attore. Ce lo ricordava bene, di recente, la parabola filosofica di Birdman, ce lo gridava nelle orecchie Luigi Pirandello, che della società dominata dalle maschere aveva fatto un vessillo di disperata lotta intellettuale. Un’intuizione talmente folgorante da destabilizzare il concetto stesso di identità. Oggi il Teatro dei Limoni realizza un’interessante operazione incrociando le numerose biografie di Sir Charles Spencer Chaplin con il celebre monologo di Amleto.
Nella piccola sala del Doppio Teatro di Roma, dove la compagnia pugliese – che gestisce un omonimo spazio a Foggia – offre una breve antologia, Giuseppe Rascio veste le emblematiche scarpe sformate, la canotta bianca e il pantalone calante su cui molleggiano bretelle lasciate andare. Chaplin è alle prese con l’esorcismo del personaggio che lo ha reso celebre, ricco e profondamente infelice. Figlio d’arte di un’attrice finita demente in un manicomio, Charlie racconta il suo esodo dall’Inghilterra a quell’AmeriKa (avrebbe scritto Kafka) che lo adottò e poi lo respinse per la sua condotta non sempre moralmente encomiabile. In un monologo ritmato e coinvolgente, con il solo ausilio di uno sbilenco tavolo girevole e qualche gioco di luce (il minimo concesso dai riflettori a led), la messinscena di Roberto Galano dà forma agli albori del cinema, a un sogno grigio apparecchiato su tavole di apparenza e divismo, alla sofferenza di chi si sente schiacciato innanzitutto da se stesso. Gilet, frac, bombetta, baffetto e bastone compariranno solo all’ultimo, per raffigurare il personaggio che ha la meglio sull’uomo, trascinato in scena su una sedia a rotelle sotto le spoglie di uno squallido manichino. Sapiente uso del corpo, attenzione ai micro-movimenti di dita e sopracciglia, presenza e voce decisa valgono più di tutti gli accenni – pur sofisticati e ben eseguiti – alle macchiette del grande mimo e qualche inciampo su musiche melense viene perdonato da una reale incarnazione di vis melanconica, più umana che mai.
Entriamo da Ikea. Attraversiamo il dedalo di esposizione mobili, evitiamo il temibile ristorante svedese, giù per le scale fino al market. Nell’area arredo campeggiano le decorazioni murali, quelle tele serigrafate che affollano le pareti dei motel. In mezzo a vedute di New York, Londra e Parigi, tra vespe special dai colori sgargianti, pruni in fiore e usignoli, eccolo lì, al modico prezzo di 39,99. Charlot. Ikea si è impadronito anche di Charlot. No, è il contrario. Charlot si è impadronito anche di Ikea.
Sergio Lo Gatto
Twitter @silencio1982
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visto al Teatro Cometa Off, Roma, febbraio 2015
TO BE OR NOT TO BE CHAPLIN
Di D. Francesco Nikzad
Con: Giuseppe Rascio
assistente alla regia Francesca De Sandoli
musiche Mario Rucci
pupazzo: Rosanna Giampaolo
elementi scenici: Nicola Delli Carri
regia: Roberto Galano
produzione: Teatro dei Limoni