Elisa Turco Liveri e Chiara Condrò nel progetto Exeresi visto al Teatro di Quartiere, la recensione
Asportare, dunque portar via qualcosa dal suo luogo deputato, oltrepassare i campi semantici e accostarne due non opposti (quindi speculari), ma più lontani perché diversi. C’è tutto questo in Exeresi, ultimo progetto del duo Turco Liveri/ Condrò; nell’averlo visto, ancora una volta, fuori: oltre il circuito ufficiale, oltre il famigerato Raccordo Anulare che ingloba la Roma satura degli ottanta teatri. Seguendo uno dei suoi raggi portanti, l’Appia, per salutare forza centrifuga, ci ritroviamo al Teatro di Quartiere, realtà nata per proporre un’alternativa al teatro da provincia che abbia le stesse qualità del teatro da città. Superata l’idea iniziale di coinvolgere tutto il territorio dei Castelli Romani, Teatro di Quartiere, al suo secondo anno di scommessa, trova il proprio spazio a Castel Gandolfo, sulla base di un progetto ideato dall’attore Claudio Di Loreto. La sua direzione artistica ha previsto una stagione di interessanti compagnie le quali hanno già avuto ampi riconoscimenti nella Capitale ma che, per quel divario di tempi e spazi della provincia, rischiano di esser più difficilmente raggiungibili. Il merito dell’operazione risiede anche nelle formule di trattamento degli artisti – spesso costretti a fare i conti della serva e a trascinare il pubblico con altri mezzi che non siano il semplice e puro fatto dell’essere in scena– che in questo caso vengono accolti con una spartizione democratica dell’incasso (dell’intera stagione e non della serata), equamente distribuito. Una realtà ipoteticamente felice dunque, che però rischia di rimanere troppo nell’ombra se a sostegno di questa non fa seguito anche un altro fondamentale avvicinamento di spettatori e istituzioni, così da riconoscere la possibilità dell’interessante lavoro, anche a costo di scontrarsi con la propria cara e abitudinaria pigrizia.
Di spezzare il paradosso degli opposti si parlava, ed è quel che prova a fare Exeresi, con due figure enormemente distanti tra loro le cui storie trovano un segno comune: l’asportazione del seno. Se avrete storto il naso a sentir parlare assieme di Sant’Agata (Elisa Turco Liveri curva e stralunata) e Angelina Jolie (un’iperattiva Chiara Condrò), vi comprenderemo. E tuttavia è ancora quel senso di pigrizia che ci spinge a non considerare la sorprendente riflessione tra i mondi delle due protagoniste (religioso l’uno, cinematografico l’altro). A differenziare le due azioni naturalmente contribuiscono molti fattori: oltre alla temporalità, sicuramente la scelta, coatta nel caso della martire mentre in quello della star hollywoodiana consapevolmente legata a questioni di salute. Si potrebbe dire che le due figure non possano esser messe a confronto. Ma la sfida riuscita è in grado di evidenziare sul piano intellettuale i diversi concetti di divinità e di sacrificio, come rami troncati di uno stesso albero, metafora utilizzata più volte sia pittoricamente che dal vivo. La composizione della scena del resto supporta la dimensione astratta dove la compresenza di queste due figure è separata dalla platea per mezzo di un velatino: oltre a fungere da schermo per delle proiezioni (a cura di Salvatore Insana, ideatore anche del progetto) agisce quella distanza per cui le diverse prospettive possono congiungersi in una immaginaria sala d’ospedale, dichiarata dalla presenza di due flebo luminescenti e da un terzo personaggio, un dottore-esecutore (Manuel Cascone) che, quasi da maestro di un gioco medievale, conduce la scena e in alcuni casi agisce concretamente i movimenti delle due, non più personaggi ma icone di un tableau vivant. Ogni cosa quindi si può giustapporre in equilibri di forme, dai quadri proiettati (quello qui presentato è tratto dal Martirio di Sant’Agata di Sebastiano del Piombo) ai cori di chiesa ascoltati durante l’operazione, dalla potatura − che rigenera la pianta− fino alla mastectomia. Il percorso, complesso, per il quale è necessaria una sempre maggiore scorrevolezza tra i diversi piani di segno e di senso, trova il suo luogo di riflessione in noi che guardiamo, senza poterne così definire una conclusione. La forza sta proprio in questa apertura: forzando la mano tra gli stereotipi, si chiede di considerare ciò che accade in scena innocentemente, senza il filtro del contesto; provare a guardare senza pretendere di esser arrivati.
Viviana Raciti
Twitter @viviana_raciti
Visto al Teatro di Quartiere, febbraio 2015
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un progetto di Turco Liveri/Condrò
da un’idea di Salvatore Insana
di e con Manuel Cascone, Chiara Condrò, Elisa Turco Liveri
musiche Manuel Cascone
disegno luci Giovanna Bellini
immagini Salvatore Insana