Teatri Uniti. Al Teatro Vascello una festa con I giocatori di Enrico Ianniello. Recensione
In epoche magre dell’offerta culturale, almeno per ciò che riguarda il teatro che si fa, Roma tende a far festa e celebrare il teatro che si è fatto, sia del tempo lontano che ricorre in anniversari di memorie da rinverdire sia del tempo più prossimo, ospitando produzioni di spettacoli che hanno fatto il giro d’Italia e a fine corsa gli viene concessa una passerella romana di una minima ma necessaria continuità. In tale contesto ha davvero molta importanza la festa – che poi festa, celebrazione, non è – organizzata dal Teatro Vascello per Teatri Uniti, la storica formazione fondata a Napoli nel 1987 grazie all’unione di movimenti artistici che avevano fatto l’avanguardia tra i Settanta e gli Ottanta come Falso Movimento di Mario Martone, Teatro dei Mutamenti di Antonio Neiwiller e Teatro Studio di Caserta di Toni Servillo, dando vita a una delle compagnie che ha esportato più teatro italiano nel mondo e che ha trovato sempre il modo di diversificare e promuovere un’offerta teatrale adatta a ogni tipo di pubblico.
Nelle due settimane di programmazione – ancora fino al 22 febbraio – si susseguono incontri, proiezioni di film e documentari, ma soprattutto è la scena ad aver chiamato al confronto diretto, riportando finalmente a Roma I giocatori, uno spettacolo da non perdere visto in data secca per Le vie dei festival 2014 e la cui drammaturgia originale, del catalano Pau Mirò, ha vinto il Premio Ubu già nel 2013. Enrico Ianniello, che ha tradotto e messo in scena la versione italiana, è in scena assieme a Renato Carpentieri, Toni Laudadio e Luciano Saltarelli.
Siamo in un interno napoletano, è la casa del professore (Carpentieri) che ospita i tre amici con cui si ritrova di solito per la partita di carte. Ma questa volta, al tavolo del brandy scadente del supermercato, il precario delle pompe funebri (Ianniello), il barbiere che teme l’addio della moglie (Saltarelli) e l’attore che non azzecca un provino (Laudadio) sono convocati per ben altra urgenza, un fatto che svelerà per loro e per noi di cosa è composto il suolo più profondo: il professore ha bisogno di soldi, ma più di tutto ha bisogno dell’aiuto degli unici amici che ha. Nella necessità e in un rapporto di forze e mancanze che ricorda l’immaginario de Il mago di Oz di Victor Fleming, ecco farsi largo il loro legame a perdere, quella mutua assistenza dei reietti che non sanno del tutto di essere tali, continuano una vita abietta, senza sussulti, in cui è giustificato ogni insuccesso, finché un seme di rivolta non coglierà la cadenza delle ore più infime e li spingerà al passo che tutto potrà cambiare. Ma è poi vero? Si può davvero, cambiare l’ordine dei dadi, il giro del mazzo di carte? Nella metafora Mirò – splendidamente tradotto in un napoletano affabile ed espressivo – innesta speranze e delusioni della vita popolare, anima un meccanismo disperato di chi sa la sconfitta. E gioca ancora.
Ma prima, nella sala che si preparava per la messa in scena, purtroppo con pochi spettatori è stato proiettato il documentario 394 Trilogia nel mondo di Massimiliano Pacifico (visibile integralmente qui e edito in cofanetto da Feltrinelli), dedicato alla tournée mondiale di uno degli spettacoli determinanti per il decennio scorso, quella Trilogia della villeggiatura di Carlo Goldoni che ha portato Toni Servillo a ricevere premi e riconoscimenti (Ubu 2007) e un gruppo di attori a sperimentare una formazione inusuale per il tempo presente: la vita di compagnia lungo gli anni di repliche, la continuità dell’esperienza, la ricerca di stimoli duraturi là dove la biologia e la tecnica precorrono l’urgenza. Mentre si apprezzano i luoghi e gli incontri tra New York e San Pietroburgo, tra Madrid e Berlino, a colpire di più sono questi momenti comunitari di contrasto alla solitudine ma che ad essa fanno continuamente riferimento, la tenacia di viaggiatori d’arte che mettono in valigia tutto quel che può starci per una vita da passeggio, contraltare perfetto per la condizione fisiologica di immobilità cui invece li avrà costretti il ritorno a casa, alla ricerca di un nuovo ruolo, di una nuova bellezza ad investirli. C’è questo fascino nella condizione dell’attore, poesia di piccola posta che si fa slancio di grandi imprese sui palchi di ogni città attraversata, uomini che diventano eroi, pirati, diavoli e santi e donne che fingono di non sapere l’evoluzione e così misurano il mondo, nella durata di una scena. Attore è una pausa dall’umano, ma dall’umano composta e che pure all’umano si rivolge. Nei lineamenti della sorpresa e del successo s’intravede l’intimità di un desiderio nascosto, animato da venti contrari l’uno all’altro: una folata invita a tornare a casa, l’altra a immediatamente ripartire. Quanti viaggi, da fermo o in movimento, la vita dell’attore.
Simone Nebbia
Twitter @Simone_Nebbia
Teatro Vascello, Roma – Febbraio 2015
I GIOCATORI
di Pau Mirò
con Renato Carpentieri, Enrico Ianniello, Tony Laudadio, Luciano Saltarelli
collaborazione artistica Simone Petrella
traduzione e regia Enrico Ianniello
una produzione Teatri Uniti
in collaborazione con Onorevole Teatro Casertano | Institut Ramon Llul