Slava’s Snowshow e il circo sbarca al Teatro Argentina. Recensione?
Vabbè ma perché scriverne? Non saprei davvero cosa mettermi a raccontare, forse potrei stare lì con il microscopio a cercare qualche briciola di drammaturgia, senza la quale il critico è perso, ma se proprio il critico si fosse perso? Se fosse entrato al Teatro Argentina a Roma e non avesse proprio riconosciuto poltrone le solite persone la distanza dal palco e tutto il resto? Se il critico, dico io, si fosse fatto domande forse sarebbe uscito dalla sala prima ancora che tutto cominciasse, avrebbe temuto il tappeto di neve (?) al posto della moquette rossa e dubitato delle reti di protezione attorno agli incolpevoli lampadari delle balconate, sarebbe fuggito dove fanno il teatro imbevuto che piace a lui, quello con qualcosa – spesso sempre la stessa cosa – da dire.
E se invece stavolta, il critico che era andato a teatro, fosse capitato al circo?
Già, perché gli occhi che hanno iniziato a vedere Slava’s Snowshow sul palco dell’Argentina erano inizialmente gli stessi che si portano a teatro, stabile, il teatro e pure l’osservatore. Quasi immobile, immobilizzato anzi nella sua cadreghina personale da abbonato senza abbonamento, abbonato non allo spettacolo ma alla percezione di ciò che esprime. Ma col passare dei minuti questa ricerca solita, solitaria e solidificata di elementi riconoscibili ha perso fiducia di mezzi e direzione, ha perso i contenuti coscienti e ha invece acquisito vaghezza infantile, una smorfia sfrenata s’è esposta fino a perforare i lineamenti del ghigno adulto e ha liberato quei desideri che di troppi pensieri vanno spesso a morire.
Va bene, dai. Un poco di storia così mi do un tono. Slava Polunin, da una piccola città russa fino a San Pietroburgo, ha cercato in vari modi di non fare il clown ma poi non c’è riuscito, è stato, si può dire, costretto dal proprio talento a lasciare gli studi per costruire case sugli alberi e inventare giochi, meraviglie, illusioni per chi non ne aveva. Ecco, mi sa che l’ho detto. L’arte del clown è una necessità sociale, l’impianto onirico che l’occhio a guardare riconosce nell’occhio truccato è il proprio coraggio tradito, come dire: dai, pagliaccio, ti prego, fai tu quel che io non posso e non so fare, svergogna la mia ritrosia, fatti bambino pure un po’ per me. Dai che una cosa l’abbiamo detta, l’onore è salvo. Ah, la storia, sì. Così nel 1979 dà vita alla compagnia e inizia a girare, su sé stesso e nel mondo, fino ad arrivare nel 1988 in Inghilterra e fare il salto definitivo che lo porta, cinque anni dopo, a raccogliere tutte queste invenzioni in un unico spettacolo, appunto: Slava’s Snowshow (inizialmente chiamato Yellow) e con esso iniziare un numero sconfinato di repliche, mai terminato.
Ora posso tornare in sala? Grazie… No perché mi preme altro, oggi. Dovrei dar conto non già di quel che accade sul palco, ma di quello che vedo in occhi rapiti quando cade neve sulla platea, quando si viene presi di peso e portati sulla scena, quando l’irriverenza fa camminare sul dorso delle poltrone e innaffiare d’acqua a spruzzo la fila delle autorità, fa rubare un telefono mentre si scatta una fotografia, quando poi la tempesta di neve investe ogni angolo di platea e ci si sente in balia, senza più freno, con la bocca e gli occhi chiusi perché non ci entrino i cartocci di carta, pardon, la neve, perché in realtà è carta, ma quella, in verità, è proprio neve. Bisogna dire altro? Bisogna forse mostrare lo sguardo di decenni e settantenni a contendersi palloni enormi che volteggiavano per l’intera area del teatro? Vedere a che altezza riesce a saltare chi non ha mai staccato i piedi da terra? Raccontare la guerra a “palle di neve” tra un critico un direttore artistico e una nota operatrice? No che vi devo raccontare, non c’è modo, l’avrei fatto se fossi stato un critico e invece oggi, mi dispiace, oggi sono solo un ragazzino.
Simone Nebbia
Twitter @Simone_Nebbia
Teatro Argentina, Roma – Fino al 1 marzo 2015
SLAVA’S SNOWSHOW
creato e messo in scena da SLAVA
con Artem Zhimo, Onofrio Colucci, Vanya Polunin, Yury Musatov, Aelita West, Alexandre Frish, Guido Nardin
Lo spettacolo è indicato per i bambini di età superiore agli 8 anni
Bah!?
I miei figli mi hanno portato oggi, 31 -12-2019 a vederlo a Milano. Condivido tutto quanto scritto, non si può raccontare, bisogna esserci.