Prosegue il Festival Focus Jelinek, che porta la grande scrittrice sui palchi italiani. Le Amanti di Teatrino Giullare. Recensione
C’era una volta… Un paese immerso in una valle di inusitata bellezza. E case graziose nelle quali vivere in tranquillità. E lavoro per tutti, e matrimoni da celebrare, e figli da allevare. C’erano una volta Brigitte e Paula, desiderose più di ogni altra cosa di amare. E magari di essere anche riamate − ma questo aspetto non è poi così fondamentale, perché si sa che l’amore è una prerogativa muliebre e che gli uomini, in fondo, pensano soltanto a una cosa… C’erano una volta sogni da coronare: sogni banali, comuni, alla portata delle fragili mani delle due donne. Né draghi né stregoni ostacolavano la realizzazione di questi desideri: a materializzarli sarebbero bastati uno sguardo degli amatissimi Heinz e Erich e una promessa di felicità. Ma l’incantesimo che le nostre eroine dovevano affrontare era impossibile da spezzare: perché l’essere donne è una maledizione che non offre scampo alcuno.
È una fiaba quella narrata da Elfriede Jelinek nel romanzo Le amanti: una fiaba nera, crudele e sarcastica, il cui fine non è lieto, e nella quale i tipici stilemi favolistici − la struttura ciclica del racconto, con il conclusivo ricomporsi dell’equilibrio iniziale, o il linguaggio neutro, privo di introspezione psicologica− sono il paradossale mezzo con cui affrontare una storia di atroci violenze e meschini soprusi. Un materiale incandescente, per di più non direttamente scritto per il teatro, quello maneggiato da Teatrino Giullare, compagnia emiliana composta da Giulia Dall’Ongaro ed Enrico Deotti che tra Bologna, Rimini, Faenza e Casalecchio di Reno sta aggiungendo un tassello al denso programma del Festival Focus Jelinek. Quel che stavolta è il risultato di una sfida, come rivelato dal duo in un colloquio successivo allo spettacolo, si è occupato anche di superare le ritrosie della stessa Jelinek, inizialmente contraria a qualsiasi riduzione scenica dei suoi romanzi. Fu solo l’assicurazione che i personaggi non sarebbero stati interpretati da attori “in carne e ossa” a convincere la scrittrice premio Nobel 2004 ad acconsentire all’operazione: e noi spettatori le siamo grati, perché il risultato è magnifico e suggestivo. Coprodotto da Teatrino Giullare e Festival Focus Jelinek, lo spettacolo ha inaugurato martedì 13 gennaio la stagione 2015 del Teatro Studio Krypton, intitolata ars@labor.
Il ricorso agli attori artificiali, sul quale si fonda la ricerca di Teatrino Giullare, sembra sposarsi perfettamente non solo con le volontà di Jelinek, ma anche con l’atmosfera al contempo tragica e incantata del testo. Davanti ai nostri occhi un gran numero di scatole di cartone, di varie dimensioni, costituisce la scenografia modulabile sulla quale Dall’Ongaro e Deotti muovono due bambole a grandezza naturale e alcune maschere: creazioni, queste, di Cikuska, nom de plume dietro il quale si cela la stessa Dall’Ongaro. È la sua voce a narrare le vicende di Brigitte e di Paula, e la collisione tra il loro impulso d’amore e un mondo nel quale alle donne sono riservati i compiti di soddisfare sessualmente i mariti, di sfornare cibo e figli, di lavorare in casa o in fabbrica. Se da un lato le aspirazioni di Brigitte e Paula consentono loro di avere un corpo e di muoversi nello spazio scenico, seppur sotto forma di bambole, Heinz, Erich e gli altri membri delle due famiglie sono ridotti a semplici maschere: chiuse dentro le scatole, queste teste mozzate diventano metafora delle asfittiche esistenze e dei grigi, squallidi ruoli ai quali la quotidianità ha incatenato queste vite.
Su tutti regnano sovrani Dall’Ongaro e Deotti: come divinità ineffabili e lontane o burattinai incomprensibili, i due muovono le bambole, aprono le scatole e donano voce ai ridicoli, «insignificanti» protagonisti della storia. Il destino dei personaggi è, letteralmente, nelle loro mani: ma si tratta di una sorte imponderabile e beffarda, non di uno scopo o di un orizzonte da raggiungere. Perché «se qualcuno vive un destino, allora non qui»: nel paese di queste amanti, tutt’al più, «se qualcuno ha un destino, è un uomo; se qualcuno riceve un destino, è una donna». La narrazione, tuttavia, non indugia nel dolore: la brillante drammaturgia firmata dalla compagnia, in linea con la poetica di Jelinek, gioca volutamente con una glaciale e distaccata ironia, acuita sia dalle frequenti ripetizioni − i capelli di Brigitte scambiati per «lucide e mature castagne», o la lunga formula descrittiva del paese, con cui si apre e si chiude lo spettacolo− sia da un efficace uso dello strumento vocale. Deotti modula così una varietà di caratteri maschili, rozzi e violenti, accentuandone sempre gli aspetti macchiettistici e tragicomici; gli fanno da contraltare le femminilità, di volta in volta fragili o crudeli, plasmate da Dall’Ongaro.
Come in ogni fiaba che si rispetti, una nascita consacrerà la raggiunta felicità: o meglio, una condizione che ci ostiniamo a chiamare così. E il suono di un carillon invaderà lo spazio: ma saranno soltanto i miraggi con cui un illusorio Amore si prenderà gioco di Brigitte e Paula. A nascere non sarà Hans, né Friedrich o Karl, bensì Susanne: e il suo destino, come è facile immaginare, non sarà nelle sue mani.
Alessandro Iachino
visto al Teatro Studio Krypton, Scandicci, gennaio 2015
LE AMANTI
dell’omonimo romanzo di Elfriede Jelinek
Interpretazione, Regia, Drammaturgia Teatrino Giullare
Traduzione italiana Valeria Bazzicalupo
Elementi scenici Cikuska
Produzione Teatrino Giullare e Festival Focus Jelinek
con il sostegno della Regione Emilia Romagna
Si ringraziano ERT – Emilia Romagna Teatro Fondazione e Comune di Sasso Marconi
Un ringraziamento particolare a Francesca Zarpellon