Cucolo Bosetti al Centro Culturale Il Funaro di Pistoia con un primo studio esito di residenza. La recensione
Ad attirare l’attenzione dello spettatore di MM&M di Cuocolo Bosetti sono due ordini di realtà antitetici: un vecchio tavolo in legno, posto al centro della scena e colmo di frutta, carte geografiche, libri, fotografie; e i close-up degli oggetti posti sul tavolo, proiettati sulla parete in fondo alla sala, trasformata in un gigantesco schermo cinematografico. Da un lato il manufatto, la concretezza, la tangibilità, dall’altro l’immagine, la finzione, l’astrattezza del fantasma: il tavolo e lo schermo rivelano i segni di un’opposizione tra “realtà e “apparenza” ormai irrimediabilmente anacronistica. A più di cento anni dall’invenzione del cinema, la virtualità assume un ruolo preminente rispetto alla corporeità: e in MM&M il tavolo e lo schermo sembrano non guerreggiare, ma dialogare, cercare un nuovo un equilibrio che superi questa dicotomia a tutto vantaggio di una dimensione ulteriore, in cui i piani si fondono e si confondono. È una trasfigurazione della celluloide in carne e sangue che fagocita stili e filosofie, brandelli di vita vissuta e squarci di quella sognata.
Presentato in forma di studio negli spazi del Centro Culturale Il Funaro di Pistoia, (leggi l’intervista) MM&M. Movies, Monstrosities and Masks del duo Cuocolo/Bosetti costituisce l’esito di una residenza tenuta nel centro a partire dal mese di febbraio e aprirà a giugno la XX edizione del Festival delle Colline Torinesi: ma ci si domanda cosa possa mutare da questa anteprima alla versione definitiva, di fronte alla potenza espressiva e alle acute riflessioni che la compagnia italo-australiana è riuscita a generare.
Ancora fuori dalla sala, siamo invitati a indossare delle radio guide — quasi una cifra stilistica degli spettacoli di Cuocolo/Bosetti — e ad ascoltare le note del tema di La donna che visse due volte, capolavoro di Alfred Hitchcock musicato da Bernard Hermann; ci ritroviamo così a vagare per il patio e a soffermarci sulle locandine dei vecchi spettacoli di Peter Brook esposte sulle pareti. Le storie e le immagini sembrano intrecciarsi durante l’attesa e generare così nuove suggestioni, uniche e personalissime. Quando, dentro la sala, Roberta Bosetti e Renato Cuocolo — per la prima volta presente in scena con la compagna d’arte e di vita — si siedono ai lati opposti del tavolo, Hitchcock torna a essere omaggiato con una citazione da Il delitto perfetto: un paio di forbici, ripreso dalla videocamera manovrata da Cuocolo, si staglia sulla parete, ingrandito centinaia di volte. E tuttavia il duo sembra capovolgere l’estetica del regista inglese, acuto indagatore della psiche di uomini e donne ordinari posti di fronte a situazioni eccezionali e straordinarie, perché MM&M scruta piuttosto nell’abisso di straordinarietà implicito nelle ordinarie esistenze di ciascuno. A essere narrata da Roberta Bosetti — commovente, ironica, sognante, in una performance difficile da dimenticare — è d’altro canto la sua vita, in un monologo inframmezzato dai ricordi che la legano al mondo del cinema. L’infanzia a Vercelli viene così filtrata alla luce dei classici dell’animazione, la relazione con Cuocolo appare traslucida nei film della golden age di Hollywood, e una maturità emotiva e artistica trova in Ingmar Bergman il suo contraltare. «Ho un teatro nella testa», sentiamo ripetere spesso in un’ininterrotto flusso di coscienza, ma il riferimento ai grandi classici della settima arte, siano essi Biancaneve o Viale del tramonto, suona come un invito mosso allo spettatore ad aggiungere i propri ricordi alla narrazione, ad amalgamare le proprie esperienze con quelle descritte, in una continua, e potenzialmente infinita, moltiplicazione delle identità, delle memorie, delle prospettive.
Mentre la telecamera manovrata da Cuocolo riproduce sulla parete frame di film celebri, sovrapponendoli e mischiandoli, ascoltiamo Bosetti tratteggiare i baci, gli incontri, i lutti che hanno costellato una vita, e invocare con essi Mae West, Barbara Stanwyck, Gloria Swanson; quasi fossero divinità laiche, chiamate al compito di donare veridicità al racconto del quale sono state inconsapevoli testimoni. Il cinema, sembra alludere MM&M, non può più essere iscritto nel rassicurante ambito della finzione, ma in quello perturbante del creatore di realtà: è un’incarnazione. Nel saggio del 1960 La realtà. Tesi per un simposio sui mass media un profetico Günther Anders sosteneva che «noi formiamo il mondo secondo l’immagine delle sue illustrazioni: ogni Johnny bacia come Clark Gable»; con buona pace di Platone, mimesi, metessi e parusia sembrano concetti antiquati. Sono il mondo e gli uomini, in un processo di mimesi della mimesi, a diventare immagine delle proprie immagini ed è stato il cinema, dissimulatosi, a farsi modello del reale, a dettare legge sui comportamenti e sulle idee, a istruire nelle educazioni sentimentali, a frammentare il flusso emotivo, a segnalarne i momenti salienti.
«Sono entrata in uno spettacolo e non sono più uscita», pronuncia un’incantata Bosetti. Non è solo un riferimento al mestiere dell’attrice, ma la lucida presa di coscienza di un paradosso. Quello di una vita in cui la finzione sembra aver preso il sopravvento sulla realtà, e in cui, tuttavia, è stato questo processo a conferirle un’inconfutabile verità. Una verità struggente e magnifica.
Alessandro Iachino
Visto al Centro Culturale il Funaro, Pistoia, febbraio 2015
MM&M. MOVIES, MONSTROSITIES AND MASKS
Anteprima in forma di Studio
regia Renato Cuocolo
con Roberta Bosetti