Elena Arvigo apre La Scena Sensibile con Donna non rieducabile di Stefano Massini, visto al Teatro Brancaccino. Recensione
Le guerre preservano nell’immaginario collettivo un’estremizzazione da infantile bianco o nero che le rende tutte simili; la determinazione verso un obiettivo appiattisce la complessità del reale perché appaia più semplice giustificare gli eccidi e condannare l’immoralità dell’avversario, sempre attuale qualunque sia il punto di vista, il nemico, l’ingiusto, il cattivo. Contro questa banalizzazione manichea del male si è schierata, come molti hanno fatto e continueranno segretamente a fare, Anna Politkovskaja, giornalista russa la quale, per via dei suoi reportage sulla guerra per l’annessione della Cecenia, della sua attenzione alla tragica situazione che le fece assumere una posizione non accettabile, non di compromesso, non candidamente schierata dall’ovvia parte dei “giusti”, venne uccisa nell’ascensore del suo palazzo nel 2006. Su questo personaggio Stefano Massini ha costruito un memorandum teatrale che dal piglio biografico-giornalistico approda a una ricostruzione per quadri, lucidi, disincantati ma mai freddi della sua figura.
Lo spettacolo di apertura della rassegna La Scena Sensibile curata da Serena Grandicelli, porta però anche un altro nome, quello di Elena Arvigo che in questo Donna non rieducabile – apprezzato al Teatro Brancaccino di Roma – ha visto l’incipit per un progetto a più tappe col quale tendere non a «commuovere ma a muovere la sensibilità dello spettatore», a fare ciò che l’informazione sembra aver dimenticato. Assieme a lei (che replicherà anche il 15 e il 16 prossimi) in scena per dieci giorni al Teatro Argot Studio altre undici figure femminili accomunate da un desiderio di rivendicazione non del genere, ma di un’umanità sopita. Ai lavori su personaggi noti come Camille Claudel (Alice Spisa, 10 marzo), Elettra (Giustapposizione diretto da Carlo Lizzani il’11 marzo, Elettra di Jasmin Steck il 13) Artemisia Gentileschi (di Cinzia Grande e Andrea Lattari, 17 marzo), Marie Curie (Teatri della Resistenza, il 19), si affiancano altri originali come il lavoro della Compagnia Ilaria Drago sugli OPG (Ergastolo Bianco il 22) o Profana Azione a cura di Gianluca Bottoni (in doppia replica il 12 marzo), dal quale ci piace prendere la suggestiva immagine in movimento «contro il rischio di “impietrimento”», per ritornare sul lavoro di Elena Arvigo nel quale riconosciamo simile tempra a voler rimanere vivi, a non omologarsi a un’informazione di sistema.
L’impatto emotivo che scaturisce dal racconto su Anna Politkovskaja non sfocia mai nel sentimentalismo ma la materia teatrale accompagna quella civile in un percorso che procede per salti, presenta immaginari dialoghi della giornalista con i giovani militari russi, con i capi della rivolta, conduce nel racconto di una sua – difficile – giornata tipo, le permette di riportare i fatti degli attentati tenendo in mano alcune buste della spesa, perché di questo si tratta, di una convivenza giornaliera con la guerra. I toni non sono tesi, non hanno l’enfasi da fiction che, come ci racconta in scena con sottofondo di trombe e archi evocativi, definirebbe questa «una guerra giusta»; sono sgretolati come gli intonaci dei palazzi proiettati sullo sfondo all’inizio dello spettacolo; svuotati al limite della piattezza, scavati come gli occhi di Arvigo e come il silenzio che prende il sopravvento perfino sul dolore. Questo sgabuzzino di paese, minuscolo lembo di terra conteso fin dal 1500, in scena è lo spazio invisibile della frontiera rappresentato dalla soglia di una porta, unico oggetto scenico che serve ora da stipite ora da seduta, ma che non perde mai quel segno che lo contraddistingue: è una zona di passaggio nella quale non serve soffermarsi; funzionale sarebbe la Cecenia se solo si lasciasse attraversare e basta, insomma se la giornalista, la «pochissimo stimabile Anna Politkovskaja», raccontasse la verità, sembrano volerci dire. L’apice del climax, che non è l’esplosione dei ribelli ceceni o la distruzione di Groznyj da parte delle truppe russe, e che non cade nemmeno nel soggettivismo centrandosi sulla morte della giornalista, è il commento finale di uno degli uomini del Cremlino il quale nega con un vago dispiacere formale la sua stessa esistenza. È il rifiuto, la negazione, l’invisibilità a essere agghiacciante, per il fatto che fosse donna, giornalista, che cercasse di riportare con obiettività fatti complessi, provando in una zona di trincea a non rimanere sterile pietra da scagliare contro qualcuno.
Viviana Raciti
Twitter @Viviana_Raciti
Visto al Teatro Brancaccino, febbraio 2015, Roma
DONNA NON RIEDUCABILE
Memorandum Teatrale su Anna Politkovskaja
di Stefano Massini
Progetto di e con Elena Arvigo
a cura di Rosario Tedesco