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Rialto Santambrogio. I motivi di un sequestro

Solo ieri al Rialto Santambrogio tornava il commissariato per porre di nuovo i sigilli dopo quelli, illegittimi, del 2009. Proviamo a fare chiarezza e ipotizzare qualche riflessione sulla politica culturale a Roma presente e futura con Fabrizio Parenti, uno degli animatori dell’associazione culturale assegnataria dello spazio.

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Cosa è successo, Fabrizio? Qual è l’imputazione?

È un’ordinanza di sequestro preventivo del Commissariato Campo Marzo-Trevi, lo stesso che fece ordinanza di sequestro già nel 2009, poi non convalidata e con restituzione degli spazi all’associazione nel 2014, quando il Rialto fu assolto dalla stessa imputazione di oggi in sede processuale, ossia che noi non siamo un’associazione culturale ma un’impresa commerciale. L’unica aggiunta è che lo stabile è in condizioni che non rispettano la sicurezza sul lavoro.

Questa lettura, molto limpida, può dunque dare margini di trattativa?

Ovviamente abbiamo fatto richiesta immediata di dissequestro, ma c’è un’aggravante rispetto alla scorsa volta: allora alcune stanze, sulle quali non c’era ipotesi di reato, furono lasciate in agibilità, mentre ora i sigilli riguardano l’intero primo piano, oltre alla sala teatrale all’ingresso compresi i bagni. Può darsi che un’istanza di dissequestro possa riguardare solo alcuni spazi, ma questo è a discrezione del giudice, avendo già vinto una causa. Ma il problema più grave è che il tempo tecnico della giustizia in Italia potrebbe di nuovo far passare gli stessi cinque anni prima di rivincere un processo, inscenando quel sistema di uccisione per estenuazione oggi molto in vigore, perché soprattutto c’è da tener presente che il presidente dell’associazione, Luigi Tamborrino, è stato denunciato per sequestro di persona, adducendo che nel giorno della riapertura (24-26 aprile 2014 ndr) non si riusciva a uscire dal Rialto; questo comporterà una battaglia legale pazzesca, da sostenere chissà con quali economie, ma soprattutto il dissanguamento di un’esperienza di militanza attraverso anni di annullamento delle attività, come già ha rischiato di accadere nei cinque anni di chiusura 2009-2014.

Si parlava in quegli anni di un nuovo spazio assegnatovi dall’amministrazione, nella zona di Porta Portese. Che ne è stato?

Noi non abbiamo mai fatto resistenza per gli attuali locali del Rialto, abbiamo sempre tenuto una posizione di mediazione rispetto agli spazi, proprio in virtù della promessa di spostamento, addirittura incassando su molti punti l’appoggio verbale dei dirigenti del commissariato. Dello spazio attuale noi capiamo le criticità, ma nel frattempo la delibera che ci riguarda è ferma per la totale disattenzione di chi dovrebbe occuparsene, ossia gli assessori e le commissioni delegate che non firmano il provvedimento.

Perché non firmano? C’è un motivo?

Questo bisognerebbe chiederlo a loro, a chiunque non operi per la comunità, perché oltretutto la delibera è senza oneri aggiuntivi per l’amministrazione e rientra in un’operazione di accordo con alcuni costruttori. Per questo io credo si sia di fronte a un problema politico: lo sappiamo dalle cronache, ci sono molte indagini in corso su questa città che riguardano rapporti poco chiari di alcune amministrazioni passate con diversi centri culturali, il Rialto con questo non ha né ha avuto nulla a che vedere ma questa preoccupazione determina una sorta di fuga della politica, per paura di una compromissione francamente visionaria ma che è un dato oggettivo. Noi non abbiamo alcun appoggio politico, anche quei pochi che ci sostengono sanno che possiamo lavorare insieme, dialogare, ma non siamo arruolabili in una linea di politica culturale che non sia precisamente la nostra.

Una volta ci si chiamava “autonomi”…

Esatto! È questo il danno maggiore: in questa città sembra impossibile un discorso di autonomia culturale che invece in altre metropoli – Milano, ad esempio – è un punto all’ordine del giorno. Noi non siamo stati ricevuti da nessuno fino a questo momento: dall’assessore Marinelli, cui abbiamo chiesto un appuntamento in varie occasioni, ufficialmente al suo gabinetto, e non abbiamo mai ottenuto nulla, ma neanche dall’assessore al patrimonio Cattoi e neppure dal Sindaco. Perché questo? Eppure noi non abbiamo capi di imputazione gravi come spaccio, risse, violenza di alcun tipo, ma soltanto uno relativo alle persone che entrano e escono da questo posto.

Paradossalmente è per le amministrazioni il problema maggiore perché non possono agire con armi convenzionali, classiche.

