Il sindaco del rione Sanità di Eduardo De Filippo, andato in scena al Teatro Quirino con Eros Pagni e la regia di Marco Sciaccaluga. Recensione
È appena terminato l’anno delle celebrazioni eduardiane nel trentesimo della sua morte e sul palcoscenico del Teatro Quirino arriva Il sindaco del rione Sanità. Prodotto in associazione dagli Stabili di Genova e di Napoli, lo spettacolo, all’inizio della sua tournée nazionale, ha debuttato lo scorso giugno al Napoli Teatro Festival con la regia di Marco Sciaccaluga e con Eros Pagni nel ruolo del protagonista. Testo complesso questo del 1960, che proprio al Quirino esordì fra apprezzamenti per l’Eduardo De Filippo regista, plausi per la sua interpretazione e prime circospezioni nei confronti dell’opera, a seconda dei casi confermatesi o smentitesi nel tempo. Il sindaco, ispirato a una persona realmente esistita, un tale Campolungo, che spesso andava a trovarlo in camerino dopo le repliche e lo stimava al punto che organizzò un funerale in differita con tanto di bara vuota dopo quello di Roma, resta a ogni modo uno dei più complessi tra i personaggi dell’autore, tra i pochissimi, se non l’unico, a essere stato pensato e de-scritto diverso da Eduardo – allora sessantenne – così abituato a cucirsi addosso per età, corporeità e presenza “la parte” («I settantacinque anni dell’uomo sono invidiabili: è alto di statura, sano, asciutto, nerboruto. La schiena inarcata gli conferisce un’andatura regale; il colorito bronzeo della sua pelle darebbe più risalto al bianco vivo degli occhi, se un senso di difesa istintiva non lo costringesse a sorvegliare, più che a guardare, intorno a sé appesantendogli le palpebre, come se avesse perennemente sonno […]»).
Antonio Barracano, il sindaco appunto, esercita nella Sanità una funzione di controllo: sorta di detentore di un governo parallelo, amministratore delle vicende del rione, è la personificazione scenica di un camorrista di vecchio stampo che distingue tra «gente per bene e gente carogna». In una sorta di ribaltamento del sistema legalitario, consapevole che chi «tiene santi» va in paradiso e chi non ne tiene «viene da me», Don Antonio si avvale dell’aiuto di Fabio Della Ragione, un medico che, esasperato e attanagliato da una volontà di fuga frenata da minacce velate condite di indecisione, è sostanzialmente costretto da anni a ottemperare ai risultati di sparatorie e regolamenti di conti per evitare le denunce e le conseguenze penali che l’andare in ospedale comporterebbero ai “contendenti”. Attorno al sindaco una forma di rispetto generalizzato destinato ben presto a consumarsi in una fine con il sapore della disillusione nella spirale di un inferno fin troppo terreno che «gira a vuoto». Quando Rafiluccio Santaniello si presenta a lui disperato e forte della decisione di ammazzare il padre Alfredo, Antonio, creatura e creatore di una Napoli senza Dio che lascia come ex voto proiettili alla Madonna di Pompei, rivede la stessa determinazione che lo spinse in gioventù all’omicidio e, con l’intento di cercare una mediazione tra giustizia umana e senso di rispetto universale della paternità, si avvia al macello, agnello sacrificale il cui carnefice diviene proprio quell’umanità vittima dell’ignoranza di cui si era eretto protettore.
L’allestimento di Sciaccaluga conserva la partizione con un unico intervallo per i tre atti, si muove tra riproposizione quasi integrale (fatta eccezione per qualche taglio nemmeno troppo radicale) e lettura personale: convincente l’incipit, con tutti i personaggi seduti a schiera sul fondo, che segue l’introduzione di un preambolo narrativo in cui è lo stesso protagonista ad anticipare la propria morte traslando il piano della narrazione in una dimensione che ne acuisce il simbolismo già dichiarato dall’autore. La costruzione dello spazio anche ne è un’eco: i tavoli di legno le sedie e le poche suppellettili si inseriscono in un quadro di nero immersivo trafitto dall’antracite del pavimento e del soffitto, inclinato solo al terzo atto quando la conservazione dell’ordine, meglio ancora la protrazione dell’ideale dell’anti-giustizia giusta, di Antonio Barracano sta per crollare insieme al suo corpo esanime, che spira in scena e lì resta sino alla conclusione. Efficace, la costruzione dello spazio scenico trasmette il giusto equilibrio tra dinamismo e stasi “architettonica”, risultando funzionale all’idea di insieme. L’aria cianotica, certo piuttosto smunta, d’impatto si offre allo spettatore trovando nell’interpretazione, nonostante alcune debolezze sulla fonesi degli appoggi in napoletano e forse a tratti qualche eccessivo manierismo nelle battute di alcuni, una omogeneità performativa controllata, abbastanza centrata rispetto alla quale spicca Pagni non solo e non tanto per il recitativo vocalmente inteso, quanto piuttosto per un uso motorio e gestuale che stupisce nella sua misura esatta, insieme al Rafiluccio di Orlando Cinque.
Contraddittorio il testo, le sue suggestioni, i possibili assorbimenti, forte anche dei picchi più farraginosi, restituirlo con pulizia giova alla messinscena.
Marianna Masselli
Twitter @Mari_Masselli
Visto al Teatro Quirino, Roma, gennaio 2015
IL SINDACO DEL RIONE SANITÁ
di Eduardo De Filippo
regia Marco Sciaccaluga
con Eros Pagni, Maria Basile Scarpetta, Angela Ciaburri, Marco Montecatino, Luca Iervolino, Federico Vanni, Massimo Cagnina, Orlando Cinque, Francesca De Nicolais, Dely De Majo, Rosario Giglio, Pietro Tammaro, Gennaro Apicella, Gino De Luca, Gennaro Piccirillo
scene Guido Fiorato
costumi Zaira de Vincentiis
musiche Andrea Nicolini
luci Sandro Sussi