Duncan Macmillan con Lungs, nell’adattamento di Massimiliano Farau in scena al Teatro dell’Orologio. Recensione.
I nostri nonni non si sono preoccupati di mettere al mondo un figlio, l’atto è stato fisiologico, naturale; anche se possediamo la facoltà di pensiero e proviamo emozioni, siamo pur sempre animali, ogni tanto dobbiamo ricordarcelo. Presto o tardi in qualsiasi coppia nasce il bisogno di unirsi al fine di procreare una futura vita sintesi delle due precedenti, e così via ancora e ancora… Popolando una terra vergine da riempire, abitare, colmare, affollare e alla fine saturare: oltre sette miliardi di individui, oltre quattordici miliardi di piedi che calpestano un suolo depauperato, quattordici miliardi di mani stritolanti beni di consumo e quattordici miliardi di polmoni trasportanti ossigeno ed espellenti anidride carbonica, inspirando ed espirando dalle 21.000 alle 28.000 volte al giorno, tutti insieme contemporanemente, all’unisono, in ogni continente, nazione, città, casa, centimetro quadrato, su e giù, giù e su….Aria!!!!
In un’intervista rilasciata lo scorso settembre al quotidiano britannico online The Guardian Duncan Macmillan, giovane scrittore e regista inglese, classe 1986, vincitore di numerosi premi (Best New Play at the Off West End Awards, the Big Ambition Award, Old Vic e del Pearson Prize) afferma davanti a una tazza di caffè: «There’s nothing I can do in my life to compensate for the fact that the world would be better without me in it»(«Non esiste nulla che potrei fare per compensare il fatto che il mondo starebbe meglio senza di me»). Statement decisamente lapidario, senza mezzi termini e con un pizzico di humour inglese, nel leggerlo non possiamo far altro che sentirci messi con le spalle al muro, ridimensionati. Non siamo più i protagonisti della storia, anzi non siamo proprio indispensabili, forse dovremmo farci da parte, decisamente. È lo stesso stato d’animo che ritroviamo in Lungs (appunto “Polmoni”) commedia scritta dal drammaturgo britannico e in scena al Teatro dell’Orologio nell’adattamento diretto da Massimiliano Farau con gli attori Sara Putignano e Davide Gagliardini, prodotto dalla Fondazione Teatro Due di Parma che ne ha ospitato la prima nazionale nel mese di novembre scorso. La Fondazione emiliana presenta per la seconda volta in Italia uno spettacolo di successo che ha conquistato i teatri britannici e americani, ricordiamo ad esempio Enron dell’autrice inglese Lucy Prebble.
La scena è vuota e freddamente illuminata, le luci puntate sui due protagonisti li mostrano senza filtro, la vicinanza è quasi imbarazzante – non perché la Sala Gassman sia piccola – ma perché alla prima battuta/reazione di lei la nostra presenza diventa di troppo: in un istante siamo tutti terzi incomodi. Ci troviamo in fila alla cassa dell’Ikea e il ragazzo chiede alla sua compagna, con la quale convive senza essere sposato, di avere un figlio. Lei risponde mettendosi sulla difensiva, lui cerca di riavvicinarla, lei ormai è in preda al panico, lui non voleva certo agitarla; se succede è una cosa naturale, ma non oggi, non adesso e non in questo mondo. Avere un bambino ha un «impatto ecologico pari all’emissione di 10.000 tonnellate di Co2» e per porre rimedio a questa catastrofe ambientale si dovrebbero «piantare all’incirca diecimila alberi»; lo sa bene la giovane coppia preoccupata per l’ecosistema, precisa nella raccolta differenziata e sempre dedita alla lettura di testi, alquanto ansiogeni, riguardanti il destino del pianeta Terra. Nella densità di una scrittura dal ritmo vertiginoso e acrobatico, tra sussurri e grida, carezze e schiaffi, ripercorriamo la parabola di una storia come tante, nella quale la paranoia di lei e, a tratti, le superficialità di lui ci fanno odiare l’immagine riflessa di noi stessi. Il tempo scorre incessantemente, i movimenti degli attori sono diretti da una perfetta drammatugia scenica, per la quale basta voltarsi di spalle, fare un passo, abbracciarsi o respingersi per rendere in maniera organica il cambio di scena, cosicché in un gesto sono condensati giorni, mesi e anni. Tuttavia non vi è apnea, ogni secondo di questa storia è fisicamente rappresentato da Putignano (già vista e apprezzata in Verso Occidente) e Gagliardini (molti lo ricorderanno nel film Smetto quando voglio); la recitazione è impeccabile, sostenuta per tutta la durata di un’ora e quaranta minuti, senza alcun cedimento, capace di sviluppare un naturalismo in cui non è visibile un eccesso di studio accademico.
Seppure i due temi centrali dello spettacolo siano l’amore e l’ambiente – caro a Macmillan che attualmente sta lavorando a 2071, progetto incentrato sul tema del cambiamento climatico scritto insieme allo scienziato Chris Raplay, professore all’ University College di Londra – la scrittura stessa della commedia li travalica utilizzandoli come strumenti utili ed efficaci in quanto emozionalmente coinvolgenti, per costruire una riflessione più ampia e complessa. L’ambiente diventa infatti il pretesto strutturale, il reagente per analizzare nel sistema coppia un “antropocentrismo in crisi”: il centro si è spostato e le nostre ansie e paure non sono altro che la manifestazione della perdita di un ruolo.
Ci piace pensare che registi come in questo caso Farau, aiutati da esperti come Matteo Colombo, la cui traduzione dall’inglese è fluida e senza calchi, nel mettere in scena testi stranieri impregnati di filosofie altre, ci stiano offrendo un dono, un’occasione esperienziale e di confronto, e noi non possiamo sprecarla.
Lucia Medri
Twitter @LuciaMedri
Visto al Teatro dell’Orologio, marzo 2015
LUNGS-POLMONI
Traduzione: Matteo Colombo
Attori: Sara Putignano, Davide Gagliardini
Regia: Massimiliano Farau
Responsabile allestimenti: Mario Fontanini
Capo elettricista: Luca Bronzo
Elettricisti: Gabriele Lattanzi, Davide Sardella
Macchinisti: Massimiliano Colangelo, Maurizio Mangia
Fonica: Andrea Romanini
Sartoria: Simone Jael Hofer, Chiara Teggi
Direzione di scena: Chantal Viola
Produzione: Fondazione Teatro Due di Parma