Però così non è riconosciuta una funzione necessaria: al tempo in cui c’era Flavia Barca all’assessorato, con la consigliera Michela De Biase, c’erano incontri in cui si parlava di sistema culturale, di mettere soggetti differenti in rete, tutte cose che non sono mai state fatte. Noi saremmo ben felici di lavorare per un Rialto “pubblico”, non dobbiamo per forza rivendicare distanza dalle istituzioni, ma questo non avviene.

Quindi anche in questo caso, come nel 2009, né l’Assessore né il Sindaco sapevano nulla del sequestro. Non ci sono state note ufficiali. Confermi?

Nulla! Come ogni volta che abbiamo cercato un dialogo. Si dimostrano interessati a parole ma poi quando avvengono i fatti, anche questi fatti qui, sono improvvisamente distratti. Almeno dicessero apertamente che sono in disaccordo con tutto quello che facciamo, sarebbe più accettabile. E invece paradossalmente non ci contestano nulla proprio perché neanche ci vedono.

Allora facciamo un gioco, provo a costruire un teorema. Tu fermami se il gioco supera la realtà delle cose. Mettiamo che io abbia in quota ai beni del Comune uno stabile ambito e per questo scomodo, di grande valore economico e per questo anche oneroso da tenere commercialmente fermo. All’interno c’è un’associazione che non mi dà molti motivi per cercare uno scontro aperto, come posso fare? Continuo il gioco: mettiamo che io mantenga con loro un dialogo di facciata ma che sotterraneamente chieda alla Questura di intervenire in “autonomia” per verificare ogni norma che riguardi gli assegnatari dello spazio. Se viene riscontrato un sistema di ordine pubblico e di sicurezza sul lavoro io sono pertanto autorizzato a considerare improprie le attività che si fanno all’interno, pur ritenendole valorose, e a doverle per il bene di tutti impedire. Quando quel bene per tali motivi diverrà obsoleto perché appunto privo di alcune autorizzazioni fondamentali all’utilizzo, allora privarmene e metterlo in vendita non sarà poi così scandaloso, ma una normale manovra di assestamento di bilancio e di compravendita immobiliare. Quando è finito il gioco ed è cominciata la realtà?

È possibile tutto: questo immobile entra ed esce dalla lista di questi beni in vendita, pubblicate dai giornali. Ma noi abbiamo ricevuto una notifica chiara, che non ci dà molti dubbi circa la reale intenzione: il complesso di Sant’Ambrogio alla Massima è ambitissimo, primi fra tutti i vicini della comunità benedettina che è molto interessata ad acquistare lo spazio, così come molti privati. Quindi è anche possibile che alcuni accordi siano già stati presi in precedenza, non stupirebbe più di tanto. Ma il problema principale è il commissariamento di Roma che è sotterraneamente in atto da quando il governo ha erogato i soldi per il cosiddetto “Salvaroma”. In questa città c’è, c’era, il maggior numero di spazi occupati, mentre noi non siamo occupanti ma assegnatari, infatti il Comune non ci ha dato avviso di sgombero ma di sfratto. Da quel momento però è come se l’attività del Sindaco si fosse fermata rispetto a questo dialogo con il territorio indipendente e la gestione fosse passata in altri uffici. E questo è inammissibile e segna un’involuzione molto profonda della democrazia.

L’Arci Roma in una nota afferma che «chi amministra i beni pubblici deve prendere coraggio e combattere al nostro fianco». Ma questo rapporto con un soggetto terzo come il circuito Arci, capace di instaurare un rapporto di dialogo istituzionale, non pare aver cambiato molto le cose.

Purtroppo no, molte cose sono state fatte in questi mesi per l’adeguamento, anche con l’aiuto dell’Arci Roma che ha messo addirittura una sede nazionale da noi. Eppure non è bastato a fermare questo vero e proprio affronto al loro lavoro di mediazione, decisamente più affinato del nostro in questi anni.

Questi sigilli cosa mettono a rischio e quali sono le prossime azioni che pensate di compiere?

C’è un’attività interna poco nota di laboratori, residenze di spettacoli che vanno a debuttare anche in luoghi istituzionali e che dalle istituzioni non hanno sostegno sul piano concreto, di creazione pura e quel ricambio generazionale che avrebbe portato a maggio a un particolare festival in cui giovani artisti sarebbero stati sostenuti da “tutor” più affermati. Ora c’è da salvaguardare queste attività, ma soprattutto un sostegno di massa innanzitutto tramite la pagina Facebook di Rialto Roma per dimostrare che c’è attenzione, chiederemo una “bombing mail” all’assessorato, vorremmo si creasse un caso perché è emblematico di un disegno più generale di uno spegnimento silenzioso di Roma. Lanceremo anche una conferenza stampa a brevissimo perché tutti gli artisti che hanno trovato una casa ora sono sotto sfratto. Io di questo sono fiero, di questo non si può più tacere.

Simone Nebbia
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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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