Colangeli e Montanari insieme ne “Il più bel secolo della mia vita” in scena al Teatro della Cometa. Recensione
Sono nata alle dieci e trentacinque di una mattina d’inizio estate al “Gemelli”, ancora per poco erano gli anni ottanta. Mia madre, L. D., anche lei romana, è nata invece in primavera in un quartiere di periferia da D. C., che nei primi anni venti del Novecento giunse come l’ultima di dodici figli in un pigro martedì di fine agosto. Andare a ritroso nel tempo, seguire le tracce di una storia, scoprirne i passaggi, percepirsi come parte integrante di una linearità. Se invece non fosse così, se guardandoci indietro ci fermassimo al nostro singolo anno e giorno di nascita e fossimo solo noi, senza madri, né nonne, fratelli o sorelle? Prima di noi, un certificato. Punto.
Forse non tutti sanno che nel nostro paese, circa 400.000 figli/e adottivi/e non riconosciuti/e alla nascita non possono conoscere le proprie origini biologiche fino al compimento del centesimo anno di età come sancito dall’ art.28 Legge 184/83. Lo scorso settembre, la Corte di Strasburgo ha stabilito che «la legge in questione viola la Convenzione Europea dei Diritti Umani perché non dà modo a chi è stato abbandonato di ottenere alcun tipo di informazione sulle proprie origini»; la Corte Costituzionale con la sentenza n. 278 del 22 novembre 2013 attesta inoltre che «il diritto a conoscere le proprie origini contribuisce, dunque, in maniera determinante a delineare la personalità di un essere umano e rientra, quindi, nell’ambito dei principi tutelati dall’art. 2 della Costituzione, che nella specie risulterebbero violati». Due sono gli organi che attualmente si battono per la modifica di questa “follia”: da una parte il Comitato nazionale per il diritto alla conoscenza delle origini biologiche – attivo da sette anni «ha conosciuto una crescita continua e un grande successo nel far conoscere fra loro, riunire e organizzare tutti gli adottati di Italia» – e dall’altra, l’Associazione nazionale figli adottivi e genitori naturali, F.A.E.G.N., la prima a nascere quindici anni fa con l’intento di «offrire assistenza, aiuto morale e materiale informativo alle persone nella condizione, a loro conosciuta, di figli adottivi», chiamati anche N.N. o “fratelli di culla”.
Entrambe, sia il Comitato che l’Associazione, hanno deciso di sostenere lo spettacolo Il più bel secolo della mia vita, in scena in questi giorni al Teatro della Cometa, scritto e diretto da Alessandro Bardani e Luigi di Capua, interpretato da Giorgio Colangeli, Francesco Montanari e Maria Gorini. Il testo, arguto, divertente, leggero e intelligentemente scritto, affronta questa tematica attraverso la presentazione di due storie, due biografie, l’una antitetica all’altra, incarnate rispettivamente dai due attori. Il punto di vista sulla problematica non è quindi univoco ma scisso nel carattere di Gustavo (Colangeli), impossibilitato a muoversi e perciò costretto su di una sedia a rotelle, ha 99 anni e sei mesi, mezzo anno lo separa dal conoscere, dopo un secolo, il nome di sua madre ma poco gli importa, lei lo ha abbandonato e per lui non c’è mai stata. E quello poi di Giovanni (Montanari), trentenne affezionato alla causa che si batte per ripercorrere le sue origini, per poter avere il diritto di sapere chi è lui, da dove viene e soprattutto qual’è il suo corredo genetico per prevenire le possibili malattie alle quali potrebbe andare incontro. Camicia hawaiana, canotta gialla, jeans ed espadrillas per Gustavo; pantaloni felpati, mocassino, camicia, gilet e borsello per Giovanni. L’anziano è il giovane aggiornato su tutto, mode, hi-tech, fast food e donne, il ragazzo è, al contrario, vecchio dentro, bloccato in assurde ipocondrie verso la realtà che lo circonda. Due specchi dunque, costruiti grazie a una drammaturgia testuale articolata su vari livelli di analisi e interpretazione di una questione complessa, sfaccettata, singolare e per questo diversa a seconda degli individui. Gli attori agiscono queste dualità opposte e contrarie con la forza dell’ironia e del sarcasmo, ma anche con sensibilità e discrezione tenendo lo spettatore in bilico tra l’esplosione del riso e il silenzio della commozione. Personaggi che come binari, apparentemente paralleli, si incontreranno nel finale a uno snodo comune e condiviso. Non è da sottovalutare inoltre il ruolo della ragazza di Giovanni, interpretato da una precisa e intensa Maria Gorini, la quale si configura come il terzo elemento necessario per l’evolversi del rapporto tra i due fratelli di culla.
La dialettica di questo lavoro risulta essere veicolo di informazione, riflessione e conoscenza di una quantomai complessa questione giuridica irrisolta, e attraverso il linguaggio di una moderna commedia all’italiana – ricordandoci inoltre i tempi d’oro di questo genere con autori come Germi, Monicelli, De Sica e anche il primo Verdone – dialoga con gli spettatori tutti, celando il riso amaro dell’oggi.
Lucia Medri
Twitter @LuciaMedri
visto al Teatro della Cometa-marzo 2015
IL PIÙ BEL SECOLO DELLA MIA VITA
scritto e diretto da Alessandro Bardani e Luigi di Capua
collaborazione al testo Vita Rosati
aiuto regia Ileana Nastasi
interpreti Giorgio Colangeli, Francesco Montanari
con Maria Gorini